![]() Oggi arriviamo a quota sessanta. Sessanta donne uccise in Italia, dall'inizio dell'anno, per mano di chi "le amava e non poteva sopportare di perderle". Questo titolano i giornali ogni volta che un fidanzato o un marito ammazzano la propria donna perché li ha lasciati o ha intenzione di farlo, no? E il problema reale sta proprio in queste poche parole, che sono diventate la normalità nella comunicazione mediatica (magari allegate a un selfie della coppia, scattato in un momento di "guardate quanto siamo felici"). Io sono schifata dai titoli che vengono utilizzati e anche dal modo in cui, solitamente, vengono redatti gli articoli su questi fatti, perché spesso usano le parole dell'assassino (per fare clamore) e hanno sempre un che di "giustificazione sommaria" dell'accaduto che inconsapevolmente va a "scusare" l'azione: "L'amavo troppo", "Non sopportavo di perderla" ,"Ho perso la testa perché voleva lasciarmi", "Non potevo vivere senza di lei". Sono tutte rivelazioni sensazionali, che esprimono cioè uno stato d'animo di sofferenza, un'attenuante, e altro non sono che la conferma perpetua di una convinzione patologica che non vede evoluzione dalla notte dei tempi: il partner è una nostra proprietà. Convinzione non solo maschile con l'unica differenza che mentre le donne, da sempre meno educate alla violenza rispetto al genere maschile, agiscono mediante ricatti morali e rigature delle auto o tagli delle gomme, gli uomini arrivano anche a usare la forza fisica perché quella, hanno insegnato loro, è la massima espressione di quanto vale un uomo. Quindi attraverso l'omicidio rivendica la proprietà mentre nell'omicidio/ suicidio, immagina di ritrovare nella morte quell'unità che si stava perdendo in vita. Ogni volta che viene mediaticamente diffusa una notizia relativa alla violenza sulle donne mi dispiaccio e mi stupisco di come non si arrivi mai al nocciolo della questione, che non troverà mai soluzione nel " deve essere impazzito, era un bravo ragazzo" e nemmeno nel "è sempre stato un violento". Personalmente sono convinta che l'unica soluzione possibile sia andare al di là dei singoli accadimenti (che sono l'estrema punta dell'iceberg) e comprendere che alla base ci sta la convinzione che se abbiamo una relazione con una persona, quella persona diventa di nostra proprietà e che non possa cambiare idea senza subirne le conseguenze, qualsiasi esse siano. Questo comportamento ha radici lontanissime, lo sappiamo bene: nel momento storico in cui le donne sono diventate dipendenti dall'uomo economicamente parlando, e cioè alla nascita dell'era dell'agricoltura, si è instaurato il meccanismo dell'esclusivismo sentimentale e sessuale come valore assoluto, un garante dello status: io uomo lavoro e ti garantisco il cibo e la protezione, tu donna devi garantirmi l'accudimento e la procreazione di figli che continuino la mia dinastia. Sono trascorsi millenni... ma cosa è cambiato? Niente, o poco, semmai l'evoluzione ha portato a una "relativa" indipendenza economica delle donne (conquistata a suon di battaglie ancora in corso) per la quale la donna, oltre ad accudire e procreare, ha "ottenuto" di poter lavorare. Ma in realtà l'approccio mentale è evoluto ben poco, talmente poco che ancora oggi l'unico garante dell'amore rimane ai nostri occhi il possesso dell'altro, non il piacere della condivisione della vita con una persona compatibile. E mentre la maggior parte delle donne, se scopre tradimento, mette in atto una serie di comportamenti atti a colpire l'uomo in modo che abbia problemi con un'eventuale nuova partner, l'uomo agisce usando la forza sia per preservare il proprio onore (che un uomo tradito è da sempre vittima di derisione e non può accettarlo), sia per ribadire il concetto di proprietà (tu sei mia e se ti ribelli, non sarai di nessun altro). MIA. Quante volte alle donne ha fatto piacere sentirsi dire "tu sei mia!"? Anche a quelle stesse donne che in queste tre parole hanno trovato la morte sarà capitato di provare un brivido piacevole all'epoca in cui si scattavano i selfie con il loro amato, con quell'uomo che le aveva portate a toccare il cielo con un dito. I film, la letteratura, le poesie sono intrisi di scene strappacuore in cui il dirsi "sei mia" "sono tua" ha scatenato coinvolgimento emotivo all'ennesima potenza. E questa è e rimane la nostra gabbia, dalla quale purtroppo ancora pochissime persone riescono a liberarsi. E allora io vi invito a riflettere su questo: se non apprendiamo la necessità di educare le nuove generazioni a non dipendere dall'altro, a non instaurare relazioni che si basino sull'attaccamento, a non considerare l'altro come una nostra proprietà, come possiamo credere che questa mattanza finisca? Non sicuramente a suon di denunce per stalking, che ovviamente vanno fatte e prese in considerazione con molta molta serietà, a cui dovrebbero seguire pene imponenti, ma hanno il limite di agire solo laddove la situazione è già a rischio. Non con manifestazioni femministe, che non nego avere estrema importanza per stimolare le donne a non piegarsi, a non sottomettersi, ma che sulla mentalità sociale hanno impatto relativo perché solitamente vi partecipa solo chi ha già chiaro il problema mentre un uomo la cui personalità potrebbe portarlo ad uccidere una donna non cambia carattere perché vede un corteo sfilare. Solo l'educazione può affrontare il problema alla base! Educazione, al rispetto dell'altro in primis, ma mirata a cambiare totalmente l'approccio mentale alle relazioni: nessuno è di nessuno! Si possono condividere momenti, anni, una vita ma amare davvero un'altra persona significa viverla come un valore aggiunto, accettarne l'individualità ed essere consapevoli della possibilità che un giorno possa non volere più condividere la vita con noi! E' ora di affrontare con serietà e competenza l'educazione sentimentale e sessuale dei bambini e degli adolescenti, prendendo consapevolezza che loro saranno gli adulti di domani e se continueremo a fingere che non abbiano sessualità e sentimenti questi casi saranno sempre più frequenti! Finiamola di crescere i bambini con le favole del "E vissero per sempre felici e contenti" o di riempirgli la testa dei "per sempre" che la religione continua a volerci imporre perché è proprio nel nome del "per sempre" che molti uomini hanno ucciso e continueranno a uccidere. Vi invito a leggere "IN PRINCIPIO ERA IL SESSO" (Ryan/Jethà) se siete davvero interessati a comprendere da dove veniamo e dove stiamo andando.
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GRAZIA SCANAVINI Ricercatrice Educatrice umanista Counselor filosofica Blog con intento educativo.
L'obiettivo è stimolare riflessione al fine di favorire la consapevolezza personale nelle relazioni.
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