La prima parte del titolo del post è triste quanto lo sono io in certi giorni in cui, per un motivo e per un altro, mi fermo a pensare agli adolescenti di oggi e ai loro genitori che sempre più frequentemente vedo arrivare in modalità richiesta di aiuto perché succede, per un motivo o per un altro, che si palesi un problema che è netta espressione di un malessere. Sto parlando di ragazzini in adolescenza che manifestano comportamenti ritenuti allarmanti o quanto meno indicativi di un disagio, di una crisi importante. Vabbè, direte voi, considerando l'età è fisiologico. Sì e no, rispondo io, perché è fisiologico finché il disagio manifestatosi non ha conseguenze incisive sulla vita quotidiana e sulla salute. Siamo tutti d'accordo? Un conto è quella condizione di irrequieta e malinconica sensazione determinata dalla fase di passaggio verso l'adolescenza. E qui noi genitori, gambe in spalla, ce la caviamo un po' come possiamo: un giorno sgridiamo, l'altro accarezziamo. Ci adeguiamo un po' all'umore del giorno, no? Un conto invece è quando si palesano comportamenti di eccessiva aggressività nel confronto di adulti e/o coetanei o il disagio nel frequentare il gruppo dei pari è talmente importante da spingere i ragazzi e le ragazze a evitare di uscire di casa. Se ne parla ormai ovunque: bulli, bullizzati, difficoltà nelle relazioni tra pari, sono un problema oggettivo, non sono sciocchezze. Ancor meno si tratta di sciocchezze quando nascono sintomi di origine psicosomatica come:
Il che è anche comprensibile perché è diffusissima l'idea del "ci siamo passati tutti e non è morto nessuno", no? Fino a che la cosa non ci tocca nel vivo, però. Fino a che non siamo obbligati a prendere consapevolezza che l'adolescenza di oggi non è l'adolescenza di trent'anni fa, tanto che la fascia evolutiva è stata proprio cambiata dalla scienza: adesso inizia a dieci anni e finisce a ventiquattro, quindi c'è una discordanza tra la nostra idea di adolescenza e l'effettiva evoluzione dei nostri figli. Seppur in quanto esseri tecnologici ci sembrino più "avanti" di noi, sono in realtà più immaturi a livello psicologico e vivono una realtà molto più complessa della nostra. A noi sembrano più facilitati perché fanno meno fatica fisica di quella che facevamo noi, hanno più agi di quanti ne avessimo noi, ma questo in realtà non è un qualcosa che ha giocato a loro favore, anzi... sono meno pronti di quanto lo fossimo noi ad affrontare quel periodo di cambiamento inopinabilmente difficile che è il passaggio verso l'età adulta. Non starò a farvi una filippica sui metodi educativi sbagliati o sul bisogno di consapevolezza genitoriale che oggi latita perché sono ben lontana dalla convinzione che colpevolizzare un genitore sia la soluzione ai problemi del figlio. E se avete un figlio adolescente che manifesta problemi oggi, uno spolvero di nozioni serve pressapoco a nulla: serve invece capire come muoversi, cosa fare e con quale stato d'animo affrontare la situazione. Basilare è prendere atto che il problema non deve essere preso come una vergogna, non deve essere fonte di colpevolizzazione e che solo la comprensione, l'accoglienza del malessere e l'assenza di giudizio nei confronti dei ragazzi può far sì che la situazione si risolva. Quindi mettete da parte tutto quelle domande e quelle convinzioni che vi allontanano dal problema e focalizzate l'obiettivo, che è quello di favorire il benessere di vostro figlio (che poi è pure il vostro, no?). Se l'adolescente manifesta problemi legati al comportamento c'è solo una via molto semplice da seguire: cercate un educatore o uno psicologo specializzato per l'età adolescenziale e chiede aiuto sul come comportarvi nel caso specifico della vostra famiglia. Mettete da parte i pregiudizi e il bisogno di sentirvi infallibili come genitori: oggi genitori non si nasce! La società e le dinamiche in cui viviamo sono talmente complesse che dovrebbero proprio istruire al mestiere di genitore, ma non succede. Quindi se in uno specifico