Lo so, vi aspettavate che le cose andassero bene, che sarebbe durata... magari per sempre. Invece vi siete lasciati. E fa male. Di chi sia l'apparente responsabilità nella fine della relazione poco cambia per questo post che vuole essere solo uno stimolo a riflettere, ad elaborare nella maniera più efficace possibile per alleviare la sofferenza che assale i lasciati ma anche i lascianti: sì perché anche chi lascia soffre, soggiogato dal senso di colpa soprattutto. Lo so che poco importa del dolore di coloro che lasciano, hanno scelto loro no? Sì ma non è sempre facile, non sempre lo si fa per una questione "egoista", perché c'è un'altra persona o perché si è degli stronzi. E comunque, qualsiasi sia la dinamica, se si lascia o si viene lasciati c'è una sola ragione: la storia è finita. Fa male pensarlo, questo è ovvio e giustificato ma proviamo a ragionare in un modo un po' diverso da come solitamente succede, a mettere in atto alcune strategie per evitare di prolungare il dolore ad oltranza. Come si fa ad uscire da questa sofferenza? Partiamo con l'eliminare il più possibile la presenza di persone che ci inducono a parlare in termini di rabbia e di banalità: avete presente quelle amiche o quegli amici che "Sì perché lui è solo uno stronzo, l'ho sempre saputo, devi fargliela pagare" o quelli che "Comunque lei non ti meritava, è solo una zoccola, non vedi che ha già un altro? Devi smettere di stare male per lei." Su una cosa hanno ragione: dovete smettere di stare male ma a che serve dire a una persona che soffre "Smetti di soffrire?". A niente, ve lo dico io, se non ad aumentare sentimenti negativi dentro di voi. La rabbia spesso sembra l'unica via per prendere le distanze dalla persona che vi ha provocato dolore, e invece crea un circolo vizioso per il quale più fomentate rabbia verso la persona, più entrate in relazione negativa con lei, perpetuando sofferenza. Qui entra in gioco un consiglio che sicuramente non troveremo nelle opere di psicologia, se non tra qualche tempo: state lontani dai social network! Nel 2015 la Dottoressa Jesse Fox ha dimostrato in maniera sperimentale che stalkerizzare l'ex sui social, fa stare peggio: in generale, seguire gli aggiornamenti, quindi guardare cosa fa e chi frequenta, perdendo ore davanti a una foto su Instagram o a un post su Facebook o controllando l'ultima volta che ha fatto l'accesso a What'sapp, vi mantiene negativamente dipendenti dall'ex. Vi sembra che vi faccia stare meglio perché vi permette di sentirvi meno distanti dalla persona: lasciarsi significa non vedersi più, nella maggior parte delle relazioni, no? Spiare sembra l'unica via possibile per continuare a vedere la persona. Siete liberi di farlo, naturalmente, ma a questo punto dovete decidere se ciò che cercate è smettere di soffrire o cosa. La fine della sofferenza arriva solo attraverso la presa di consapevolezza che è finita e bisogna necessariamente riprendere a vivere, andare oltre, riorganizzarsi la vita. La faccio facile io, eh? Sì, ma perché è molto difficile solo se continuiamo a mettere in atto comportamenti che anziché consapevolizzarci, ci mantengono negativamente legati alla persona che non ci vuole più. Brutto pensarlo, lo so. Ma se ha deciso di lasciarci, o comunque se è finita, c'è ben poco da fare e da sperare: non doveva essere, non faceva più stare bene almeno uno dei due partner e, inutile dirlo credo, se in una relazione a due uno dei due non sta più bene, pensate che avanzando il tempo anche per l'altro non sarebbe sopraggiunto malessere? Sempre che già non fosse così per entrambi e uno dei due cercasse di nasconderlo anche a se stesso. Ma consapevolizzarsi cosa significa? Semplicemente prendere atto che poco importa, a questo punto, come siano andate le cose, chi abbia più responsabilità, chi abbia amato di più, chi sia stato più leale o più scorretto. Importa uscire dal dolore, andare oltre, ed è possibile solo se ci si focalizza sul fatto che è finita. Tutte le idee che andate a crearvi, da soli o con gli altri, su cosa sia successo, come sia successo, dove sia successo, altro non fanno che affondarvi un po' di più in quella dipendenza che vi fa soffrire. È finita, punto. Potete focalizzarvi su questo pensiero