La prima parte del titolo del post è triste quanto lo sono io in certi giorni in cui, per un motivo e per un altro, mi fermo a pensare agli adolescenti di oggi e ai loro genitori che sempre più frequentemente vedo arrivare in modalità richiesta di aiuto perché succede, per un motivo o per un altro, che si palesi un problema che è netta espressione di un malessere. Sto parlando di ragazzini in adolescenza che manifestano comportamenti ritenuti allarmanti o quanto meno indicativi di un disagio, di una crisi importante. Vabbè, direte voi, considerando l'età è fisiologico. Sì e no, rispondo io, perché è fisiologico finché il disagio manifestatosi non ha conseguenze incisive sulla vita quotidiana e sulla salute. Siamo tutti d'accordo? Un conto è quella condizione di irrequieta e malinconica sensazione determinata dalla fase di passaggio verso l'adolescenza. E qui noi genitori, gambe in spalla, ce la caviamo un po' come possiamo: un giorno sgridiamo, l'altro accarezziamo. Ci adeguiamo un po' all'umore del giorno, no? Un conto invece è quando si palesano comportamenti di eccessiva aggressività nel confronto di adulti e/o coetanei o il disagio nel frequentare il gruppo dei pari è talmente importante da spingere i ragazzi e le ragazze a evitare di uscire di casa. Se ne parla ormai ovunque: bulli, bullizzati, difficoltà nelle relazioni tra pari, sono un problema oggettivo, non sono sciocchezze. Ancor meno si tratta di sciocchezze quando nascono sintomi di origine psicosomatica come:
Il che è anche comprensibile perché è diffusissima l'idea del "ci siamo passati tutti e non è morto nessuno", no? Fino a che la cosa non ci tocca nel vivo, però. Fino a che non siamo obbligati a prendere consapevolezza che l'adolescenza di oggi non è l'adolescenza di trent'anni fa, tanto che la fascia evolutiva è stata proprio cambiata dalla scienza: adesso inizia a dieci anni e finisce a ventiquattro, quindi c'è una discordanza tra la nostra idea di adolescenza e l'effettiva evoluzione dei nostri figli. Seppur in quanto esseri tecnologici ci sembrino più "avanti" di noi, sono in realtà più immaturi a livello psicologico e vivono una realtà molto più complessa della nostra. A noi sembrano più facilitati perché fanno meno fatica fisica di quella che facevamo noi, hanno più agi di quanti ne avessimo noi, ma questo in realtà non è un qualcosa che ha giocato a loro favore, anzi... sono meno pronti di quanto lo fossimo noi ad affrontare quel periodo di cambiamento inopinabilmente difficile che è il passaggio verso l'età adulta. Non starò a farvi una filippica sui metodi educativi sbagliati o sul bisogno di consapevolezza genitoriale che oggi latita perché sono ben lontana dalla convinzione che colpevolizzare un genitore sia la soluzione ai problemi del figlio. E se avete un figlio adolescente che manifesta problemi oggi, uno spolvero di nozioni serve pressapoco a nulla: serve invece capire come muoversi, cosa fare e con quale stato d'animo affrontare la situazione. Basilare è prendere atto che il problema non deve essere preso come una vergogna, non deve essere fonte di colpevolizzazione e che solo la comprensione, l'accoglienza del malessere e l'assenza di giudizio nei confronti dei ragazzi può far sì che la situazione si risolva. Quindi mettete da parte tutto quelle domande e quelle convinzioni che vi allontanano dal problema e focalizzate l'obiettivo, che è quello di favorire il benessere di vostro figlio (che poi è pure il vostro, no?). Se l'adolescente manifesta problemi legati al comportamento c'è solo una via molto semplice da seguire: cercate un educatore o uno psicologo specializzato per l'età adolescenziale e chiede aiuto sul come comportarvi nel caso specifico della vostra famiglia. Mettete da parte i pregiudizi e il bisogno di sentirvi infallibili come genitori: oggi genitori non si nasce! La società e le dinamiche in cui viviamo sono talmente complesse che dovrebbero proprio istruire al mestiere di genitore, ma non succede. Quindi se in uno specifico momento vi trovate ad aver bisogno di un sostegno e di qualcuno che vi dia consigli mirati