momento vi trovate ad aver bisogno di un sostegno e di qualcuno che vi dia consigli mirati alla vostra situazione, non c'è nulla di male. Anzi. Se la vostra auto non funziona che fate? Andate dal meccanico, no? Ecco... proviamo a metterci nell'ordine delle idee che noi siamo capaci di far andare l'auto, di mettere la benzina, di assicurarla, ecc, ma per quanto noi ci impegnano può succedere che qualcosa non funzioni e che ci sia bisogno di una persona un po' più esperta di noi. Per l'auto è il meccanico, per le persone sono lo psicologo, lo psicoterapeuta e anche un buon educatore professionale può dare ottime dritte. Se l'adolescente manifesta problemi somatici ricorrenti, invece, il primo step è quello atto a definire se si tratta di un problema fisico (quindi una patologia organica) o di un problema psicosomatico. La differenza tra patologia organica e disturbo psicosomatico risiede nell’origine della malattia. Per tale motivo, di fronte a sintomi fisici dubbi, è fondamentale consultare in primis il pediatra o il medico di fiducia per poter eliminare possibili cause organiche della patologia. Laddove non fossero presenti disturbi di natura organica è importante che il genitore capisca che non vi è simulazione del sintomo: i dolori sono realmente presenti e spesso possono portare a limitare la libertà e la sfera sociale dei propri figli. Per un genitore è importante osservare la frequenza del sintomo anche per constatare se il disagio fisico si presenta in correlazione di un determinato evento, come ad esempio un compito in classe, un’occasione sociale, una ricorrenza, un evento particolare. A fronte di ciò occorre fornire il giusto ascolto, senza minimizzare o banalizzare ma cercando di comprendere insieme al proprio figlio quali possano essere i fattori scatenanti e, soprattutto quando i sintomi sono ricorrenti e determinano fatica e disagio quotidiani persistenti, non sperare che le cose si aggiustino da sole perché si corre il rischio che la situazione diventi cronica e condizioni pesantemente l'equilibrio dei ragazzi. Rivolgersi a un professionista è fondamentale. Ribadisco quindi le affermazioni fatte sopra: non lasciatevi prendere dallo sconforto o dal timore di essere giudicati "cattivi genitori". Non pensate mai che vostro figlio sia più debole degli altri, o sbagliato. È semplicemente in difficoltà e ha bisogno di essere spronato ad esternare l'ansia, ad elaborare certe dinamiche, a prendere consapevolezza che può farcela. Forse ha bisogno di un supporto nella costruzione del sé, nell'autodeterminazione e nel riconoscimento del sé in funzione dell'autostima. Sminuirlo, o sminuirne i problemi, non farebbe altro che fomentare il suo stato di incertezza emotiva. Due parole su quella che credo sia la prima cosa che vi viene in mente: come dire a vostro figlio o vostra figlia che deve andare da uno psicologo. Sono molti i genitori che mi chiedono: "Ma come faccio a dirgli che deve andare dallo psicologo? Poi penserà di essere matto!" Vi dico subito che solitamente i ragazzi non la prendono proprio in questo modo; lo fanno magari i figli di quelli che si esprimono abbastanza abitualmente in questo senso rispetto, appunto, a psicologi o educatori, ma se è il vostro caso sarà sufficiente dire che avete preso atto che dicevate una sciocchezza, che avevate sempre ragionato con superficialità, che vi siete sbagliati. Come fare, quindi, a proporgli un incontro con un professionista? Basterà un semplice: "Senti, ho pensato che potremmo chiedere, a qualcuno che se ne intende, come affrontare questa condizione di ansia, che dici? Perché io non sono sicuro di essere in grado di darti i consigli giusti e mi dispiace vedere che soffri, quindi magari parlarne con una persona estranea potrebbe farti bene. Cosa ne pensi? Poi non è che siamo obbligati ad andare sempre, eh! Magari proviamo una volta e vediamo come va. Se poi non ti trovi bene, non c'è nessun obbligo a continuare". Solitamente sono attratti dal continuare perché