senza pensare che forse potrebbe ricominciare? Perché non sarà così, avviene talmente di rado che sarebbe come credere alle favole e, quando accade, raramente c'è un reale benessere nella coppia: più spesso c'è un adattamento, una condizione in cui ci si impone di farsi andare bene ciò che c'è. È finita. Partiamo da qui. Si sta male, un male che va dal sentirsi svuotati al sentirsi finiti. Che ci si senta svuotati (e confusi) è fisiologico, che ci si senta finiti un po' meno perché in generale denota che più che una relazione d'amore, c'era attaccamento, dipendenza. In questo caso consiglio ovviamente di rivolgersi a uno psicologo o a uno psicoterapeuta che sappia come condurvi nel percorso di recupero della risoluzione di voi stessi. Dallo psicologo non ci vanno i pazzi... ci vanno le persone che hanno intelligentemente capito che la salute mentale è come quella fisica: se hai un po' male un ginocchio, puoi provare a prendere un farmaco da banco, per un giorno, due, ma se il dolore persiste nel tempo, è necessario che tu vada da un medico che ti prescrive la terapia adatta, no? Così è quando si viene lasciati: se il dolore è sopportabile e non vi porta fare cose che non avreste mai fatto, potete lavorarci da soli. Ma se fa così male da non sopportarlo o peggiora col passare del tempo fino a farvi fare brutti pensieri, bè... provateci: un consulto. Sento spesso dire dalla gente che è inutile pagare uno psicologo ché tanto altro non fa che ascoltarvi: per quello ci sono gli amici. È una sciocchezza ma in parte è vero, nel senso che lo psicologo vi ascolta tanto e non vi dice granché, ma con quel "poco" che vi dice vi guida attraverso una riflessione che vi permette di consapevolizzarvi e di trovare strategie per ridefinire voi stessi. E poi quando parlate con gli amici, sapete bene che spesso a loro frega poco (soprattutto dopo un po') e che l'empatia scema mentre il vostro bisogno di sfogarvi continua. Arrivate al punto che non interessa più a nessuno. Con gli amici fa bene sfogarsi (a patto che non siano dei gossippari o dei fomentatori) quando si è appunto nella condizione di provare dolore ma poterlo anche sopportare: e allora fa bene piangere, fa bene ridere, fa bene esternare le emozioni, fa bene abbracciarsi: la vicinanza con gli altri induce nel nostro corpo il rilascio di ossitocina che, come hanno evidenziato diversi esperimenti scientifici, è un po' una "droga" naturale, una "dose" di positività. A questo può essere molto utile anche l'esercizio fisico: sono molteplici gli studi che hanno dimostrato che l'esercizio fisico, qualunque esso sia, ha effetto benefico anche sulla mente, per una questione chimica fisiologica: l’attività fisica provoca il rilascio di sostanze (i neurotrasmettitori endorfina e dopamina) nel sistema nervoso, che provocano una sensazione di piacere e ricompensa. Occhio a non eccedere perché, vi sembrerà impossibile, ma pure questo può creare dipendenza: se l'esercizio fisico è eccessivo, anche il livello dei neurotrasmettitori aumenta e si crea un circolo di assuefazione-bisogno di aumentare, esattamente come nell'utilizzo di sostanze quali alcool, droghe, ecc. Qui vi lancio uno dei consigli più determinati: non attaccatevi a queste sostanze, soprattutto in un momento emotivamente instabile. La sbronza (UNA!) ci sta, ma che non diventi l'abitudine per dimenticare il problema: quello va affrontato, punto. Vi starete dicendo: "Sì vabbè, ma a parte esercizio fisico, amici per pianti e abbracci che producono ossitocina, come ne esco?" Vi siete dimenticati forse la prima parte del post: la consapevolizzazione. Per questo può essere molto efficace scrivere, lo sapevate? Esternare le emozioni su un foglio, che nessuno leggerà, è un po' come il vecchio "guardarsi allo specchio" ma un po' più efficace perché attivo e trascinante. Date retta: se iniziate a scrivere come vi sentite, e tutto ciò che vi passa per la mente, trarrete subito beneficio perché scrivere aiuta a scaricarsi, migliora l’umore, favorisce l’elaborazione mentale. Se non siete abituati a scrivere, immagino che vi sembri una sciocchezza ma vi chiedo di provarci. Non è che dovete scrivere un romanzo o un trattato, eh. Dovete semplicemente scrivere (rigorosamente a mano, con carta e penna) come vi sentite, come è andata la giornata, in cosa vi sentite cambiati o in cosa dovreste cambiare. Provate anche a dare delle ragioni alla fine della storia, senza mentire però... perché tanto quello che scrivete non lo leggerà mai nessuno, quindi non avete bisogno di apparire, non avete bisogno di filtrare o di nascondere le vostre debolezze. Vi riesce difficile pensare di scrivere solo per voi stessi? Allora facciamo così: scrivete a me! Cioè, scrivete pensando "Cara Grazia, sai come mi sento? E sai perché mi sento così?". Non dovete rileggere e non dovrete spedirmi quelle lettere o, se volete, chiedetemi l'indirizzo a cui inviarle e io le conserverò con piacere. Non vi risponderò però sappiatelo, non le leggerò nemmeno, perché ciò che deve essere scritto su quei fogli è la vostra essenza e non necessita di nessun giudizio, di nessuna considerazione. È ciò che siete, il che non va giudicato ma semplicemente bisogna prenderne consapevolezza. E, scrivendo, è davvero molto più facile elaborare gli stati d'animo. Ultima dritta: c'è questo luogo comune diffuso secondo il quale mettersi in una nuova relazione a poca distanza di tempo dalla fine di un'altra sarebbe sbagliato. Non è sempre vero. In uno studio del 2015, Fraley e Brumbaugh hanno dimostrato che per alcune persone iniziare una nuova storia "di rimbalzo" a quella finita (rebound relationships -relazioni di rimbalzo) è un ottimo aiuto. Ovviamente non è un "must", non funziona per tutti e sempre, ma è importante sapere che nemmeno imporsi di non iniziare una storia solo perché chissà cosa penserebbero gli altri o perché "Tanto sono tutti/e uguali, io ho chiuso" fa necessariamente bene. Dovete un po' sentirvi, insomma, seguire le vostre sensazioni: se in quel momento una persona vi stimola, non vietatevi la frequentazione o l'approfondimento solo perché temete che poi gli altri parlino male o perché l'ex penserebbe che allora non ve ne fregava niente, ecc... Se sentite la spinta verso una nuova persona, non bloccatevi. Se sentite che non è il momento, non forzatevi. Se iniziate, e poi non vi sentite a vostro agio, fermatevi. Avere consapevolezza di sé significa anche seguire le proprie sensazioni senza assoggettarle a ciò che gli altri vorrebbero. E sempre, ma soprattutto adesso che state soffrendo, avete il diritto e il dovere di farlo. Vi dico quale sarebbe l'obiettivo ideale da raggiungere, elaborando una storia finita? Arrivare a capire che le relazioni di qualsiasi durata, intensità e comunque finiscano, sono esperienze che se volete davvero chiamare d'amore non potete far finire male. Ci si è amati? Allora si dovrebbe volere solo il bene dell'altro, anche se non è con noi che lo ha trovato. Bisognerebbe riuscire a pensare che le persone sono tutte diverse, che cambiano nell'arco del tempo e non perché siano cattive, stronze o chissà cosa... semplicemente la vita ci cambia. Tutti. Ogni giorno. Lo so, state pensando che "Però lui si è davvero comportato da stronzo" o "Eh ma lei però mi ha tradito": i comportamenti hanno sempre un motivo alla base, che possono non piacerci, possiamo trovarli assurdi, ma se una persona si comporta in un certo modo, evidentemente non poteva comportarsi diversamente, in quel momento. Lasciare non è facile, date retta a me se non vi è mai capitato di farlo. Essere lasciati è più doloroso? Non è detto, dipende dalla soggettività: le persone sensibili soffrono in modo particolare quando devono lasciare qualcuno perché non vorrebbero determinare sofferenza nell'altro ma non vogliono nemmeno illudere. La cosa fondamentale è arrivare a capire che le storie in cui uno dei due vorrebbe lasciare, se continuano, sono solo un procrastinare nel tempo un malessere che inevitabilmente si riversa su entrambe i partner. Volete davvero vivere in una relazione che non fa stare bene chi dite di amare, e quindi non può far star bene nemmeno voi? Io so solo, per certo, che lasciarsi fa male ma è necessario quando uno dei due non ci sta più dentro, perché presto succederà pure all'altro, per riflesso. E lasciarsi "male" è uno degli errori più grossi che si possano commettere perché mantiene legati al malessere più di quanto sia necessario.
