Il titolo è volutamente provocatorio, e infastidisce proprio perché contiene una verità. Non sto dicendo che sia una fregatura innamorarsi e decidere di condividere la Vita, mi sto riferendo alla Coppia come istituzione sociale: ci viene da sempre dipinta come una naturale conseguenza dell'amarsi e del desiderarsi, ma in realtà cos'è? Partiamo dal fatto che quando parliamo di dinamiche sessuali, dovremmo avere sempre ben chiaro che la sessualità risponde in primis a un coinvolgimento biologico dell'individuo, mentre le dinamiche di amore monogamo rispondono a norme socio-economiche. Ve lo dico perché questi sono i dati di fatto: la Storia della Coppia è frutto del condizionamento socio-economico. La coppia non è nata perché il principe e la principessa si sono innamorati. È nata perché l'avvento della proprietà privata, all'Era dell'Agricoltura, ha consegnato il potere economico nelle mani dell'Uomo e ha reso necessario avere forza lavoro e eredi ai quali lasciare la proprietà. La coppia è nata quindi per evitare la promiscuità dei discendenti. Se fino a quel momento non era importante sapere di chi fossero i figli, con l'istituzione della proprietà privata è diventato necessario definire nuclei di appartenenza certi, sia per detenere la forza lavoro, sia per la successione della proprietà: l'Uomo ha chi far lavorare per la propria proprietà e sa a chi lasciarla. In tutto questo la Donna ha assunto quindi il ruolo di garante di eredi e della produzione di forza lavoro e, attraverso la fedeltà, assicurava l'esclusiva riproduttiva, oltre all'accudimento. In cambio di protezione e mantenimento. L'esclusivismo sessuale è una norma di comportamento sociale imposta per motivi economici dall'avvento della proprietà privata. È molto semplice, no? Nei millenni siamo stati educati all'esclusivismo sessuale perché era l'unico modo per garantire la continuità e la successione del patrimonio famigliare. Il problema è che nessuno ce lo racconta, nessuno ci educa nella consapevolezza che la Coppia come istituzione non c'entra un bel niente con il sentire. Non sto dicendo che tutti dovrebbero per forza cambiare, sia chiaro. Sto dicendo che è importante saperlo perché lì c'è la ragione per cui siamo eternamente affaticati nelle relazioni. Abbiamo mescolato le cose: se all'inizio chi si accoppiava lo faceva semplicemente in base a criteri socio-economici, nell'evoluzione storica dell'istituzione Coppia, abbiamo messo il sentimento, ma dobbiamo essere consapevoli di esserci immersi in una dinamica che non ha come base l'Amore, per le norme di comportamento. Non a caso per millenni (e ancora oggi) viene richiesto alla coppia di restare insieme anche quando il sentimento è cambiato, addirittura si ritiene un modello chi realizza il "per sempre". Modello idilliaco, lo sapete meglio di me: -c'è chi realizza il per sempre sopportando, e allora ha l'ammirazione di tutti, è considerato una brava persona, che si sacrifica per i figli, ecc; -c'è chi lo porta a termine con felicità, e viene addirittura invidiato, tanto succede raramente in rapporto alla media; -poi c'è chi invece non ce la fa proprio, decide di voler cercare Ben Essere e molla: viene additato come "irresponsabile", traditore e così via. Dal punto di vista socio-economico ha fallito, rompendo il nucleo famigliare. Dal punto di vista sentimentale, ha tradito il patto del per sempre. Non è possibile pretendere da una persona che il suo sentire resti immutato per un'altra persona per sempre, perché noi tutti evolviamo. Può succedere che si evolva insieme, che dalla compatibilità iniziale nasca una relazione in cui i partner si aggiustano l'un l'altro, man mano che si realizzano i reciproci cambiamenti individuali: questo è l'unico per sempre che può esistere. Ma pensate a quando c'è un problema in una coppia: la prima cosa che viene detta è "Sei cambiato" o cambiata, come fosse un difetto, una condotta sbagliata. Cambiare cambiamo tutti, in continuazione. Se non cambiamo granché è perché