alla vostra situazione, non c'è nulla di male. Anzi. Se la vostra auto non funziona che fate? Andate dal meccanico, no? Ecco... proviamo a metterci nell'ordine delle idee che noi siamo capaci di far andare l'auto, di mettere la benzina, di assicurarla, ecc, ma per quanto noi ci impegnano può succedere che qualcosa non funzioni e che ci sia bisogno di una persona un po' più esperta di noi. Per l'auto è il meccanico, per le persone sono lo psicologo, lo psicoterapeuta e anche un buon educatore professionale può dare ottime dritte. Se l'adolescente manifesta problemi somatici ricorrenti, invece, il primo step è quello atto a definire se si tratta di un problema fisico (quindi una patologia organica) o di un problema psicosomatico. La differenza tra patologia organica e disturbo psicosomatico risiede nell’origine della malattia. Per tale motivo, di fronte a sintomi fisici dubbi, è fondamentale consultare in primis il pediatra o il medico di fiducia per poter eliminare possibili cause organiche della patologia. Laddove non fossero presenti disturbi di natura organica è importante che il genitore capisca che non vi è simulazione del sintomo: i dolori sono realmente presenti e spesso possono portare a limitare la libertà e la sfera sociale dei propri figli. Per un genitore è importante osservare la frequenza del sintomo anche per constatare se il disagio fisico si presenta in correlazione di un determinato evento, come ad esempio un compito in classe, un’occasione sociale, una ricorrenza, un evento particolare. A fronte di ciò occorre fornire il giusto ascolto, senza minimizzare o banalizzare ma cercando di comprendere insieme al proprio figlio quali possano essere i fattori scatenanti e, soprattutto quando i sintomi sono ricorrenti e determinano fatica e disagio quotidiani persistenti, non sperare che le cose si aggiustino da sole perché si corre il rischio che la situazione diventi cronica e condizioni pesantemente l'equilibrio dei ragazzi. Rivolgersi a un professionista è fondamentale. Ribadisco quindi le affermazioni fatte sopra: non lasciatevi prendere dallo sconforto o dal timore di essere giudicati "cattivi genitori". Non pensate mai che vostro figlio sia più debole degli altri, o sbagliato. È semplicemente in difficoltà e ha bisogno di essere spronato ad esternare l'ansia, ad elaborare certe dinamiche, a prendere consapevolezza che può farcela. Forse ha bisogno di un supporto nella costruzione del sé, nell'autodeterminazione e nel riconoscimento del sé in funzione dell'autostima. Sminuirlo, o sminuirne i problemi, non farebbe altro che fomentare il suo stato di incertezza emotiva. Due parole su quella che credo sia la prima cosa che vi viene in mente: come dire a vostro figlio o vostra figlia che deve andare da uno psicologo. Sono molti i genitori che mi chiedono: "Ma come faccio a dirgli che deve andare dallo psicologo? Poi penserà di essere matto!" Vi dico subito che solitamente i ragazzi non la prendono proprio in questo modo; lo fanno magari i figli di quelli che si esprimono abbastanza abitualmente in questo senso rispetto, appunto, a psicologi o educatori, ma se è il vostro caso sarà sufficiente dire che avete preso atto che dicevate una sciocchezza, che avevate sempre ragionato con superficialità, che vi siete sbagliati. Come fare, quindi, a proporgli un incontro con un professionista? Basterà un semplice: "Senti, ho pensato che potremmo chiedere, a qualcuno che se ne intende, come affrontare questa condizione di ansia, che dici? Perché io non sono sicuro di essere in grado di darti i consigli giusti e mi dispiace vedere che soffri, quindi magari parlarne con una persona estranea potrebbe farti bene. Cosa ne pensi? Poi non è che siamo obbligati ad andare sempre, eh! Magari proviamo una volta e vediamo come va. Se poi non ti trovi bene, non c'è nessun obbligo a continuare". Solitamente sono attratti dal continuare perché l'attenzione su sé che ricevono in questi incontri li fa sentire a loro agio. Ovvio che dipende anche dal professionista al quale si trova davanti, per questo vi consiglio una scelta ponderata. Prima