![]() Da ieri ho già letto non so quanti post e commenti che accusano Boldrini di ogni peggio cosa rispetto a questa sua affermazione. Io non capisco il perché di questo accanimento. E lo dice una che non sta di sicuro difendendo l’agire della sinistra in questo momento, anzi. La questione del linguaggio di genere è iniziata vent’anni fa e si sta metodicamente lavorando (non per vezzo, ma) perché il linguaggio condiziona l’apprendimento e, di conseguenza, il comportamento. Quindi, mi pare abbastanza facile capire che, se vogliamo cambiare i comportamenti, dobbiamo cambiare anche il linguaggio. Cioè, parliamo di processi delle reti neurali, provati dalle neuroscienze, non di una fissazione della Boldrini. La questione del linguaggio di genere coinvolge tutto il mondo da quasi vent’anni. Se vogliamo contestualizzare alle istituzioni, il Parlamento europeo adotta linee guida per il linguaggio di genere dal 2008 (e Meloni, ora, è tenuta a parlare anche là, ci intendiamo?). La Crusca ha dichiarato che la declinazione corretta è LA Presidente e che, essendo ancora tutto in evoluzione, chi preferisce le forme tradizionali maschili ha comunque diritto di farlo. Ecco cosa sta dicendo Boldrini: Meloni potrebbe scegliere di contribuire all’evoluzione verso la parità di genere, ma SCEGLIE di non farlo. Punto. Sapete che gli atenei italiani adottano vademecum di comunicazione rispettosa del linguaggio di genere da oltre un decennio? Se state pensando che siano soldi buttati, non lo dite, datemi retta... vi autoproclamereste ignoranti. E, se state pensando che la Presidente del Consiglio possa scegliere di farsi chiamare come le pare, state affermando che vi va bene che chi vi rappresenta non persegua il bene comune, intellettualmente ed economicamente. Avete un’idea di quanti soldi pubblici vengono spesi a livello mondiale per l’evoluzione del linguaggio e continueranno a essere spesi finché la gente non apprenderà? Banale dirlo, ma prima ci abitueremo, maggiore sarà il vantaggio che ne trarremo sia in parità di genere, sia a livello economico. Perché se, per incantesimo, stamattina chiunque parlasse un linguaggio adeguato, quei milioni sarebbero risparmiati. Di non sminuire l’importanza del linguaggio di genere lo chiedo soprattutto agli amici e alle amiche che sono, o si proclamano, scrittori e scrittrici. Quando scrivete, che sia per mestiere o per diletto, avete il dovere di usare un linguaggio aggiornato con le linee guida, salvo che la vostra motivazione a scrivere sia puramente egoriferita. Perché le scienze hanno stabilito che è necessario adeguare il linguaggio e, se non lo fate, diffondete ignoranza e ostacolate l’evoluzione della parità di genere. Non sto mica dicendo che sia facile, eh. Io ci combatto da anni, per esempio. All’inizio pensavo fosse una cazzata, inutile e superflua, poi ho studiato. Siccome è davvero complicato, ho pensato che potevo impegnarmi il più possibile nelle cose che scrivevo e che avevano una diffusione limitata, tipo questo post. Una rilettura dedicata solo ed esclusivamente a valutare la correttezza del linguaggio di genere. Però per i contenuti da pubblicare con un certo intento di diffusione, o da inviare ad altre persone che ci avrebbero poi lavorato su, ho scelto di sottoporre gli scritti a Chiara, la mia editor. Non solo per mandare cose corrette, ma anche perché le sue revisioni mi segnalano dove ho sbagliato, e prenderne atto mi aiuta ad apprendere. Proprio ieri, mentre io provavo a spiegare le cose qui sopra e mi sentivo rispondere da una donna che “da autrice” si sente male al pensiero che la lingua evolva in modo ridicolo, Chiara stava seguendo l’ennesimo corso di aggiornamento sulla questione del linguaggio di genere, per dire. Se volete farne uno gratuito, ma serio, eccolo qui. https://learn.eduopen.org/eduopenv2/course_details.php... Chi si occupa di editing e di scrittura sul serio, insomma, sa che è una partita durissima da giocare e che non c'è proprio nulla di ridicolo. Se ci impegniamo tutti, non facciamo altro che favorire un cambiamento sociale positivo in minor tempo. Se chi scrive usa un linguaggio corretto, chi legge apprende un linguaggio corretto. Rifletteteci, vi chiedo solo questo. Per chiudere, Boldrini altro non fa che tenere alta l’attenzione sul fatto che Meloni, ben sapendo che il linguaggio condiziona la mente, sceglie di mantenere un linguaggio disfunzionale alle pari opportunità. Quindi, dov’è che starebbe sbagliando? Sta esercitando la sua funzione politica. Perché non può fare un post o un tweet su questo, che dal punto di vista scientifico è corretto e politicamente fa parte delle sue aree di competenza? Ma soprattutto, e mi rivolgo alle donne che stanno sminuendo l’impegno di Boldrini, capite che c’è UN SISTEMA MONDIALE che sta lavorando per voi e voi lo state irridendo e attaccando? Il riconoscimento alla Ernaux è qualcosa che a me sa di straordinario non solo perché è attenzione al femminile. Scrittrici donne, i cui prodotti sono viaggi meravigliosi, ce ne sono tante. Ma la Ernaux è femminile crudo e schietto amalgamato al contesto sociale.