ce lo imponiamo per senso di dovere, fatto salvo poi finirci ai matti (espressione ironica ma veritiera... basta guardare le statistiche relative alla vendita di psicofarmaci). Ho scelto razionalmente di accogliere sempre ciò che gli altri sentono, senza mai dimenticare la variabile "Condizionamento socio-educativo" alla quale siamo tutti assoggettati, in misura diversa. Mi piace l'idea di arrivare a stimolare la riflessione sul fatto che ciò che noi pensiamo essere una nostra opinione, in realtà, è ciò che sentiamo per ciò che siamo come individuo-prodotto sociale. I concetti relativi alla monogamia, alle dinamiche di coppia, non dovrebbero nemmeno essere opinabili, perché non lo sono: -la scienza ci dice che siamo monogami seriali; -l'analisi antropologica dell'evoluzione delle dinamiche delle relazioni di coppia fotografa chiaramente il percorso che abbiamo fatto. Il problema è che l'educazione che ci impone il sistema socio-economico non ci consente di prenderci per quelli che siamo ma tende a imporci ciò che dovremmo essere. Lì nasce il mal essere generale che respiriamo: siamo in costante conflitto tra ciò che la società vuole da noi e ciò che noi non riusciamo a dare perché biologicamente inadeguati al modello imposto. Pensate a quanto vivremmo meglio se come riferimento avessimo la convinzione che le relazioni amore+sesso possono durare al massimo cinque anni... Vivremmo con più leggerezza, poi chi volesse restare insieme anche oltre potrebbe farlo, eh. Se ci avessero insegnato che la normalità per una relazione monogama è una durata quinquennale, tutto quello che verrebbe in più sarebbe straordinario. Questo farebbe sì che chi, invece, al termine dei cinque anni si lasciasse, prenderebbe la cosa come normale evoluzione: meno sofferenza, meno battaglie inutili, meno fatica di vita. Quanto malessere in meno... E non mi sembra un discorso così assurdo: se fino ad ora per educazione abbiamo pensato che l'obiettivo da raggiungere fosse il per sempre, e abbiamo vissuto frustrazioni enormi perché lo realizzano in pochissimi, spostando l'asticella a cinque anni non vivremmo più quella frustrazione. E non sarebbe una strategia di comodo, bensì basarsi semplicemente su ciò che siamo, punto. Non è che, in media, non raggiungiamo il Felici per sempre perché non vogliamo o non siamo capaci noi come individuo singolo: non lo raggiungiamo perché è un obiettivo che non tiene in considerazione le nostre potenzialità.
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Sicuramente la gelosia è uno di quegli argomenti che, sempre molto attuale ma da sempre senza soluzione, è diventato quasi noioso, ridondante. Questo stato d'animo così sanguigno per molti è lo strumento di misura dell'amore perché "se non sei geloso del partner, non lo ami davvero". Per qualcuno è diventato il mal di vivere, dall'ossessione di controllo sul partner a tragedie vere e proprie, fatti di cronaca che ogni giorno leggiamo sui quotidiani. Ma per qualcuno è acqua passata, o quasi. IMPOSSIBILE! grida la maggioranza delle persone perché se ami una persona non puoi non avere il timore di perderla. Non tutti sanno che questo sentimento è nato con l'avvento della proprietà privata, all'inizio dell'era dell'agricoltura, quando si sono instaurate le dinamiche di coppia "fedele" atta alla preservazione dello status, che allora significava semplicemente sopravvivere, avere cibo e mezzi di sostentamento. La fedeltà era garanzia di sopravvivenza. Era quindi legata all'aspetto economico, non a quello sentimentale, e sottintendeva quindi il concetto del possesso e dell'esclusivismo sessuale e sentimentale. In questi termini, non ci siamo evoluti un granché e, sopraggiunte anche le regole moralistiche della Chiesa, non ce ne siamo più liberati. Ma oggi che succede? Perché ci sono persone eccessivamente gelose e persone per le quali la gelosia è solo un vecchio ricordo? I vissuti, le soggettività, l'educazione hanno fatto tanto, certo, ma in linea generale possiamo