![]() Quando accenno la parola BONDAGE, qualcuno mi guarda come se parlassi in aramaico, qualcuno come se stessi farneticando e altri addirittura assumono un’espressione facciale mista tra il disgusto e il ripudio. Alcuni tacciono, capaci di non giudicare ciò che non conoscono o talmente condizionati mentalmente da vergognarsi anche solo di parlarne. La maggior parte lucida a festa il proprio Super-Io e si lancia nella più spettacolare espressione di perbenismo possibile: “Quelle cose sono da depravati mentali!” E adesso abbasso un po’ i toni perché questa frase corrisponde esattamente a ciò che pensavo io prima di conoscere STEFANO LAFORGIA! Chi è? Stefano è un istruttore di kinbaku (bondage giapponese) nonché il fondatore della prima scuola di bondage in Italia, a Roma. La mia conoscenza con Stefano risale a cinque anni fa quando, dopo avere pubblicato il romanzo erotico LA RAGIONE DEI SENSI, ho scoperto che buona parte della narrativa erotica racconta di situazioni legate al BDSM, argomento sul quale io ero assolutamente ignorante. Quindi (perché io sono fatta così) ho deciso che per scrivere dovevo capire, per capire dovevo conoscere, per cui… dovevo parlarne con un esperto e, dopo breve ricerca, nessun dubbio: il massimo conoscitore in Italia è lui! L’ho contattato e gli ho chiesto di incontrarci. Aperitivo e cena a Trastevere, la serata è volata tra le mie domande e le sue risposte, sulla parte tecnica delle pratiche ma soprattutto sull’aspetto “psicologico”, sulle dinamiche mentali. Diciamo che per predisposizione caratteriale sono una “curiosa” o meglio “fagocitatrice di punti alternativi”, adoro conoscere modi di vivere mentalmente diversi dai miei, quindi la serata con Stefano mi ha aperto un mondo a me completamente sconosciuto. Quando ci siamo lasciati, Stefano mi ha proposto di partecipare ad una serata del suo corso o eventualmente a qualche festa organizzata dal suo gruppo ma il mio Super-Io (mannaggia ai condizionamenti sociali!) ha gonfiato il petto e, nonostante io avessi compreso fin da subito la professionalità di Stefano, ho rifiutato. Parlare con lui mi aveva dato un’idea del bdsm abbastanza chiara e aveva reso molto interessante ai miei occhi le dinamiche dei rapporti interpersonali in questo ambito, ma ancora mi sentivo troppo diversa, troppo lontana da ciò che consideravo un “vivere estremo”. Sono trascorsi alcuni mesi e ogni tanto ripensavo a questo “prurito” conoscitivo che in effetti mi aveva preso: ero curiosa di vedere ma non mi sentivo adatta! Anche solo il pensiero di andare in questo ambiente (nonostante le rassicurazioni di Stefano sul fatto che il corso si svolgesse in un ambito normale, professionale, tranquillo) mi faceva sentire a disagio. Poi ho conosciuto G., un massaggiatore tantra amico di Stefano, con il quale avevo iniziato lo stesso percorso conoscitivo finalizzato allo scrivere. Dopo aver trascorso un pomeriggio a parlare di chakra lui mi dice: “Senti, io devo andare al corso di bondage ora, perché non vieni con me? Le bottom fanno sempre comodo!” “Le che?” “Le bottom, le ragazze che si fanno legare!” Insomma, tira e molla, sì e no, sono entrata al corso di Stefano! Non nascondo che ero imbarazzata, timorosa, mi sentivo a disagio. Stefano e i partecipanti mi hanno presto messa a mio agio e (ridete pure) mi sono tranquillizzata vedendo che erano tutti vestiti… chissà cosa si era immaginata la mia mente intrisa di pregiudizi!! Il clima era quello di un corso qualsiasi: uomini e donne di qualsiasi età in abbigliamento sportivo stavano tranquillamente chiacchierando. Unico segnale che riportasse al bondage erano le corde: corde ovunque, e corde di ogni colore (soprattutto quelle rosse hanno attirato la mia attenzione, adoro il rosso). Mi guardavo intorno intanto che Stefano parlava ora con un allievo, ora con un altro: lo guardavo controllare le corde e dare consigli su come trattarle perché scorressero al meglio (vanno cerate e messe in forno perché la cera penetri nel tessuto, poi distese in modo da non avere vizi di curvatura che creerebbero attrito); qualcuno gli chiedeva chiarimenti, qualcuno gli mostrava un nodo e lui gli dimostrava come renderlo più efficace. Poi, disposti a coppie, è