Una donna che guarda oltre sé attraverso sé. Annie Ernaux si fa da sempre veicolo di espressione del capitale umano inserito nel sistema. Usa sé stessa biograficamente senza alcun intento autoreferenziale, solo per focalizzare l'evoluzione dell'essenza umana nonostante il contesto e grazie al contesto. La narrazione esplicita, senza strategie di romanticismo per abbellire o imbruttire. Non ha bisogno di usarle, per coinvolgere. È chiaro, a chiunque la legga, che non le interessa apparire bella o brutta, giusta o sbagliata. Esperienza individuale che si fonde in quella sociale del periodo storico in cui si evolve, con l'unico intento di mostrare il capitale umano femminile come facente parte del sistema per stimolare riflessione sociologica. Mostrarlo per potenzialità e limiti. Per quello che è. Il Nobel ci sta dicendo: guardatelo. E io lo trovo straordinario. ![]() Ho questa malattia per la ricerca. Da sempre. Fin da piccola, più che leggere favole o romanzi, passavo ore a sfogliare le enciclopedie. Tipo che cercavo una cosa a caso e la leggevo. In quella, mi colpiva un qualcosa che veniva citato, andavo a cercarlo, leggevo e trovavo qualcos'altro, che andavo a cercare, leggevo e così via. All'università ho iniziato a fare la stessa cosa con i libri: ne dovevo leggere uno per un esame? Quel libro ne citava altri tre? Io li andavo a leggere. Quelli ne citavano altri? Io andavo a leggerli. Quando è arrivato internet, ovviamente, per me è stato come potrebbe essere iniziare la convivenza con un pusher per una persona con una dipendenza da stupefacenti. Ancora oggi, parto dal cercare un contenuto e sono capace di passare quattro ore senza staccare gli occhi dal video, in una staffetta di contenuti che magari mi porta a mille miglia da quello iniziale. Oppure mi addentra nei particolari di quel contenuto fino all'osso. Qualche mese fa, mi è stato citato un personaggio, vissuto a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento, che ha una storia straordinaria che io non conoscevo. Sull'onda dell'entusiasmo, ho passato giornate ad approfondire tutto ciò che riguardasse lui e il contesto in cui ha vissuto, tra cui il terremoto di San Francisco del 1906. Ho spaziato dalla Gold Rush, alla guerra di secessione, all'immigrazione di ogni genere in America, alla questione della definizione della razza per gli italiani (lo sapete che quando siamo arrivati là, siccome gli immigrati italiani provenivano dal sud e avevano la pelle molto abbronzata, si è dibattuto sulla possibilità che fossimo neri e, pertanto, vendibili come schiavi?), a solo Cristo, se esiste, sa cosa. Perché macino parole dopo parole, contenuti dopo contenuti. Li mangio, me ne nutro. Articoli, immagini, archivi storici delle università di tutto il mondo, dei ministeri, delle associazioni culturali, delle raccolte di testimonianze... un delirio, letteralmente. Cercando libri e articoli di giornale americani di quel tempo, da leggere, mi sono inoltrata in quell'oceano di meraviglia che è Ebay e ho acquistato cose, tra cui due libri in lingua, da due venditori diversi, riguardanti questo personaggio. È arrivato il primo e ho avuto una botta al cuore: il libro portava una dedica scritta a mano proprio di sua figlia, che lo aveva inviato in omaggio a un ministro italiano. Una coincidenza meravigliosa, no? Quando qualche giorno più tardi è arrivato il secondo e l'ho aperto, ho passato una decina di minuti in un limbo mentale, cercando di capire se fossero le traveggole o cosa... una dedica, la stessa calligrafia, ancora inviato allo stesso ministro. Per una malata come me, quello è stato un segno, ovviamente. E siccome non sto cercando di disintossicarmi, ho continuato a cercare cose quasi compulsivamente. La