l'attenzione su sé che ricevono in questi incontri li fa sentire a loro agio. Ovvio che dipende anche dal professionista al quale si trova davanti, per questo vi consiglio una scelta ponderata. Prima di prendere un appuntamento per vostro/a figlio/a, cercate di informarvi e, ancor meglio, andate voi a un primo colloquio: farà bene anche a voi entrare nell'ottica del "facciamoci aiutare" perché la condizione ideale è sempre quella di creare una collaborazione efficace a "tutta famiglia". Se la vedete dura perché vostro/a figlio/a è piuttosto scontrosa, non accetta i vostri consigli, si oppone per partito preso, ecc, potreste anche provare a impuntarvi ma sempre motivando la decisione nell'ottica del concetto che lo state facendo perché avete preso consapevolezza che qualcosa non va e volete fare qualcosa per lui/lei perché lo(la amate, quindi volete il suo bene. Ancor di più in questo caso sarà utile un primo incontro tra voi e il professionista: lui/lei potrà consigliarvi come proporre la cosa al ragazzo o alla ragazza, basandosi sulle vostre specifiche dinamiche di rapporto. Spero di non avervi terrorizzato con l'elenco dei sintomi che, come avete visto, possono arrivare a livelli di gravità per niente leggeri ma ho preferito essere abbastanza completa per stimolarvi a comprendere che non c'è da allarmarsi inutilmente ma men che meno si possono sottovalutare sintomi che, se non trattati nei giusti tempi, possono condizionare un'evoluzione ingravescente da cui poi, uscire, sarà sempre più faticoso. Non eccediamo con la preoccupazione ma non prendiamo sottogamba segnali che possono essere importanti. E men che meno, di qualsiasi disturbo si tratti, facciamone una colpa ai ragazzi, sminuiamone il malessere o irridiamoli. Segnatevi queste tre parole e tenetele sempre a mente: hanno bisogno che da parte vostra ci siano comprensione, accoglienza e assenza di giudizio. Ne hanno bisogno sempre, per crescere in modo efficace e sereno. Ne hanno fame quando si trovano in momenti di disagio. Ultimo, ma non per importanza, ci tengo a spiegarvi cosa fa il professionista nel momento in cui si trova davanti vostro figlio o vostra figlia: li osserva, sia da un punto di vista scientifico oggettivo (che si avvale di test a cui sottoporrà i ragazzi) sia dal punto di vista emotivo. Farà un'attenta analisi dello stato psicologico di vostro figlio che magari potrebbe anche risultarvi completamente diversa dall'idea che voi avete di lui o lei. Date retta: se decidete di affidarvi, fatelo con la consapevolezza che quella persona è lì per aiutarvi, non per giudicarvi. È un alleato, non un nemico. Mettete in conto che il mondo dei nostri figli è fatto di famiglia ed extra famiglia, quindi il problema potrebbe venire da fuori, così come da dentro. Se lo psicologo o l'educatore dovessero dirvi che qualcosa non va nel vostro comportamento, ad esempio, non prendetela di petto, non sentitevi offesi, perché non servirebbe a nulla. Lo fa per darvi consapevolezza, per avvicinarvi alla soluzione del problema, per indicarvi in maniera oggettiva su cosa bisogna lavorare per risolvere il problema. Non vi sta giudicando, non gliene frega proprio niente, gli interessa invece facilitarvi nel compito di sostenere i vostri figli nell'acquisire un equilibrio in cui sentirsi a suo agio. Prendete invece spunto per riflettere, per riconsiderare anche voi stessi e la vostra relazione genitoriale. In fin dei conti siamo partiti dicendo che genitori non si nasce, no? Avete fatto tante buone cose, tante, ma magari in un aspetto pensavate di fare il giusto e giusto non era, semplicemente. Lasciatevi guidare e i risultati saranno solo un guadagno in benessere per vostro/a figlio/a. E questo sì significa essere un buon genitore: mettersi in gioco per essere sicuri di guidare e accompagnare un figlio nella crescita nel miglior modo possibile. A volte sbagliamo, sì, Tutti. Concediamocelo. E ringraziamo che esistano persone in grado di aiutarci. Quando un figlio sta male, anche