iniziata l’attività. Mi ha colpita il fatto che Stefano ricordasse ad ognuno di tenere a portata di mano le forbici e si raccomandasse di non indugiare a tagliare le corde qualora la bottom manifestasse disagio, perché alle volte può succedere che il sentirsi legati provochi un reazione ansiosa. Ammetto che ero tesa, curiosa ma un po’ tesa. Ho posizionato le braccia dietro la schiena e, partendo dai polsi, l’amico massaggiatore ha iniziato a legarmi. Clima sereno, a tratti scherzoso per via di qualche battuta ma sempre piuttosto rigoroso e professionale. G. passava le corde intorno ai polsi, alle braccia, alle spalle, ai seni, al torace. Ad ogni giro sentivo una costrizione più intensa, non dolorosa, non spiacevole ma destabilizzante. Questo sì. G. mi legava e Stefano controllava la tecnica, consigliava e correggeva laddove ce ne fosse necessità, con una scrupolosità che mi ha colpita: non che non mi aspettassi da Stefano un comportamento professionale ma in quei momenti ho realizzato quanto sia fondamentale per lui che le legature si svolgano nella più totale sicurezza: non lascia nulla al caso. Così come ho assorbito, durante la serata, la reale passione che lui ha per le corde. Guardandolo maneggiare le corde ho realizzato quanto questa pratica per lui non sia solo un hobby, non sia un'attività qualsiasi. L'ho sentito molto vicino al mio modo di essere riguardo allo scrivere di erotismo... non un dovere venuto come conseguenza per lavoro. Ma una passione vera e propria, un modo di essere, un modo di vivere, un modo di emozionarsi. E ulteriore conferma l'ho avuta nella seconda parte della serata, quando a legarmi è stato proprio lui. Nulla da togliere a G. ma quando Stefano ha iniziato a girare le corde attorno al mio corpo ho avuto una sensazione diversa, forse perché i movimenti erano più decisi, meno timorosi. Ad ogni giro di corda in più sentivo crescere emozione e ogni piccolo strattone (quasi impercettibile) avvertivo una sensazione intensissima... il mio corpo sembrava in balìa delle sue mani, del suo volere. Man mano che la legatura avanzava e mi sentivo più "costretta", si intensificava questo gioco di perdita del controllo del corpo. Quando tirava la corda per fissare il nodo sentivo il mio corpo lasciarsi andare ad una sorta di movimento cullante, un abbandono fisico e mentale alla volontà di Stefano: era lui che decideva come farmi muovere, nello stato di mobilità limitata in cui mi trovavo. Ma più che un discorso fisico era una sorta di tensione mentale, di dipendenza direi: mi sentivo mentalmente nelle sue mani, come se facendomi legare avessi volontariamente abbandonato la capacità di autogestirmi, come se mi fossi completamente affidata al suo volere. E pensare che eravamo in una stanza con altre persone, situazione chiaramente condizionante perché gli effetti della loro presenza (rumori, vociare, spostamenti) chiaramente richiamavano comunque la mia attenzione, interrompendo l'incalzare delle emozioni. Emozioni diverse, alternate, calanti e crescenti, di tensione e di rilassamento. Quella più forte dal punto di vista emotivo l'ho provata quando Stefano mi ha slegata: man mano che sentivo allentare la presa delle corde, mi sentivo abbandonare, come se lui non si volesse più prendere cura di me, come se mi stesse restituendo la mia indipendenza fisica e mentale. Una volta liberata completamente dalle corde mi sono sentita sola. Provavo una sorta di disagio interno, un abbandono psichico, una perdita di contatto. Ribadisco spesso questa emozione quando parlo di bondage e quando parlo di Stefano Laforgia: dopo aver conosciuto (anche se solo in parte) l'ambito del bondage, è diventato per me molto stimolante e quasi un obiettivo far comprendere la reale essenza di questa pratica a chi, come me prima di viverla, ne ha una concezione banalmente distorta e pregiudizievolmente negativa. E devo dire con ottimi risultati visto che ogni volta che ho proposto il discorso durante qualche evento o corso o discussione in genere, persone molto reticenti all'argomento e molto diffidenti alla fine si sono dette incuriosite e piacevolmente colpite dal mio racconto. Racconto di esperienza che ho voluto fare anche alla presentazione di