cosa che più amo, su ebay, sono le lettere e le cartoline viaggiate, perché sono le persone che le hanno inviate a parlarmi. Ne leggo a centinaia, cercando di immaginare il contesto in cui quella persona l'ha scritta, la vita che stava facendo, da dove era partita, quando, ecc. E vado a vedere dove abitava chi l'ha ricevuta, a immaginare cosa dev'essere stato riceverla e cose così. Quelle degli emigrati italiani spedite alle famiglie, per esempio: sono pezzi di storia specifica e particolareggiata che dovremmo conoscere tutti, prima di esternare la nostra opinione sull'immigrazione, per dire. Perché a parlare di cifre e di stereotipi, son capaci tutti. Ma leggere le storie personali, entrare nella sofferenza e nella speranza di una persona che è andata a centinaia di migliaia di km da casa per cercare di mantenere chi è rimasto a casa, è tutt'altra. Ma lasciamo perdere, che sto divagando. In uno dei miei viaggi mentali, mentre studiavo la questione dei newspapers di San Francisco durante il terremoto, sfogliando le centinaia di cartoline che ritraggono la città devastata, spedite dall'America a chissà dove, mi sono imbattuta in questa che ritrae l'entrata della sede del Chronicle (che nel terremoto poi è bruciato). È stata inviata due mesi prima del disastro. Mi ha colpito subito, l'ho comprata. In attesa che arrivasse, con l'entusiasmo di una bambina che aspetta di poter aprire il regalo di Natale, ci ho costruito su una storia tra la sorella del venditore di fiori e il marito della signora che li sta comprando, che poi è un giornalista del Chronicle. Ci ho scalettato un romanzo, che da domani inizierò a scrivere e che diventerà la mia terra di nessuno. Ieri è arrivata. Solitamente, la posta la ritira mio marito, tranne quando aspetto cose di questo genere. Avevo guardato la buchetta della posta ogni giorno, questa settimana. Anche ieri, ma non c'era niente. Poi, quando è rientrato lui, me l'ha portata. Il regalo. Divento una bambina. Per la malattia che ho, tenerla tra le mani, pensare che si è conservata per oltre centosedici anni, peraltro in ottime condizioni, mi assale una sensazione che è difficile da spiegare. L'immagine è la prima cosa che colpisce, certo, ma io l'avevo già guardata chissà quante volte... ed è tutto l'insieme che mi ammalia. Il timbro di spedizione. Immaginare questa persona che è entrata all'ufficio postale di Palo Alto, il 24 febbraio 1906 alle 12.30. Era sabato. Un'impronta vicino al francobollo. L'impiegato dell'ufficio che lo attacca, con le dita imbrattate di inchiostro, e poi lo timbra. Il viaggio. Sarà stata chiusa in un sacco e portata all'imbarco con una delle prime macchine che viaggiavano o, essendo l'ufficio a poca distanza dal porto, più probabilmente su un carretto trainato da qualche bracciante cinese sottopagato o, chissà, era un facchino italiano? Avrà viaggiato nella stiva di qualche nave che portava a casa emigrati, che tornavano dalle proprie famiglie o per prendere moglie, forse. Presumibilmente a Genova. Come ci sarà arrivata, poi, in Germania? Di fatto, è giunta a Bruchsal, un paese che sta nelle lande sopra Stoccarda, il 10 marzo 1906. Quattordici giorni dopo. Era sabato. Frau Clara Grohe l'avrà ricevuta il lunedì... Chissà chi era, per lei, la persona che l'ha spedita. Chissà cos'ha pensato, vedendo che è un'immagine quasi estiva, quando ha letto che si tratta della mattina di Natale a San Francisco. Lei che, abitando lì, forse non ha mai visto un Natale senza la neve. |
GRAZIA SCANAVINI
Ricercatrice Educatrice umanista Counselor filosofica Accanita divoratrice di film, libri, serie tv e... di Vita. Blog dedicato a fatti, film, libri, serie tv e cose belle.
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