affermare che le persone meno gelose sono quelle che non vivono una relazione amorosa basata sull'attaccamento all'oggetto del possesso ma più come una situazione ideale in cui condividersi per migliorare il benessere. Cosa significa? Che sono persone piuttosto indipendenti, che non annientano la propria soggettività nella coppia ma per le quali la coppia è la condizione nella quale aumentare il benessere soggettivo e il senso di appartenenza non è un dovere o un diritto ma semplicemente una condizione naturale che viene dal benessere. Ed è proprio il benessere il nocciolo della questione. Il benessere psichico intendo. Se siamo individui risolti e abbiamo come obiettivo la serenità, siamo in grado di amare senza possedere l'altro. Mi spiego meglio: io amo mio marito perché la sua presenza nella mia vita aumenta il mio benessere, ma non ho nei suoi confronti un'ideale di possesso, lui non è mio. Condivido un senso di appartenenza dovuto al benessere che viene dal nostro convivere ma non nutro nei suoi confronti il timore di perderlo perché il mio obiettivo è il benessere. Se lui dovesse, per qualsiasi evenienza, incontrare una persona che lo fa stare meglio di me, a nulla servirebbe il possesso perché sarebbe solo una clausola da sormontare. E io, che lo amo, non vorrei che restasse con me solo perché è mio... verrebbe meno il mio benessere, sapendo che resta con me solo perché essendo una coppia ci apparteniamo. Quando affronto questo tema, di solito, mi sento rispondere: "Sì ma tu la fai facile... il discorso fila ma poi in realtà come si fa?". Si tratta di mettere a fuoco l'obiettivo, di pensare che è inutile arrovellarsi dietro a dinamiche di controllo, che generano ansia e non sono assolutamente garanzia di successo, perché lo sapete meglio di me... potete controllare tutti i telefoni e i pc che volete ma già perdete la serenità facendolo (e non siete sereni se avete bisogno di farlo) e poi i messaggi, le telefonate, le cronologie... chi non vuol farveli trovare, sa come fare. E non basterà vietargli di uscire o cose simili per evitare che vi lasci... anzi! Le limitazioni di libertà e le manifestazioni di mancanza di fiducia, altro non fanno che generare ansia. E allora provate a pensare che sarà la serenità il miglior deterrente all'eventuale dipartita del vostro partner... non il controllo che esercitate su di lui! Poi comunque andrà come deve andare, perché il "per sempre" a cui vi hanno educati fin da piccoli, credetemi, non è una decisione che si prende su un foglio di carta... è solo la serenità a creare le condizioni necessarie perché si avveri! Oggi arriviamo a quota sessanta. Sessanta donne uccise in Italia, dall'inizio dell'anno, per mano di chi "le amava e non poteva sopportare di perderle". Questo titolano i giornali ogni volta che un fidanzato o un marito ammazzano la propria donna perché li ha lasciati o ha intenzione di farlo, no? E il problema reale sta proprio in queste poche parole, che sono diventate la normalità nella comunicazione mediatica (magari allegate a un selfie della coppia, scattato in un momento di "guardate quanto siamo felici"). Io sono schifata dai titoli che vengono utilizzati e anche dal modo in cui, solitamente, vengono redatti gli articoli su questi fatti, perché spesso usano le parole dell'assassino (per fare clamore) e hanno sempre un che di "giustificazione sommaria" dell'accaduto che inconsapevolmente va a "scusare" l'azione: "L'amavo troppo", "Non sopportavo di perderla" ,"Ho perso la testa perché voleva lasciarmi", "Non potevo vivere senza di lei". Sono tutte rivelazioni sensazionali, che esprimono cioè uno stato d'animo di sofferenza, un'attenuante, e altro non sono che la conferma perpetua di una convinzione patologica che non vede evoluzione dalla notte dei tempi: il partner è una nostra proprietà. Convinzione non solo maschile con l'unica differenza che mentre le donne, da sempre meno educate alla violenza rispetto al genere maschile, agiscono mediante ricatti morali e