di prendere un appuntamento per vostro/a figlio/a, cercate di informarvi e, ancor meglio, andate voi a un primo colloquio: farà bene anche a voi entrare nell'ottica del "facciamoci aiutare" perché la condizione ideale è sempre quella di creare una collaborazione efficace a "tutta famiglia". Se la vedete dura perché vostro/a figlio/a è piuttosto scontrosa, non accetta i vostri consigli, si oppone per partito preso, ecc, potreste anche provare a impuntarvi ma sempre motivando la decisione nell'ottica del concetto che lo state facendo perché avete preso consapevolezza che qualcosa non va e volete fare qualcosa per lui/lei perché lo(la amate, quindi volete il suo bene. Ancor di più in questo caso sarà utile un primo incontro tra voi e il professionista: lui/lei potrà consigliarvi come proporre la cosa al ragazzo o alla ragazza, basandosi sulle vostre specifiche dinamiche di rapporto. Spero di non avervi terrorizzato con l'elenco dei sintomi che, come avete visto, possono arrivare a livelli di gravità per niente leggeri ma ho preferito essere abbastanza completa per stimolarvi a comprendere che non c'è da allarmarsi inutilmente ma men che meno si possono sottovalutare sintomi che, se non trattati nei giusti tempi, possono condizionare un'evoluzione ingravescente da cui poi, uscire, sarà sempre più faticoso. Non eccediamo con la preoccupazione ma non prendiamo sottogamba segnali che possono essere importanti. E men che meno, di qualsiasi disturbo si tratti, facciamone una colpa ai ragazzi, sminuiamone il malessere o irridiamoli. Segnatevi queste tre parole e tenetele sempre a mente: hanno bisogno che da parte vostra ci siano comprensione, accoglienza e assenza di giudizio. Ne hanno bisogno sempre, per crescere in modo efficace e sereno. Ne hanno fame quando si trovano in momenti di disagio. Ultimo, ma non per importanza, ci tengo a spiegarvi cosa fa il professionista nel momento in cui si trova davanti vostro figlio o vostra figlia: li osserva, sia da un punto di vista scientifico oggettivo (che si avvale di test a cui sottoporrà i ragazzi) sia dal punto di vista emotivo. Farà un'attenta analisi dello stato psicologico di vostro figlio che magari potrebbe anche risultarvi completamente diversa dall'idea che voi avete di lui o lei. Date retta: se decidete di affidarvi, fatelo con la consapevolezza che quella persona è lì per aiutarvi, non per giudicarvi. È un alleato, non un nemico. Mettete in conto che il mondo dei nostri figli è fatto di famiglia ed extra famiglia, quindi il problema potrebbe venire da fuori, così come da dentro. Se lo psicologo o l'educatore dovessero dirvi che qualcosa non va nel vostro comportamento, ad esempio, non prendetela di petto, non sentitevi offesi, perché non servirebbe a nulla. Lo fa per darvi consapevolezza, per avvicinarvi alla soluzione del problema, per indicarvi in maniera oggettiva su cosa bisogna lavorare per risolvere il problema. Non vi sta giudicando, non gliene frega proprio niente, gli interessa invece facilitarvi nel compito di sostenere i vostri figli nell'acquisire un equilibrio in cui sentirsi a suo agio. Prendete invece spunto per riflettere, per riconsiderare anche voi stessi e la vostra relazione genitoriale. In fin dei conti siamo partiti dicendo che genitori non si nasce, no? Avete fatto tante buone cose, tante, ma magari in un aspetto pensavate di fare il giusto e giusto non era, semplicemente. Lasciatevi guidare e i risultati saranno solo un guadagno in benessere per vostro/a figlio/a. E questo sì significa essere un buon genitore: mettersi in gioco per essere sicuri di guidare e accompagnare un figlio nella crescita nel miglior modo possibile. A volte sbagliamo, sì, Tutti. Concediamocelo. E ringraziamo che esistano persone in grado di aiutarci. Quando un figlio sta male, anche quando manifesta il malessere con atteggiamento che ci fa arrabbiare, noi non siamo sereni, no? Stiamo male per lui e con lui. Diamoci la possibilità di essere sereni tutti. Ieri sera abbiamo finito di vedere la serie #SexEducation su #Netflix. Io la quoto, sia perché affronta la tematica