Questa è una di quelle situazioni in cui i panni sporchi andrebbero lavati in casa perché fa parte di quelle questioni che, ci hanno insegnato, non è proprio il caso di sbandierare ai quattro venti.
Ma chi mi conosce sa che la coerenza per me è un principio. Insomma, non posso esimermi dal rendervi partecipi di questa mia scelta, dopo che per anni ho usato il mio legame con lui per parlarvi anche di fatti miei personali. Se oggi vengo qui a raccontarvi questa cosa è perché sono arrivata a una decisione per nulla avventata. Non sono una che prende le cose alla leggera, lo sapete. Per quanto io viva di emozioni, non sono quella che interrompe una relazione dall'oggi al domani, soprattutto se durava da tanti anni. Ho ponderato, ho anche cercato di non dimenticare i momenti che abbiamo vissuto insieme perché certe emozioni, certe sensazioni, me la ha date solo lui. Qui nasce il conflitto: la realtà è che me le AVEVA date solo lui. Poi una mattina è arrivato uno che mi ha mandata in crisi. Uno confezionato su misura per me: discreto, elegante, con un certo carattere. Me ne avevano parlato bene, mi avevano detto "Devi conoscerlo!" ma giuro che non avevo la minima idea che sarei arrivata a preferirlo, rispetto alla relazione solida che si era creata negli anni. Una relazione che era la mia sicurezza: mai un dubbio, mai una defaillance, mai una volta che io abbia pensato che lui non fosse l'unico in grado di darmi quel tipo di piacere. E niente. Non era così. Siamo umani, ci succede mica raramente di credere che ciò che abbiamo per le mani sia la cosa migliore possibile, fatto salvo poi renderci conto che esiste di meglio. Con tutto l'amore che proviamo per ciò che è stato e senza rinnegare, scopriamo di poter provare nuove emozioni, nuove sensazioni, magari nemmeno paragonabili perché è proprio diverso il modo di fare tra uno e l'altro. Il modo di farti sentire. La mattina che è entrato LUI in casa mia la prima volta, ero sola, e non ho resistito. E quel momento tutto nostro, è stato il primo di una lunga serie di momenti che ho sfruttato appena la situazione mi consentiva di restare da sola. Non avete idea di quanti orgasmi in venti giorni. Quanti in senso numerico, ma quanti soprattutto in senso di qualità diversa l'uno dall'atro. LUI ha questa capacità di stimolarti che è assurda. Io ero convinta di aver già trovato il massimo, e non dico che lui non fosse bravo, ma LUI ti prende la clitoride ogni volta in modo diverso e tu non devi fare altro che lasciarlo fare. È sufficiente che tu gli dia l'input su come ti senti in quel momento: se hai voglia di godere lentamente, con quel tipo di orgasmo che da lì si diffonde a tutto il corpo e che ti manda in pappa la testa, LUI ti porta sapientemente all'estasi proprio. Se invece hai voglia di godere forte, a ripetizione, senza poterti opporre a lasciarlo fare, anche quando hai appena goduto e vorresti respirare, LUI è una macchina del piacere. Non ti molla, ti tiene stretta e continua a farti godere fino a che non gli dici "Basta!" perché sei esausta. Ammetto che la prima volta ci ho messo un attimo ad abituarmi: nel piacere noi siamo così, un po' abitudinari. Sappiamo cosa ci fa godere e cerchiamo quella sensazione lì. Le volte successive l'ho lasciato fare, restando lì a sentire il suo modo di toccarmi, prima con leggerezza e gentilezza, poi con crescente intensità, fino a prendermi senza lasciarmi scampo. Venti giorni appena e ci siamo anche aperti a una doppia stimolazione. Ho invitato nel letto anche una mia vecchia conoscenza di lunga data, che è anche un suo collega, fanno parte della stessa azienda e lavorano decisamente bene insieme. LUI si occupa della clitoride, l'altro di penetrarmi. Ho preso una decisione definitiva: ho lasciato #Womanizer per #Lelo Sona Cruise 2 Domani arriva il telefono nuovo, promette video eccellenti e vi faccio vedere come funziona il #succhiaclitoridedelmiocuor. Womanizer lo avevo recensito provandolo in diretta in una trasmissione radio. Per il Sona Cruise 2 mi spingo oltre: ve lo mostro proprio con un video