rigature delle auto o tagli delle gomme, gli uomini arrivano anche a usare la forza fisica perché quella, hanno insegnato loro, è la massima espressione di quanto vale un uomo. Quindi attraverso l'omicidio rivendica la proprietà mentre nell'omicidio/ suicidio, immagina di ritrovare nella morte quell'unità che si stava perdendo in vita. Ogni volta che viene mediaticamente diffusa una notizia relativa alla violenza sulle donne mi dispiaccio e mi stupisco di come non si arrivi mai al nocciolo della questione, che non troverà mai soluzione nel " deve essere impazzito, era un bravo ragazzo" e nemmeno nel "è sempre stato un violento". Personalmente sono convinta che l'unica soluzione possibile sia andare al di là dei singoli accadimenti (che sono l'estrema punta dell'iceberg) e comprendere che alla base ci sta la convinzione che se abbiamo una relazione con una persona, quella persona diventa di nostra proprietà e che non possa cambiare idea senza subirne le conseguenze, qualsiasi esse siano. Questo comportamento ha radici lontanissime, lo sappiamo bene: nel momento storico in cui le donne sono diventate dipendenti dall'uomo economicamente parlando, e cioè alla nascita dell'era dell'agricoltura, si è instaurato il meccanismo dell'esclusivismo sentimentale e sessuale come valore assoluto, un garante dello status: io uomo lavoro e ti garantisco il cibo e la protezione, tu donna devi garantirmi l'accudimento e la procreazione di figli che continuino la mia dinastia. Sono trascorsi millenni... ma cosa è cambiato? Niente, o poco, semmai l'evoluzione ha portato a una "relativa" indipendenza economica delle donne (conquistata a suon di battaglie ancora in corso) per la quale la donna, oltre ad accudire e procreare, ha "ottenuto" di poter lavorare. Ma in realtà l'approccio mentale è evoluto ben poco, talmente poco che ancora oggi l'unico garante dell'amore rimane ai nostri occhi il possesso dell'altro, non il piacere della condivisione della vita con una persona compatibile. E mentre la maggior parte delle donne, se scopre tradimento, mette in atto una serie di comportamenti atti a colpire l'uomo in modo che abbia problemi con un'eventuale nuova partner, l'uomo agisce usando la forza sia per preservare il proprio onore (che un uomo tradito è da sempre vittima di derisione e non può accettarlo), sia per ribadire il concetto di proprietà (tu sei mia e se ti ribelli, non sarai di nessun altro). MIA. Quante volte alle donne ha fatto piacere sentirsi dire "tu sei mia!"? Anche a quelle stesse donne che in queste tre parole hanno trovato la morte sarà capitato di provare un brivido piacevole all'epoca in cui si scattavano i selfie con il loro amato, con quell'uomo che le aveva portate a toccare il cielo con un dito. I film, la letteratura, le poesie sono intrisi di scene strappacuore in cui il dirsi "sei mia" "sono tua" ha scatenato coinvolgimento emotivo all'ennesima potenza. E questa è e rimane la nostra gabbia, dalla quale purtroppo ancora pochissime persone riescono a liberarsi. E allora io vi invito a riflettere su questo: se non apprendiamo la necessità di educare le nuove generazioni a non dipendere dall'altro, a non instaurare relazioni che si basino sull'attaccamento, a non considerare l'altro come una nostra proprietà, come possiamo credere che questa mattanza finisca? Non sicuramente a suon di denunce per stalking, che ovviamente vanno fatte e prese in considerazione con molta molta serietà, a cui dovrebbero seguire pene imponenti, ma hanno il limite di agire solo laddove la situazione è già a rischio. Non con manifestazioni femministe, che non nego avere estrema importanza per stimolare le donne a non piegarsi, a non sottomettersi, ma che sulla mentalità sociale hanno impatto relativo perché solitamente vi partecipa solo chi ha già chiaro il problema mentre un uomo la cui personalità potrebbe portarlo ad uccidere una donna non cambia carattere perché vede un corteo sfilare. Solo l'educazione può affrontare il problema alla base! Educazione, al