sessuale in maniera disincantata e in un linguaggio adeguato a quello a cui gli adolescenti sono abituati (quindi efficace nel coinvolgerli), sia perché pur avendo la sessualità come filo conduttore affronta diversi aspetti relazionali tra pari e non: le dinamiche dell'amicizia, il bullismo, la difficoltà del riconoscimento e dell'accettazione dell'orientamento sessuale sia proprio che altrui, le dinamiche delle relazioni genitori-figli (genitori che riversano aspettative sui figli, situazioni di famiglie con genitori dello stesso sesso, rapporto dei genitori con figli omosessuali,...). Si parla di aborto, si parla dei dubbi tipici dell'età, si parla di genitori troppo assenti e genitori troppo presenti, che esercitano eccessivo controllo psicologico. Si tratta la necessità adolescenziale del far parte dei gruppi, la fragilità dell'età stessa, il timore di rimanere vergini (correlato alla pressione dell'obbligo sociale di fare sesso per essere riconosciuti come individui capaci). C'è davvero tanto. Il ritmo e la fotografia sono accattivanti soprattutto se consideriamo che la serie è pensata principalmente per un pubblico davvero giovane ma che, almeno personalmente, ho trovato interessante. La serie è VM14 e credo che effettivamente non sia adatta la visione ai più piccoli perché potrebbe creare più confusione che altro, essendo piuttosto diretta e specifica. Nelle primissime puntate ero un po' scettica perché l'ambientazione modello "american college" mi dava l'impressione di storia stereotipata ma questi stereotipi sono svaniti attraverso la forza presentata in ciascuno dei personaggi principali. La costruzione dei personaggi è una delle cose più importanti in una narrazione, più importante degli scenari e della trama stessa, e in Sex Education a mio parere sono stati elaborati molto bene. La serie è stata in grado di condensare un'enorme pluralità di complicati problemi adolescenziali sotto forma di diverse esperienze e tutte le questioni che sono state trattate sono lungi dall'essere esaurite: cioè c'è molto materiale per discussione e riflessione. Noi abbiamo scelto di guardarlo tutti insieme ed è stato un momento utile anche per capire cosa nostro figlio avesse chiaro e cosa no, perché nell'intercedere delle puntate ci ha fatto parecchie domande che forse non avrebbe mai pensato di fare: non per pudore ma proprio perché non ci sarebbe stata l'occasione scatenante. Credo che possa essere un buon veicolo per affrontare insieme un argomento che spesso mette genitori e figli in difficoltà... magari un po' di imbarazzo subito, ma sempre meno difficoltoso e più fluido che partire dal "Dobbiamo fare un discorso". Se decidete di guardarlo insieme ai vostri figli, sia però chiaro che dovete imporvi di non criticare il linguaggio e i comportamenti dei protagonisti... cioè, non fate i bigotti perché la situazione vi imbarazza ad esempio. Ricordate sempre che se volete instaurare un dialogo costruttivo con i vostri figli dovete attenervi a tre regole basilari: ACCOGLIENZA, COMPRENSIONE e SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO. Se i vostri figli non percepiscono questo, potete solo sognare che vi raccontino o vi chiedano. Insomma. Ce ne fossero di serie così e che prendessero il posto di tutte le varie "americanate" che davvero fanno, degli stereotipi, un mito. ...e SENTIMENTALE aggiungo! Qualche mese fa (era il periodo dei dibattiti sulla legge matrimoni/adozioni gay), sulla chat del gruppo-genitori della squadra di calcio di mio figlio, un papà ha postato un'immagine uguale a quella che trovate qui sotto, mancava giusto la scritta "non ricchioni". Diciamo che lasciava solo sottintendere. Ironica, non ne discuto. Ma non sono riuscita a trattenermi e gli ho risposto che, nonostante io apprezzi l'ironia, ero molto dispiaciuta di vedere che un padre postasse cose del genere e che riflettesse riguardo a quanto l'ironia di questo genere possa incidere su un ragazzino meno che adolescente, nel caso lo avesse visto. Gli ho chiesto se avesse mai pensato che il figlio, qualora in futuro avesse scoperto di essere gay, probabilmente avrebbe avuto seri problemi a confidarsi con un padre che deride i gay (per onor di cronaca veritiera, ho scritto ironicamente che se lo avessi avuto davanti gli avrei dato un calcio nel culo!). Mi rispose malissimo naturalmente, dicendo praticamente che non gliene fregava nulla e che io non avevo nulla da insegnargli. Dopo poco la moglie ha commentato a difesa del marito dicendo che il marito non è omofobo ma, essendo ad una cena un po' ubriaco, aveva postato la foto nel gruppo sbagliato. Il che naturalmente non cambiava nulla. Non era il gruppo sbagliato, il problema, no?