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Solitamente affermare di aver deciso di cambiare vita e di fregarsene altamente dell'opinione degli altri può avere un senso. Anche dichiararlo su un social può avere un significato, considerando le dinamiche odierne, se si è consapevoli che lo si fa per il bisogno che gli altri lo sappiano e ci appoggino (e già capite da sole che decade il #nonmenefregauncazzo di ciò che pensano gli altri). Ma postare ogni ventisette minuti le tappe del cambiamento, amiche mie, è chiara espressione di tutt'altro e, se al primo post otterrete like su like e commenti incoraggianti perché le decisioni "forti" di cambiamento stimolano sempre empatia, man mano che posterete selfie di aperitivi, abiti nuovi, look innovativi, nottate da diciottenni, ecc, i like diminuiranno. E allora via di: "Chi non apprezza i tuoi successi prova solo invidia". Non è invidia, amiche mie: è tristezza. Tristezza nel prendere coscienza che non c'è nessuna emancipazione nel vostro comportamento. È una messa in scena nella quale, chi assiste, non riesce più a sostenervi perché capisce che non state cambiando: state solo cercando di far credere agli altri (e forse a voi stesse) che siete felici, che non siete più quelle che eravate. Al vostro ex, alla nuova donna del vostro ex, agli amici del vostro ex e a tutti quelli della cui opinione, avevate dichiarato all'inizio, non ve ne frega un cazzo. Lo so, state pensando che sono una stronza, che vi sto mal giudicando, ecc... Fermatevi un attimo a pensare che io potrei solo volervi dare un consiglio: io lo so che avete voglia di riscattarvi e questo è assolutamente positivo! Volersi liberare del dolore dovuto a una storia finita male è assolutamente condivisibile e necessario ma perché avvenga dovete liberarvi del bisogno che l'altro sappia cosa fate, con chi uscite, cosa vi mettete, chi vi corteggia. Per liberarvi dal dolore, dovete solo prendere coscienza che è finita (colpa sua, colpa vostra, colpa di altri... non importa, è finita!). Se invece il vostro intento è quello di far ricredere l'ex (mostrandovi più belle di prima, più attive, più corteggiate) con queste dinamiche in cui diventate una caricatura di ciò che siete, otterrete esattamente l'effetto contrario. Perché lui vi ha conosciute, sa come siete davvero... E allora potrebbe essere più efficace un semplice: "Mi manchi". Date retta. Facebook, Twitter, Instagram sono il peggior posto per rinascere. Si rinasce dentro. Affronto questo argomento scegliendo un percorso a ritroso, dicendo subito che il sottotitolo di questo post potrebbe essere "Non chiamatele MILF". Vi starete chiedendo se questa mattina io mi sia alzata male, considerando che me ne esco con una imposizione relativa a un termine che ormai nel gergo sociale è diffusissimo e più che legittimato dall'uso comune. Non mi sono alzata male, seguitemi nella riflessione. Ormai tutti sanno che l'acronimo MILF indica una donna di mezza età considerata ancora piacente e sessualmente attraente, in particolare dagli uomini più giovani. Ma conoscete solo l'acronimo o dell'acronimo stesso conoscete il significato e l'origine? Il termine MILF appartiene allo slang anglo-americano e significa letteralmente Mother I'd Like to Fuck (in italiano: mamma che vorrei scoparmi). Questa espressione nasce negli anni Novanta all’interno di gruppi online nei quali i ragazzi definivano in questo modo alcune mamme fotografate per la rivista americana Playboy. Largamente diffusosi poi in àmbito pornografico, al punto da diventare una categoria