SENSUALMENTE la prima associazione culturale sulla sensualità in Italia. Ho voluto Stefano all'inaugurazione perché, come ormai vi sarà chiaro, mi piace far capire che il bondage è una pratica legata al discorso della SENSUALITA' più che della sessualità: quando poi sensualità del bondage va ad interagire con l'ambito sessuale, be'... vi lascio immaginare gli effetti!!! Già fare sesso con una persona E' abbandonarsi all'altro con una carica emotiva molto forte, figuratevi cosa possa essere vivere queste emozioni trovandosi in uno stato emotivo come quello che si crea durante il bondage. Solo dopo questa esperienza con Stefano ho capito cosa volesse intendere quando la prima sera gli avevo chiesto di spiegarmi il rapporto che si instaura nelle relazioni bdsm; chiaro che quello è un discorso diverso ancora da questo ma che credo trovi la base nelle emozioni che il bondage da: una persona che si affida completamente all'altro, il quale si prende carico in toto della fisicità e della psichicità dell'altro. Un gioco di ruoli intensissimo dal punto di vista emozionale, sia da dominato che da dominatore, perché comunque richiedono entrambi un investimento emotivo molto forte. Con questo articolo, oltre a perseguire il mio obiettivo di diffusione, voglio anche ringraziare Stefano Laforgia con l'assoluta convinzione di essermi affidata, per il mio percorso di conoscenza, ad una persona che ha fatto della sua passione un lavoro nella maniera più professionale possibile!! E tengo a specificare che questa è stata la mia esperienza legata alla professionalità di Laforgia; naturalmente invito sempre tutti a non affidarsi a persone prive di credibilità o improvvisati professionisti perché le pratiche bondage e bdsm possono avere conseguenze pesanti se affrontate senza averne le giuste conoscenze e competenze. AND NOW? LET'S TRY IT!!!! Qui trovate i contatti: https://www.facebook.com/stefano.laforgia.5?fref=ts http://www.alcova.biz/ http://www.scuoladibondage.it/ @stefanolaforgia https://twitter.com/stefanolaforgia E qui un video di una performance che io amo particolarmente di Stefano Laforgia http://vimeo.com/61448843
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![]() Ieri sera mi sono trovata su questo post di Alessandro Pellizzari http://www.alessandropellizzari.com/non-vedo-lora-di-soffrire-per-amore-il-seguito-di-amanti-fanno-bene-o-male/ che vi invito a leggere prima di proseguire, perché qui di seguito troverete alcune mie considerazioni sul sempre-verde tema: IL TRADIMENTO. La mia riflessione, rivolta ad Alessandro, è questa: Sai che mi piace far quadrare i conti… che quando si parla d’amore io non resisto: devo mappare i percorsi, capire la causa e pure l’effetto, devo farmi il viaggio dalla radice alla conseguenza. E così commento con un concetto che potrebbe apparire di una banalità assurda ma considerando il fatto che in realtà il tradimento rimane una delle dinamiche interpersonali più ricorrenti, credo sia inevitabile. Si tradisce per rivivere il momento più emozionante dell’amore: l’innamoramento. Che per forza è il momento che da più intensità… perché le sensazioni che si provano durante la scoperta di nuova pelle e nuova mente non sono eguagliabili. E’ sempre effettivamente un soccombere all’idea che si tradisce per una mancanza nel rapporto di lunga durata. Ma non è una mancanza possibile da ovviare… è lo stimolo adrenalinico che da la novità, è l’eccitazione del vivere come in un film per qualche ora ogni tanto e godersi solo la parte migliore dell’altro, quella più eccitata, mentalmente e fisicamente. Più eccitata e più eccitante. Il rapporto tra i due amanti diventa un sistema che si autoalimenta, due componenti che in modo biunivoco infondono e ricevono energia e carica. Nella stessa misura. Rimangono sempre a carica totale. Quando la novità comincia ad essere nota, succede che si allenta la carica, ognuno dei due infonde e riceve meno energia di prima, non in modo sincronizzato, quindi c’è perdita di equilibrio, e come dici bene tu si giunge al bivio: o la storia finisce o si trasforma in qualcosa di più impegnativo. Se la storia finisce, si ritorna al punto di partenza, e quindi gli ex amanti probabilmente continueranno a