Comunque, a parte che chiaramente la coppia in questione ora fatica a salutarmi, nel pomeriggio ho postato questa riflessione su Facebook: "Se siete genitori, ogni volta che vi sovviene di fare una battuta sugli omosessuali, pensate ai vostri figli. Pensate che potrebbero esserlo o avere dubbi sul proprio orientamento sessuale. Pensate al fatto che non avrebbero il coraggio di parlarvene proprio perché vi sentono deridere. Magari lo fate senza darci peso. Non è che siete omofobi è che la battuta è facile, divertente o anche solo carina.. O stare dalla parte di chi deride vi mette al sicuro dall'essere giudicati gay. Pensate che li fate soffrire. ...sempre che il vostro amore per loro sia superiore al bisogno di ridicolizzare un aspetto dell'essere umano che di ridicolo non ha nulla." Ne è scaturito un dibattito e dopo poche ore ho ricevuto questa mail:"Ciao ho letto il tuo post su fb e ho pensato di scriverti. In questo periodo sto male xché quando guardo video porno mi eccito di più a guardare quelli tra i gay. Secondo te sono gay? Io non li ho mai guardati poi con degli amici un pomeriggio li abbiamo visti per ridere. Quando sono stato da solo sono andato a rivederli e adesso mi masturbo guardandoli ma appena ho sborrato mi faccio schifo. Non ne parlo con nessuno xché so che i miei amici mi prenderebbero in giro fino a fottermi xché una volta mi sono azzardato a dire di lasciare in pace un ragazzino un po' effemminato che a scuola prendono in giro e mi hanno detto allora sei finocchio anche tu. Con i miei non ho mai parlato di sesso. Mio papa' poi li chiama checche quindi figurati. Tre mesi fa ho anche scritto a uno psicologo in un forum ma lui mi ha detto che dovevo andare a fare terapia da uno e io non ci penso neanche. Non ho mai scopato con una ragazza mi sono solo fatto fare un pompino da una in discoteca mentre lo faceva ad altri amici per gioco e mi è piaciuto. A volte penso a lei quando mi faccio una sega ma sborro di più guardando i video gay. Sono un finocchio secondo te? Vorrei scoparmi una ragazza per vedere ma ho anche paura che non mi diventi duro e di fare una figuraccia. Quando sono in palestra vedere gli altri nudi non mi fa un gran effetto ma se li penso a incularsi mi diventa di marmo. Cioè le donne mi piacciono, guardare le tette me lo fa diventare duro ma non voglio fare una figura di merda che se poi lei lo va a raccontare in giro? Da qualche parte ho anche letto che uno ha provato con una troia così non correva il rischio ma io non ho i soldi e neanche la macchina per ora. Quindi secondo te dovrei provare prima a scoparmi una ragazza o un ragazzo? XXX" Credo che qualsiasi genitore possa immaginare il mio stato d'animo quando ho letto questa mail. I punti su cui riflettere sono molteplici: - il malessere psico-fisico manifestato dal ragazzo per non essere in grado di comprendere la propria sessualità; - l'impellenza, il bisogno di capire subito; - la difficoltà di fare delle scelte sul come comportarsi per arrivare a capire se stesso; - il timore del giudizio da parte degli amici; - il linguaggio... purtroppo tipico di questa fascia adolescenziale, male educata ai rapporti in generale, utilizzano con adulti e sconosciuti la stessa terminologia che usano tra di loro, segnale che non sanno valutare la differenza dell'esporsi nei diversi ambiti (l'apoteosi sarebbe essere in grado di cambiare l'utilizzo di questo linguaggio anche tra di loro, il che sarebbe segnale dell'aver modificato il loro approccio mentale al