Ah. Nessun uomo è stato maltrattato per questo post! Non piccatevi per il gioco ironico che ho usato. Nessun sex toy sostituirà mai nessuno e nessuna. Sono sensazioni diverse. Completamente diverse. E se pensate che un sex toy possa penalizzare il vostro ruolo, tocca fare un discorsetto sull'autostima. La colpa. Un termine così stringato eppure così denso di concetto, di sfaccettature e di variabili che, se mi mettessi a scrivere tutto ciò che mi passa per la testa, ne potrebbe uscire un'enciclopedia, tanto ne sono intrisi e condizionati tutti gli aspetti della vita. Un concetto che implica una dinamica talmente potente da non aver lasciato indenne nessuno mai nel ciclo della vita e perfino nella non-vita: se ci pensate, questo profondo e insopprimibile disagio, provocato da rimorso per vere o presunte infrazioni alla legge morale o religiosa, è usato addirittura per colpire chi la vita non la produce. Chi non fa figli, insomma. Colpa. Colpire. Ferire. La colpa è una ferita. Investire una persona di una colpa è una ferita così come investire sé stessi di una colpa è l'atto di ferirsi, di attribuirsi un dolore per non essere stati ciò che si avrebbe dovuto essere secondo la morale. E quando entra in gioco la morale, lo sappiamo tutti, è sempre un gran caos. Ecco, LA COLPA di Raffaele Mangano per me è stato un gran caos. È scritto male? No no, tutt'altro. È stato talmente abile nel costruire questo romanzo che lo si legge con facilità e si finisce nel caos senza accorgersene. Attenzione che non sto utilizzando il termine caos nel senso contemporaneo che ha, ma in quello ancestrale, mai ben definito. Quello che indica uno spazio beante, uno spazio aperto che è voragine, che per chi ha inteso definirlo nella mitologia è stato il nulla ma anche l'origine del tutto. Ve la sto facendo complessa, eh? E invece è tutto molto semplice: leggendo questo romanzo sono finita, senza accorgermene, in una voragine di considerazioni su me stessa che, a un certo punto mi sembrava di essere nello stato del nulla. Nulla di definito, nulla di certo. Le mie convinzioni? Mi guardavano dall'alto, tutte lì in fila, vacillanti, e mi chiedevano di trovare loro un posto, di ricollocarle. Qualcuna l'ho persa, nello stato di crisi in cui Raffaele è riuscito a mandarmi. Una crisi rigenerante. Una sorta di sgambetto mentale che ti obbliga a cercare un nuovo equilibrio interiore. Lo so che può sembrare tutto molto poetico e forse quasi banale ma questo è quanto mi è successo: senza accorgermene sono entrata in crisi insieme al protagonista e poi a un certo punto della lettura l'ho quasi perso di vista, questo Fabio che non mi piaceva nemmeno tanto come personaggio. Non so nemmeno se mi piace ora a romanzo terminato sinceramente: è un po' come se fosse stato un compagno di viaggio con il quale non avrei voluto viaggiare eppure mi ha fatto scoprire cose che da sola non avrei raggiunto. La trama la trovate qui. Non ve la cito perché davvero penso che abbia ben poca importanza rispetto all'opportunità che viene invece dal gioco maestrale costruito dall'autore. Fossi in voi, nel caso di questo libro, non mi affiderei al fatto che la trama vi ispiri o meno. Certo che l'intreccio basato sul rapporto padre-figlio, e viceversa, è decisamente un passe-partout: chiunque di noi (chi in veste di genitore, chi di figlio, chi di entrambi) non può sottrarsi dall'essere partecipe a questa dinamica perché siamo comunque tutti figli di qualcuno. Indipendentemente dal fatto che quel qualcuno ci sia stato in senso di presenza o di assenza, che abbia contribuito al nostro benessere o sia stato motivo di malessere, che ci abbia condizionati positivamente o negativamente. La cosa davvero particolare è che la trama parla del rapporto genitore-figlio in primis ma, come poi succede nella realtà che questi rapporti si riversino su ogni dinamica di relazione, la riflessione si riversa su tutte le forme relazionali. Mangano ha indubbiamente un'abilità di scrittura e una capacità di astrarsi come narratore che sono rare nei romanzi contemporanei: romanzi