rispetto dell'altro in primis, ma mirata a cambiare totalmente l'approccio mentale alle relazioni: nessuno è di nessuno! Si possono condividere momenti, anni, una vita ma amare davvero un'altra persona significa viverla come un valore aggiunto, accettarne l'individualità ed essere consapevoli della possibilità che un giorno possa non volere più condividere la vita con noi! E' ora di affrontare con serietà e competenza l'educazione sentimentale e sessuale dei bambini e degli adolescenti, prendendo consapevolezza che loro saranno gli adulti di domani e se continueremo a fingere che non abbiano sessualità e sentimenti questi casi saranno sempre più frequenti! Finiamola di crescere i bambini con le favole del "E vissero per sempre felici e contenti" o di riempirgli la testa dei "per sempre" che la religione continua a volerci imporre perché è proprio nel nome del "per sempre" che molti uomini hanno ucciso e continueranno a uccidere. Vi invito a leggere "IN PRINCIPIO ERA IL SESSO" (Ryan/Jethà) se siete davvero interessati a comprendere da dove veniamo e dove stiamo andando. Premesso che non amo il termine fedeltà perché mi riporta l'immagine mentale di un cane che in casa sta libero ma che quando esce viene messo al guinzaglio, trovo l'argomento sempre molto interessante. E non solo io. Quando parlo di fedeltà a #LaPecoraNelBosco succede che nelle diverse caselle di posta mi si scateni il putiferio! E-mail, Facebook, What'sapp, Twitter... piovono feedback da ogni dove e io, come sempre, mi dolgo di non poter rispondere a tutti singolarmente ma cerco di farlo globalmente con questo post, tralasciando i "marpioni": quelli non hanno capito nulla del mio espormi sull'argomento dinamiche sessuali e il gioco del buon Stefano Molinari, che con l'aplomb di sempre cerca scherzosamente di prendermi in castagna applicando il modello confessionale, fa loro credere che il mio modo libero di parlare di sessualità equivalga all'essere di facile abbordaggio. Spiacente per loro, è l'esatto contrario: sono molto esigente! Ma tornando alle dinamiche sessuali e di coppia io da "confessare" ho ben poco, nel senso che posso raccontare molto di me stessa ma ben poco che assomigli ad una confessione perché ciò che esprimo come parere solitamente corrisponde al mio modo di vivere. Ciò che mi piace molto de LA PECORA NEL BOSCO è che mi permette di parlarvi direttamente delle mie conoscenze, delle mie opinioni e soprattutto è un buon mezzo per invitare chi ascolta a riflettere sulla soggettività delle dinamiche! Per questo non mi infastidisce per nulla che durante trasmissione la mia privacy finisca " in scacco" perché il mio mettermi in gioco pubblicamente è da sempre il modo più efficace per coinvolgere chi mi ascolta o mi legge. Dunque nella trasmissione di ieri, che potete rivedere QUI abbiamo parlato di fedeltà (e tradimento, ovvio!) partendo da un quesito interessante mentre in regia mandavano questo sondaggio su Twitter: la fedeltà oggi è una scelta controcorrente? Ed è vero, come qualcuno afferma, che possa addirittura essere una variante erotizzante? E' controcorrente se pensiamo alla consistenza numerica di quanti tradiscono ma più che una libera scelta mi sembra un'opera di auto-censura, di auto-prigonia, un darsi dei limiti per essere sicuri che anche l'altro non li oltrepasserà. Insomma, una battaglia tra ciò che siamo e ciò che vorremmo/dovremmo essere per la morale. Ci mettiamo al sicuro dalle tentazioni per evitare di perdere il partner. Ci siamo giurati di non tradirci, così staremo per sempre insieme. Che va benissimo se entrambi i partner questo vogliono, desiderano. Se questo li fa star bene, per loro è la scelta adatta. Diciamo che, riflettendo in termini di equilibrio della coppia, la cosa fondamentale è che ci sia compatibilità in termini di fedeltà, poi che la maggior parte delle persone pretenda la fedeltà dal proprio partner anche laddove la vita di coppia non è appagante solo per il timore di perderlo è un'altra storia (e quindi parliamo di attaccamento, non di amore). Sul fatto che la scelta di fedeltà sia erotizzante... be'... attendo con ansia che qualcuno che ne è convinto (perché vive questa condizione) mi spieghi cosa significa e in quali termini diventa erotizzante. Quel che mi preme sottolineare è che la fedeltà è un concetto che abbiamo assunto attraverso l'educazione ed è quindi un comportamento "imposto" da valori socio-morali, che ha subito diverse variazioni di rilevanza nell'arco del tempo fino a giungere ad oggi, momento storico in cui stiamo sicuramente facendo i conti con cambiamenti repentini e molto variegati della scala dei valori. Se aveste voglia di leggere IN PRINCIPIO ERA IL SESSO sarebbe molto facile capire che la fedeltà di coppia altro non è che un comportamento imposto che ognuno di noi, soprattutto ora, ha la possibilità di rivalutare in chiave soggettiva senza che succeda nulla di grave, anzi! C'è la necessità di comprendere che perché una coppia funzioni non è tanto necessario essere fedeli al 100% in chiave classica quanto riuscire a stabilire un livello di confronto sincero tra partner riguardo il grado di esclusivismo all'interno della coppia. Perché il concetto di fedeltà che ognuno di noi ha è diverso e non ne esiste uno giusto o uno sbagliato, esistono diverse sfumature che possono essere tutte funzionali purché i partner della coppia siano compatibili nella stessa sfumatura. Cosa significa ciò? Che i partner devono essere compatibili sull'idea di fedeltà, indipendentemente da quale essa sia. C'è chi si sente a proprio agio nell'idea classica di fedeltà (quindi la coppia funziona se entrambi i partner non hanno storie extra) mentre c'è chi ha un'idea di fedeltà relativa semplicemente alla correttezza, alla sincerità del condividere con consapevolezza la dinamica di coppia aperta. In mezzo ci stanno decine di sfumature diverse e possono funzionare tutte, l'unica variabile imprescindibile è la compatibilità tra i partner: entrambi devono avere lo stesso concetto di fedeltà, altrimenti si passa a quei modelli di coppia in cui le cose funzionano apparentemente, magari anche molto bene, ma solo per l'apparenza... in realtà le situazioni in cui si è costretti a "mentire" sono ansiogene e influiscono negativamente sul benessere (per effetto del "senso di colpa" pressante o latente che sia la sua manifestazione). Quel che mi piacerebbe che restasse a quanti leggeranno questo post è che la fedeltà intesa come esclusivismo sessuale non è l'unica interpretazione che fa la felicità di una coppia. E' la compatibilità di pensiero che fa funzionare le cose, non l'essere ineccepibili dal punto di vista moralista. Quindi non perdiamo tempo a giudicare le dinamiche degli altri, meglio investirlo nel confrontarsi con il partner per instaurare un canale comunicativo efficace basato sul nostro reale modo di essere e non sull'apparenza, non su ciò che pensiamo che l'altro si aspetti da noi. Ah... solo ad un messaggio di quelli ricevuti ieri vorrei rispondere in maniera specifica: un religioso (di professione proprio) mi ha scritto invitandomi a riflettere sul fatto che le mie affermazioni possono destabilizzare molto le persone e creare danno alla loro felicità. E' vero, ne sono consapevole, ma i miei inviti a riflettere non saranno mai dannosi quanto le obsolete imposizioni e le censure perpetrate e perpetuate dalla Chiesa nelle epoche trascorse, riguardo alla sessualità soprattutto. Riflessione: curioso che un religioso ascolti La Pecora Nel Bosco, no?! Personalmente lo trovo apprezzabile e stimolante anche se rimango sempre del parere che per dare consigli sulla vita di coppia sia sì necessario essere competenti ma anche viverla in prima persona. #MaLaChiesaCheDice? |
GRAZIA SCANAVINI Ricercatrice Educatrice umanista Counselor filosofica Blog con intento educativo.
L'obiettivo è stimolare riflessione al fine di favorire la consapevolezza personale nelle relazioni.
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