problema); - l'impossibilità di chiedere consiglio ai genitori per la mancanza di dialogo e per la chiara idea che il padre non accetterebbe di avere un figlio "checca". Il timore di deludere il padre; - lo smarrimento di un adolescente che è buttato (come tutti gli adolescenti) in una vita sessuale non sana (credetemi che di ragazze che fanno a gara sui rapporti orali ho sentito parlare centinaia di volte dai ragazzi). La modalità con la quale questo ragazzo si rapporta alla sessualità è, mi sembra ovvio, molto indicativa di come i giovani vivano la sessualità oggi. Non stiamo più parlando dei sogni e dei timori che assillavano noi da adolescenti in attesa de "la prima volta" ma di trovare una soluzione rapida per risolvere un problema di classificazione: sono gay o non sono gay? La sofferenza è intrinseca, chiaro, ma pur considerando il coraggio di questo ragazzo a scrivermi, sono rimasta colpita dal fatto che per lui la problematica sia più relativa al mondo che lo circonda che alla comprensione della propria sessualità. E non c'è nessun accenno all'aspetto dell'affettività. Nessuno. Ho molto riflettuto su questa mail e sinceramente mi sono sentita totalmente disarmata: mi chiedeva un consiglio, niente più, che non mi sono sentita di dargli perché a parer mio andava educato da zero! Lui voleva una risposta pratica, immediata, che facessi io la scelta al posto suo. Ho pensato, in termini adolescenziali, che avrebbe voluto una APP probabilmente! Mi ha "usata" come si usa una APP: a domanda corrisponde soluzione! Perché ho scritto questo post? Oggi dopo aver letto che un diciottenne si è suicidato sotto un treno perché i genitori non accettavano la sua indole gay mi sono sentita in colpa! Io a quel ragazzino avevo risposto che non mi sentivo di dare consigli perché non lo conoscevo, non conoscevo la sua realtà e che ritenevo sbagliato mettersi alla prova fisicamente solo per capire; che un'esperienza affrontata con quello stato d'animo non gli avrebbe dato nessuna sicurezza, anzi, forse gli avrebbe causato maggior confusione. Gli ho scritto che forse sarebbe stato più utile "entrare in stand-by", sospendere momentaneamente la ricerca forsennata di una risposta ma lasciare che l'affettività lo guidasse. "...Prova a non pensare di dover capire ora, subito. Prova a non vivere situazioni come quella della ragazza dei pompini ma cerca invece di uscire con una ragazza o un ragazzo che ti stimola, che ti piace, con cui ti diverti e ti senti a tuo agio. Poi saranno le sensazioni che vivi a indicarti cosa ti da benessere e cosa no. Non avere fretta di "scoparti" una o l'altro. Essere eterosessuale, omosessuale o bisessuale non significa "scopare" degli orifizi ma trovare soddisfazione nel condividere il proprio corpo con una persona che ti piace, che ti da benessere..." Mi ha risposto con un semplice "Ok" ma è chiaro che la mia risposta, molto lontana da quanto avrebbe fatto una APP, non gli è piaciuta: ho dilatato i tempi, non ho risolto nulla, gli ho chiesto di essere diverso da quel che è, e cioè un figlio dell'immediato, del "datemi una soluzione". Naturalmente lui ha tutta la mia comprensione perché non è sicuramente colpa sua se abbiamo cresciuto una generazione ineducata sulla sessualità e sull'affettività. Non è colpa sua se riteniamo che l'affettività sia innata e non capiamo che nell'era delle APP non lo è! Non è colpa sua se continuiamo a far finta che gli adolescenti siano asessuati e a incutere loro la vergogna di parlacene. Non è colpa sua se per la vergogna di affrontare il discorso continuiamo a dire: "ci siamo passati tutti e non siamo morti!". Non è colpa sua se per stupidi moralismi continuiamo a ritenere la sessualità un aspetto secondario e li lasciamo ad autogestirsi tra pornografia online, chat a sfondo sessuale e bagni di discoteche in cui si fanno le "gare di pompini". Oggi, leggendo l'articolo del ragazzino suicidatosi, mi sono chiesta: e se fosse lui? Non era lui ma questo non mi rasserena comunque. Che società è quella in cui un ragazzo non sopporta più di vivere per i pregiudizi che lo circondano? Società