ne ho letti parecchi ma non è da tutti riuscire a narrare senza imprimere nel lettore un giudizio e, in un romanzo che si intitola La Colpa, sembrerebbe un ossimoro se non fosse che a lettura terminata appare chiaro invece che il concetto di colpa ha talmente tante dinamiche possibili che l'unico sentimento oggettivo che possiamo attribuirgli è la comprensione umana. Mettiamo in atto comportamenti che sappiamo far male agli altri ma che non possiamo evitare, che possono essere colpe ma anche una motivazione, uno strumento, per non imporre a sé stessi ciò che non si sopporta di vivere. Sicuramente Raffaele è riuscito, con i due anni e mezzo di lavoro impiegati nel costruire questo romanzo, a regalare al lettore la possibilità di leggere la propria storia dentro a quelle righe. Quindi il mio consiglio è questo: compratelo ma non leggetelo. Che può sembrare un'affermazione pubblicitaria in favore di un amico per mera finalizzazione economica ma in realtà è l'unica cosa che mi riesce di dirvi perché è un libro che secondo me bisogna avere lì, a disposizione, e prenderlo in mano nel momento in cui sentite il desiderio di entrare dentro a voi stessi, nel vostro caos. Per me è stato così almeno: lo avevo in casa da qualche mese, lo avevo acquistato durante una presentazione a Napoli ma l'ho preso in mano solo un giorno "a caso", passando davanti alla libreria mentre uscivo con la valigia in mano per trascorrere qualche giorno fuori casa. Non è stato un caso, era semplicemente il mio momento per leggerlo. Lo avevo lì da mesi ma in quel momento ho avvertito forte il senso di colpa perché sapevo che Raffaele attendeva una mia riflessione. In realtà lui non c'entrava niente, non mi ha mai fatto pesare l'attesa e quel mio senso di colpa è stato semplicemente la motivazione per impormi di leggere quel libro che sapevo che mi avrebbe turbata. Lui aspettava sì una riflessione. Un po' perché tutti gli scrittori amano avere un feedback sui propri scritti ma soprattutto perché lui e io ci siamo conosciuti nel momento in cui io ho perso mio padre e, Raffaele, dopo un post che io scrissi appunto sulla morte di mio padre, mi scrisse un messaggio in cui mi diceva che la lettura di quel post gli aveva smosso qualcosa, lo aveva fatto riflettere sulla questione dei rapporti irrisolti tra genitore e figlio, che sarebbe rimasta tale "A meno che io mi inventi una storia e ci scriva sopra. Non la mia, una storia di un rapporto mancato. Bene, sappi che se accadrà tu sarai stata la responsabile, nel bene o nel male Perchè è da quel tuo post che mi gira per la testa qualcosa. I libri, forse lo sai, nascono tutti per caso, per il più banale dei casi." Sono certa che Raffaele mi perdonerà per avervi confidato questo pezzetto di cosa nostra e aver usato pubblicamente parole nostre private, perché lui sa che non hanno nulla a che fare col vanto. Non mi sto per niente vantando di averlo "ispirato" ma sto semplicemente esprimendo la bellezza del pensare che lui sia stato smosso dalle mie parole, fino ad elaborarne altre, che poi hanno smosso me. Le mie parole hanno buttato lui nel caos, gli hanno fatto uno sgambetto mentale, costringendolo a cercare un equilibrio attraverso un'elaborazione letteraria, la lettura della quale ha poi buttato me nel caos costringendomi a cercare a mia volta un equilibrio. È una riflessione che forse può capire davvero solo chi nella scrittura e nella lettura butta dentro se stesso consapevole di uscirne diverso ma, a giudicare dalle recensioni e dagli apprezzamenti che questo romanzo ha riscosso, Raffaele questa consapevolezza è riuscito a diffonderla. Del resto le capacità professionali di Mangano non devo di sicuro avvallarle io. Sono già largamente salde nonostante lui ne riferisca poca memoria nella sua biografia. Mettetevi LA COLPA lì, sul comodino. |
GRAZIA SCANAVINI
Ricercatrice Educatrice umanista Counselor filosofica Accanita divoratrice di film, libri, serie tv e... di Vita. Blog dedicato a fatti, film, libri, serie tv e cose belle.
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