INSEGNAMO ALLE FEMMINE CHE SI PUÒ DIRE DI NO E AI MASCHI CHE UN NO NON È LA FINE DEL MONDO8/10/2022 Non ricordo praticamente mai i sogni che faccio e mi succede molto raramente di svegliarmi con un sogno che mi gira ancora in testa.
Stanotte alle tre e mezza, invece, ho aperto gli occhi sudata, in ansia. Più che un sogno, stavo vivendo un ricordo, e la psicologia lo sa bene. Andiamo indietro di quasi trent'anni e credo che la mia amica Eleonora se la ricordi bene quella serata, perché l'ho mandata ai matti. Avevo diciotto anni e avevo accettato l'invito a uscire di uno che non ricordo dove e come avessi conosciuto. Era un bel tipo, sui trentacinque. So che era stato un invito volante, di quelli che accetti sull'onda del "Ma sì, dai". Non sai nulla di quella persona, ci hai scambiato forse due battute, ma ti piace... e allora perché no? Avevo rifiutato la sua proposta di venirmi a prendere perché ero già abbastanza scaltra da sapere che, prima di far entrare una persona nella tua vita, devi conoscerla bene. Ma non lo ero ancora abbastanza da sapere che a un uomo puoi anche semplicemente dire di no, alzarti e andartene. Cosa che avrei voluto fare già dopo la prima mezz'ora passata in quel locale ad ascoltare questo che mi elencava tutto ciò che avrebbe potuto offrirmi. Che fosse presumibilmente benestante lo si capiva dall'auto con cui era arrivato e dagli abiti che indossava, ma non sono mai stata granché attratta dall'apparenza economica delle persone. Quella volta, però, non potei esimermi dal guardarla perché la prima mezz'ora di dialogo si basò solo sul suo potenziale economico, in una strana conversazione che mi vide praticamente muta ad ascoltare i progetti che questo sconosciuto stava facendo su di me per i successivi vent'anni. Orafo e commerciante di diamanti, appena seduti, mi chiese di attendere un attimo e uscì. Rientrò con un mazzo di rose e una scatolina con all'interno un girocollo sottile che portava appeso un diamante. Piccolino, eh, ma un oggetto di eccessivo valore in quel momento. Mi imbarazzai. Voleva mettermelo al collo e io non glielo lasciai fare. Mi si avvicinò fisicamente per farlo, e quell'invadenza mi spinse a chiedergli di lasciarlo lì, sul tavolo, dove avrei potuto ammirarlo, mentre in realtà non me ne fregava assolutamente un cazzo e volevo solo che non mi toccasse. Tutto quello che fece in quella prima mezz'ora fu illustrarmi la nostra futura vita insieme e cercare di convincermi a chiamare casa dicendo che quella notte non sarei rientrata, così che l'indomani prestissimo sarei partita con lui per una fiera di oreficeria ad Arezzo. Io mi allontanai per fare un telefonata, in effetti ma non a casa. Chiamai Eleonora, la mia amica, che già era allertata rispetto a questo incontro: amavo conoscere gente fuori dai miei giri e lei era la mia base di sicurezza. Le telefonai chiedendole di richiamarmi dopo pochi minuti, cosicché davanti a lui avrei inventato un problema enorme e sarei fuggita. Il seguito non lo ricordo benissimo, so che trascorsi almeno un'ora prima di andarmene, ammazzata dall'ansia del conflitto che vivevo perché, ancora molto immatura, non riuscivo a contrastare la sua gentilezza (perché era gentile di modi, eh) e nessuno mi aveva insegnato che non sei obbligata a corrispondere per forza. Ero ancora molto soggetta ai meccanismi di relazione per i quali devi sentirti in colpa se un uomo fa cose per te e tu le rifiuti. In qualche modo me ne andai e quella serata mi cambiò nettamente, proprio per il malessere emotivo che avevo vissuto. Di sicuro mi aiutò Eleonora che mi disse semplicemente "Vattene" ma, conoscendomi e capendo il mio stato d'animo, quella telefonata la fece. Uscita dal locale, lasciandolo lì con gioiello, fiori e un numero di telefono finto inventato sul momento (chissà chi avrà chiamato), ebbi l'impressione di respirare un'aria completamente nuova. Ma quanto deve avermi segnata una situazione apparentemente banale come quella, se a distanza di trent'anni stanotte ho rivisto quel volto e ho di nuovo sentito l'invadenza fisica in quel gesto di spostarmi i capelli per cingermi il collo? Ho aperto gli occhi con la sensazione delle sue mani che si infilavano tra i miei capelli, che sfioravano la pelle, e dentro quel NO che avrei voluto gridargli ma non sapevo di poterlo (doverlo) fare. Insegnatelo alle vostre figlie che non c'è nessun obbligo, nemmeno davanti a una persona gentile. Perché, se anche i modi sono gentili, dietro a certi comportamenti c'è la convinzione che la donna non possa rifiutare e che vale la pena di insistere, anche quando si ritrae, perché prima o poi cederà. Non pensate che siano dinamiche passate anche perché, esempio banale, i fumetti e i video porno manga hentai che sempre più vengono tradotti in italiano e acquistano fruitori in Italia, passa questo messaggio imperterrito: la donna dice no, ma pensa sì. E l'insistenza porta sempre all'happy end. E i nostri adolescenti non hanno gli strumenti per valutare la differenza culturale in cui nascono quei fumetti. L'unico happy end di quella sera furono le risate che ci facemmo dopo con Eleonora, ironizzando su quel povero cristo che evidentemente pensava di valere solo ciò che possedeva e aveva proiettato su di me lo stesso meccanismo: nessuna domanda riguardo a me, nessun interesse a conoscermi. Gli bastava la mia apparenza, ciò che vedeva, ciò che ero fisicamente. Ma questa è un'altra storia. O, forse, la stessa. Quante volte in passato ho vissuto situazioni sessuali in cui subito mi sembrava di volerlo pure, poi durante capivo che invece non mi andava. Non necessariamente per qualcosa che facesse o non facesse il partner, non per una responsabilità insomma... semplicemente perché non mi stava piacendo, non c'era compatibilità. Ma fermare la situazione e andarsene, implicava spiegazioni, che forse avrebbero ferito l'altro che non avrebbe creduto alla motivazione, si sarebbe sentito sminuito. Lo feci una volta e in cambio ricevetti un comportamento piuttosto brutto ma non diedi colpe... siamo male educati: questo è il punto da cui partire, secondo me, se si vuole costruire qualcosa. Dalla consapevolezza che le donne hanno subito un imprinting educativo sbagliato - il dovere di essere accondiscendenti - così come gli uomini considerano un rifiuto sessuale come una negazione della loro mascolinità. A poco serve insultarsi, battagliare incolpando l'altro. Serve invece diffondere consapevolezza sotto forma di comprensione, allora forse riusciremo a stabilire una reale collaborazione tra i generi. E io vedo, invece, continuare a costruire muri tra buoni e cattivi.
0 Comments
|
GRAZIA SCANAVINI Ricercatrice Educatrice umanista Counselor filosofica Blog con intento educativo.
L'obiettivo è stimolare riflessione al fine di favorire la consapevolezza personale nelle relazioni.
|