che ha fallito, che fallisce ogni volta che un ragazzino soffre inutilmente: Società che usa le notizie come questa per vendere giornali o ottenere visualizzazioni ma non affronta il problema, se non in poche, inefficaci e sporadiche iniziative. Adesso la colpa ricade sui genitori naturalmente, che noi tutti stiamo additando e riguardo ai quali ci chiediamo "come hanno potuto"? Ma finisce tutto qui, fino al prossimo eclatante titolo sul giornale! Mi sono casualmente imbattuta in questo film diretto da Lucia Puenzo e presentato al Festival di Taormina del 2007, vincitore della Settimana della Critica a Cannes. Molto interessante trovarsi a riflettere su uno di quegli argomenti che raramente vengono affrontati perché riguarda una ristrettissima fascia di persone: gli intersessuali (chi non avesse nozioni minime, può leggere qui). Nonostante all'epoca della pubblicazione siano nate alcune contestazioni da parte del Comitato Scientifico MULTITASK (Unione Italiana Sindrome Klinefelter), il film è indubbiamente buono: una regia apparentemente arida, minimalista, dialoghi asciutti, lunghi silenzi necessari a focalizzare l'intensità emotiva di immagini tendenzialmente esplicite sulla situazione ma senza eccessiva invadenza. La trama si svolge in Uruguay ed è ben articolata, soddisfacente nel considerare gli aspetti della problematica, soprattutto perché relativa al periodo adolescenziale in cui Alex, personaggio principale interpretato magistralmente da Inés Efron, si trova a dover decidere se salvare di sé la parte femminile (predominante nell'aspetto fisico e nella voce) o quella maschile (predominante nell'istinto sessuale). E' sostanzialmente una riflessione profonda sulla ricerca di identità di genere e sull'orientamento sessuale. Trama molto coerente per le dinamiche famigliari: genitori che (molto preoccupati al punto di essersi trasferiti da Buenos Aires alle coste dell'Uruguay nel tentativo di preservare Alex e sé stessi dai problemi indotti dal confronto con la società) dapprima sembrano voler condizionare la scelta di Alex in base all'apparenza fisica ma sviluppano in profondità la ricerca della comprensione della reale natura della figlia, affrontando la situazione con enorme consapevolezza. La chiave vincente del personaggio di Alex è la perfetta espressione di entrambe le componenti di genere che porta a focalizzare come una persona possa avere caratteristiche femminili e maschili diverse dalla maggioranza e trovare un equilibrio con sé stessa nel momento in cui la "resa pubblica" della propria conformazione fisica la rende libera di decidere. La componente "sociale" della questione è condizionante e determinante, come in qualsiasi situazione considerata "diversa" dalla normalità. Preziosa, al fine di allargare la riflessione, la relazione che si instaura gradualmente tra Alex e Alvaro, adolescente attratto della parte femminile di Alex come vettore di innamoramento ma attratto dal suo ruolo maschile nella sessualità, che va quindi ad appagare il lato omosessuale di Alvaro, anch'esso ancora alla ricerca del proprio orientamento sessuale. Anche grazie al personaggio di Alvaro consiglio sicuramente la visione di questo film perché permette di riflettere anche a chi non ha diretta esperienza sulla questione ma vuole comprendere meglio le dinamiche emotive legate alla ricerca dell'identità sessuale: Alvaro (il cui padre teme l'omosessualità) sembra trovare in Alex il soddisfacimento ideale alla propria identità bisessuale. Insomma, lo trovo un ottimo strumento di riflessione. Un consiglio? Predisponetevi a guardarlo con meno pregiudizi possibili e, se ce la fate, guardate anche questo, altro ottimo film per ragionare su dinamiche considerate "anormali" ma che maturate con intelligenza e consapevolezza, possono essere molto più appaganti della normalità per convenzione. |
GRAZIA SCANAVINI
Ricercatrice Educatrice umanista Counselor filosofica Accanita divoratrice di film, libri, serie tv e... di Vita. Blog dedicato a fatti, film, libri, serie tv e cose belle.
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