quando manifesta il malessere con atteggiamento che ci fa arrabbiare, noi non siamo sereni, no? Stiamo male per lui e con lui. Diamoci la possibilità di essere sereni tutti. La colpa. Un termine così stringato eppure così denso di concetto, di sfaccettature e di variabili che, se mi mettessi a scrivere tutto ciò che mi passa per la testa, ne potrebbe uscire un'enciclopedia, tanto ne sono intrisi e condizionati tutti gli aspetti della vita. Un concetto che implica una dinamica talmente potente da non aver lasciato indenne nessuno mai nel ciclo della vita e perfino nella non-vita: se ci pensate, questo profondo e insopprimibile disagio, provocato da rimorso per vere o presunte infrazioni alla legge morale o religiosa, è usato addirittura per colpire chi la vita non la produce. Chi non fa figli, insomma. Colpa. Colpire. Ferire. La colpa è una ferita. Investire una persona di una colpa è una ferita così come investire sé stessi di una colpa è l'atto di ferirsi, di attribuirsi un dolore per non essere stati ciò che si avrebbe dovuto essere secondo la morale. E quando entra in gioco la morale, lo sappiamo tutti, è sempre un gran caos. Ecco, LA COLPA di Raffaele Mangano per me è stato un gran caos. È scritto male? No no, tutt'altro. È stato talmente abile nel costruire questo romanzo che lo si legge con facilità e si finisce nel caos senza accorgersene. Attenzione che non sto utilizzando il termine caos nel senso contemporaneo che ha, ma in quello ancestrale, mai ben definito. Quello che indica uno spazio beante, uno spazio aperto che è voragine, che per chi ha inteso definirlo nella mitologia è stato il nulla ma anche l'origine del tutto. Ve la sto facendo complessa, eh? E invece è tutto molto semplice: leggendo questo romanzo sono finita, senza accorgermene, in una voragine di considerazioni su me stessa che, a un certo punto mi sembrava di essere nello stato del nulla. Nulla di definito, nulla di certo. Le mie convinzioni? Mi guardavano dall'alto, tutte lì in fila, vacillanti, e mi chiedevano di trovare loro un posto, di ricollocarle. Qualcuna l'ho persa, nello stato di crisi in cui Raffaele è riuscito a mandarmi. Una crisi rigenerante. Una sorta di sgambetto mentale che ti obbliga a cercare un nuovo equilibrio interiore. Lo so che può sembrare tutto molto poetico e forse quasi banale ma questo è quanto mi è successo: senza accorgermene sono entrata in crisi insieme al protagonista e poi a un certo punto della lettura l'ho quasi perso di vista, questo Fabio che non mi piaceva nemmeno tanto come personaggio. Non so nemmeno se mi piace ora a romanzo terminato sinceramente: è un po' come se fosse stato un compagno di viaggio con il quale non avrei voluto viaggiare eppure mi ha fatto scoprire cose che da sola non avrei raggiunto. La trama la trovate qui. Non ve la cito perché davvero penso che abbia ben poca importanza rispetto all'opportunità che viene invece dal gioco maestrale costruito dall'autore. Fossi in voi, nel caso di questo libro, non mi affiderei al fatto che la trama vi ispiri o meno. Certo che l'intreccio basato sul rapporto padre-figlio, e viceversa, è decisamente un passe-partout: chiunque di noi (chi in veste di genitore, chi di figlio, chi di entrambi) non può sottrarsi dall'essere partecipe a questa dinamica perché siamo comunque tutti figli di qualcuno. Indipendentemente dal fatto che quel qualcuno ci sia stato in senso di presenza o di assenza, che abbia contribuito al nostro benessere o sia stato motivo di malessere, che ci abbia condizionati positivamente o negativamente. La cosa davvero particolare è che la trama parla del rapporto genitore-figlio in primis ma, come poi succede nella realtà che questi rapporti si riversino su ogni dinamica di relazione, la riflessione si riversa su tutte le forme relazionali. Mangano ha indubbiamente un'abilità di scrittura e una capacità di astrarsi come narratore che sono rare nei romanzi contemporanei: romanzi ne ho letti parecchi ma non è da tutti riuscire a narrare senza