perpetuare la ricerca e la soddisfazione del desiderio di innamoramento, fino a che eventualmente incontreranno una persona che, al bivio, non vorranno perdere. Se la storia continua può essere che la nuova coppia memore del vissuto, instauri un rapporto di continua crescita e cambiamento mentale che permette loro di mantenere alta la carica energetica dovuta agli stimoli. O può essere che non ci fosse una compatibilità tale da instaurare un rapporto efficace, quindi la coppia probabilmente reitererà la ricerca di nuovi innamoramenti. Vabbè perdonami… volevo esprimerVi la mia ammirazione per questo post sinergico su un argomento così delicato che di solito Pellizzari tratti in chiave ironica e invece qui ti percepisco più riflessivo, e invece ho usato il form per elaborare dei pensieri, un mio viaggio… un tentativo matematico di far quadrare i conti. Potrei tradurlo in grafico!! Pellizzari 10+ ma il 50% va a MariaGiovanna! ![]() A volte Alessandro Pellizzari, amico giornalista, sembra puntare il dito verso una a caso quando scrive: me! Lo fa involontariamente (non sempre a dir la verità) ma va a cogliere imperterrito argomenti che, con il mio vissuto, hanno sempre un nesso. E questa volta è molto forte. Pellizzari mi ha chiamato a rapporto (cito) su questo post http://www.alessandropellizzari.com/donne-contro-altre-donne-la-calciatrice/ che tratta l'argomento del tradimento da un punto di vista alternativo: parliamo di traditi e traditori andandoci a focalizzare su di lei: la pietra dello scandalo! Sì lei, l'istigatrice, la donna di malaffare, la rovina famiglie! Alessandro non sbaglia una virgola in questo post, e lo dico da donna che un bel po' di tempo fa veniva definita proprio così: una rovina famiglie. Non in generale ecco, non che fossi una patita inseguitrice di uomini sposati ma bensì all'età di 24 anni mi sono innamorata di un uomo sposato. Sposato e con figli. Non faccio parte di quella categoria di donne che vanno in cerca a tutti i costi di un uomo sposato, né per spassarsela una sera, né per spirito di ossessivo di rubare mariti; piuttosto, già a quell'età, ero una donna risoluta e determinata, che metteva le sensazioni avanti a tutto. E così è stato quando mi sono innamorata di quell'uomo: non ho fatto nulla per "prendermelo", gli ho solo e sempre detto ciò che di lui sentivo, ciò che stando con lui provavo, le sensazioni che mi dava il suo esserci. E che io c'ero. Inutile raccontare le varie situazioni che si sono avvicendate anche perché sarebbe uno sterile riassunto tipo quelli che si leggevano una volta su Sorrisi e Canzoni Tv, delle puntate di Beautiful. La cosa che mi ha centrata in pieno oggi, leggendo il post di Pellizzari, è questa perpetua raffigurazione mentale che viene proposta della donna che "ruba l'uomo ad un'altra donna". L'immagine immediata è quella di una donna invadente, agguerrita, senza scrupoli né morale. Una donna il cui obiettivo è quello di "rubare l'uomo di un'altra", quasi come se l'uomo (che pare diventare oggetto inanimato) non facesse la differenza. Io questa immagine me la sono sentita scagliare addosso e vi assicuro che è pesante sopportarla, ma non impossibile. Soprattutto quando tu (a differenza della sua ex moglie) non consideri quell'uomo un inetto che soccombe fragilmente al sesso e null'altro. Perché proprio qui sta la questione: mogli che si arrabbiano con le amanti perché gli hanno rubato il marito!! Ma se è la rovina-famiglie a dover fare un passo indietro per salvare il matrimonio, poi cosa rimane a quella moglie, oltre al titolo coniugale? Come si sentirà ad avere vicino un uomo solo perché l'altra si è ritirata? Quando chiesero a me di fare un passo indietro e rinunciare a lui per coscienza (perché sposato e con figli) fu proprio il momento in cui realizzai che ancora di più dovevo dargli tutta me stessa, perché lei non poteva essere innamorata di lui, se pensava che per "ripristinare" il loro matrimonio fosse sufficiente che io mi nascondessi, mi negassi a lui. Lo trattava come un capriccioso, come se avesse dovuto togliere dalle mani di un bambino il gioco per fargli fare i compiti! Mi fece riflettere un sacco questa cosa. E fu proprio quel momento a farmi realizzare che avrei