vera e propria in cui raccogliere i filmati o i contenuti riguardanti appunto le donne di mezza età. Siamo quindi davanti ad un fenomeno per il quale, come spesso accade, un termine nato in un àmbito specifico e ristretto entra nel gergo quotidiano, fino a divenire normale. Non si sconvolge nessuno, oggi, se in radio, in tv, al bar, in qualsiasi situazione, si parla di MILF, no? E se vi dicessi che alle donne non piace essere definite MILF? Se vi dicessi che non è per una questione di "età" ma di categorizzazione e di associazione a una immagine mentale che per le donne non ha nulla di piacevole? Mi spiego: io che sono una donna sessualmente non condizionata, trovo banale e spiacevole essere racchiusa in una categoria che rimanda a una immagine della donna vista come mero oggetto di desiderio. Da donna, essere definita MILF, mi fa sentire sminuita, giudicata in termini di media, valutata come "passabile", "trombabile" da un uomo più giovane quindi "fortunata". Cosa mi infastidisce di tutto questo: in primis l'associazione al termine MAMMA, lo ammetto. L'immagine di una mamma scopata dall'amico del figlio, per esempio e bando alle ipocrisie, nel nostro sistema sociale non è un granché come classificazione, no? È un'immagine "sporca", intrisa di perversione, ovviamente condizionata dall'origine pornografica del termine. Nonostante l'acronimo non desti più stupore, conserva comunque una connotazione negativa celata dalla normale diffusione del termine stesso: l'uso dell'acronimo ha un effetto diverso dall'espressione interamente considerata no? C'è una bella differenza tra sentirsi dire "Sei una MILF" e sentirsi invece dire "Sei una mamma che vorrei scoparmi". Eppure la traduzione letterale è questa. E voi davvero pensate che a una donna possa far piacere sentirsi definire in questo modo? Qualcuno mi dice "Ma sì dai, lo dico in modo scherzoso, giocoso, leggero..." e io posso capire che sia così realmente, ma non lo è per la maggior parte delle donne. Guardare una immagine come quella che ho usato qui sopra, che reazione emotiva può scatenare in una donna, secondo voi? È uno scherzo, certo. Una leggerezza. Ironia per qualcuno? Non per una donna. Non posso cambiare il mondo, lo so (mio marito me lo ripete spessissimo quando mi arrabbio per certe cose), ma posso favorire gli uomini che mi leggono a capire che utilizzare quel termine, nei confronti di una donna, non li rende piacevoli ma fa pensare a quella donna che essi ragionino in modalità "sito porno", sui quali ancora oggi la donna è OGGETTO e non soggetto di piacere. E questo concetto è ancor più comprensibile se si considera il corrispondente acronimo maschile FILF (Father I'd Like to Fuck) di cui pochissimi conoscono l'esistenza, che vede praticamente inesistenti categorie sui siti porno e che comunque riguarda rapporti tra uomini più maturi e donne più giovani. Dinamica che potremmo definire normale nella nostra società, no? La donna matura che ha rapporti con uomini più giovani, invece, desta ancora giudizi maliziosi. Insomma: se vi trovate ad avere a che fare con una piacente donna di mezz'età, soprattutto se vi interessa, non usate il termine MILF in sua presenza... ai suoi occhi perdete di consistenza perché la sua reazione emotiva a questo termine è tutt'altro che legata al piacere. |
GRAZIA SCANAVINI Ricercatrice Educatrice umanista Counselor filosofica Blog con intento educativo.
L'obiettivo è stimolare riflessione al fine di favorire la consapevolezza personale nelle relazioni.
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