imprimere nel lettore un giudizio e, in un romanzo che si intitola La Colpa, sembrerebbe un ossimoro se non fosse che a lettura terminata appare chiaro invece che il concetto di colpa ha talmente tante dinamiche possibili che l'unico sentimento oggettivo che possiamo attribuirgli è la comprensione umana. Mettiamo in atto comportamenti che sappiamo far male agli altri ma che non possiamo evitare, che possono essere colpe ma anche una motivazione, uno strumento, per non imporre a sé stessi ciò che non si sopporta di vivere. Sicuramente Raffaele è riuscito, con i due anni e mezzo di lavoro impiegati nel costruire questo romanzo, a regalare al lettore la possibilità di leggere la propria storia dentro a quelle righe. Quindi il mio consiglio è questo: compratelo ma non leggetelo. Che può sembrare un'affermazione pubblicitaria in favore di un amico per mera finalizzazione economica ma in realtà è l'unica cosa che mi riesce di dirvi perché è un libro che secondo me bisogna avere lì, a disposizione, e prenderlo in mano nel momento in cui sentite il desiderio di entrare dentro a voi stessi, nel vostro caos. Per me è stato così almeno: lo avevo in casa da qualche mese, lo avevo acquistato durante una presentazione a Napoli ma l'ho preso in mano solo un giorno "a caso", passando davanti alla libreria mentre uscivo con la valigia in mano per trascorrere qualche giorno fuori casa. Non è stato un caso, era semplicemente il mio momento per leggerlo. Lo avevo lì da mesi ma in quel momento ho avvertito forte il senso di colpa perché sapevo che Raffaele attendeva una mia riflessione. In realtà lui non c'entrava niente, non mi ha mai fatto pesare l'attesa e quel mio senso di colpa è stato semplicemente la motivazione per impormi di leggere quel libro che sapevo che mi avrebbe turbata. Lui aspettava sì una riflessione. Un po' perché tutti gli scrittori amano avere un feedback sui propri scritti ma soprattutto perché lui e io ci siamo conosciuti nel momento in cui io ho perso mio padre e, Raffaele, dopo un post che io scrissi appunto sulla morte di mio padre, mi scrisse un messaggio in cui mi diceva che la lettura di quel post gli aveva smosso qualcosa, lo aveva fatto riflettere sulla questione dei rapporti irrisolti tra genitore e figlio, che sarebbe rimasta tale "A meno che io mi inventi una storia e ci scriva sopra. Non la mia, una storia di un rapporto mancato. Bene, sappi che se accadrà tu sarai stata la responsabile, nel bene o nel male Perchè è da quel tuo post che mi gira per la testa qualcosa. I libri, forse lo sai, nascono tutti per caso, per il più banale dei casi." Sono certa che Raffaele mi perdonerà per avervi confidato questo pezzetto di cosa nostra e aver usato pubblicamente parole nostre private, perché lui sa che non hanno nulla a che fare col vanto. Non mi sto per niente vantando di averlo "ispirato" ma sto semplicemente esprimendo la bellezza del pensare che lui sia stato smosso dalle mie parole, fino ad elaborarne altre, che poi hanno smosso me. Le mie parole hanno buttato lui nel caos, gli hanno fatto uno sgambetto mentale, costringendolo a cercare un equilibrio attraverso un'elaborazione letteraria, la lettura della quale ha poi buttato me nel caos costringendomi a cercare a mia volta un equilibrio. È una riflessione che forse può capire davvero solo chi nella scrittura e nella lettura butta dentro se stesso consapevole di uscirne diverso ma, a giudicare dalle recensioni e dagli apprezzamenti che questo romanzo ha riscosso, Raffaele questa consapevolezza è riuscito a diffonderla. Del resto le capacità professionali di Mangano non devo di sicuro avvallarle io. Sono già largamente salde nonostante lui ne riferisca poca memoria nella sua biografia. Mettetevi LA COLPA lì, sul comodino. |
GRAZIA SCANAVINI
Ricercatrice Educatrice umanista Counselor filosofica Accanita divoratrice di film, libri, serie tv e... di Vita. Blog dedicato a fatti, film, libri, serie tv e cose belle.
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