dovuto rinunciare all'uomo che amavo, e per il quale avevo cercato di moderare e limitare i miei sentimenti perché era già impegnato, per "lasciarlo" ad una donna che non aveva il rispetto di considerarlo come una mente pensante ma solo come un inetto da gestire. I conflitti interiori non furono pochi, anzi, per lungo periodo mi ero sentita invasa da perplessità, più che altro perché temevo poi di non essere all'altezza della situazione, nel senso che: ero sicura che sarei stata la donna giusta per lui? Ero sicura che sarei stata in grado di essere una buona compagna? In fin dei conti ci conoscevamo molto ma c'è differenza tra lo star bene insieme qualche ora al giorno e passare invece ad una convivenza con la responsabilità di una separazione sulle spalle, con tutti gli aspetti che una separazione tocca: i figli, i parenti (suoi e miei), i risvolti economici, il cambio di stile di vita (io vivevo sola allora, indipendente). Ma proprio la richiesta da parte della sua ex moglie (di fare un passo indietro e smettere di vederlo) mi ha dato la spinta ad affidarmi solo alle sensazioni. E questa è l'unica cosa che ho fatto! Nessuna pressione a lui perché decidesse in un senso o nell'altro ma solo l'esternazione di ciò che sentivo: IO CI SONO. Non ho combattuto per averlo, non ho inventato nessun sotterfugio, non ho fatto nulla che lo spingesse a "scegliere" me: mi sono semplicemente messa a sua disposizione, con calma e tranquillità, evitando di farmi sconvolgere e incattivire dalle continue pressioni di chi mi giudicava cercando di far uscire un'immagine distorta di me e focalizzandomi sul fatto che (è questa la solidarietà femminile Pellizzari?) quella donna non era obiettiva: se trattava il marito come un incapace a gestirsi, ne era innamorata o forse era semplicemente attaccamento. Massimo rispetto per l'indiscutibile dolore che io stessa potevo comprendere ma di cui non riuscivo ad attribuirmi la colpa. Perché un uomo che sta bene "a casa sua" magari la sbandata di una sera può averla, anche di qualche sera. Ma quando a pelle si sente di non poter più fare a meno di un'altra persona, le sbandate non c'entrano, è tutta un'altra storia. Una storia fatta di evoluzioni, di cambiamenti e di problemi risolti insieme sempre. Una storia fatta di complicità, di confronto e di crescita continua. Una storia fatta di intensità mentale e fisica, di compatibilità emotiva e di predisposizione all'altro. Una storia di complementarità, di alchimia e di menti intrecciate che viaggiano sullo stesso binario. Una storia fatta di rispetto. No! Non ero sicura di essere all'altezza, non ero sicura di poter essere una compagna ideale, non ero sicura di amarlo in tutto e per tutto! Mi facevano male i giudizi insindacabili delle persone, mi facevano male gli sguardi sprezzanti, mi facevano male gli insulti. Ma forse sono stati proprio quelli a spingermi a seguire solo le mie sensazioni e quelle che da lui percepivo. Poca importanza alle parole, ma molta ai fatti. E i fatti, a distanza di anni, mi dicono che forse essere più sensuali faciliterebbe la vita ad un sacco di persone. E ancora di più dico, per supportare la categoria delle donne in generale, che non serve accanirsi (chi per trattenere chi per prendersi un uomo): la via migliore è quella di dare per ciò che si sente, senza attaccarsi alle persone ma semplicemente rispettando il loro sentire, il loro essere e soprattutto senza macchinare cose incredibili per ottenere! Con i sotterfugi si ottengono situazioni basate su verità malate, finzioni devianti, equilibri instabili... tutto ciò che non può sicuramente portare ad un reale benessere. Essere se stesse e mettersi a disposizione completa dell'altro (non nel senso di sottomissione, naturalmente ma di condivisione dell'essere) è l'unica via per avere accanto un uomo che vi ama davvero e per quello che siete! Il primo passo? Prendete il telecomando e spegnete per sempre le macchinazioni modello Beautiful!! |
GRAZIA SCANAVINI Ricercatrice Educatrice umanista Counselor filosofica Blog con intento educativo.
L'obiettivo è stimolare riflessione al fine di favorire la consapevolezza personale nelle relazioni.
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