Poco fa ho letto una di quelle frasi da meme, tipo:
"SIAMO FATTI PER POCHE PERSONE E SPESSO NON LE INCONTRIAMO". Dodicimilaseicentocinquantatre like e più di duemila commenti. Ce ne fosse stato uno, uno dico, che dicesse: "È un'immane stronzata!" Io lo so che pensare romantico è figo. Perché ha quell'alone di mistero un po' possibilista, lasciato al fato, che piace tantissimo perché ci consente di trovare una motivazione alla solitudine e di alleviarci da quello stato in cui ci si sente un po' "difettosi" o "difettose" se non si è in una relazione di coppia. "Non ho incontrato la mia metà giusta, la sfortuna mi perseguita." Balle. Sono balle. Cazzate. Chiamatele come volete, ma non giocatevi il tempo ascoltando e credendo a cose del genere, perché sono una NARRAZIONE FALSATA che dipende ancora e sempre da una mala educazione fondata su concetti come la metà della mela, la dolce metà, ecc. Siamo quasi otto miliardi di persone diverse con caratteristiche di personalità individuali e vissuti diversi. E siamo sempre meno in grado di allacciare relazioni perché ci muoviamo all'interno di gabbie costruite da stereotipi, pregiudizi e sovrastrutture che fanno pensare a ognuna di essere fatta per poche altre persone. Che vuol dire "Siamo fatti per poche persone"? Che "Siamo talmente speciali che pochi ci capiscono", ha risposto una sotto a quel post. Sì, ma qualsiasi persona lo pensa di sé. Quindi, speciale, lo è chiunque. Quindi, alla fine, non lo è nessuno. "Se devo accontentarmi, preferisco morire sola" ha scritto una che dev'essere abbacchiata forte. Un preferisco VIVERE sola, non avrebbe avuto un sapore leggermente più da leggerezza dell'essere? "Ho passato dieci anni a credere che l'uomo che avevo accanto mi completasse davvero, poi ho scoperto che mi tradiva". È andato a completare un'altra, insomma. Ma perché completare? Cosa vi manca? Mi arrogo il diritto di dirvi che sta proprio qui il problema. Se in un partner o in una partner cercate la metà della mela, la persona che vi serve per stare bene, quella senza la quale non vivete, non la troverete mai... Perché diciamocelo: ognuno/a di noi ha già i problemi suoi... chi è che ha voglia di accollarsi la responsabilità di risolvere anche quelli di qualcun altro? Per essere funzionali dovremmo essere completi di nostro, al punto di poter condividere bel tempo e belle cose con l'altra/o. Poi nei problemi ci si supporta, certo, ma se la relazione parte da mancanze individuali e si basa su quelle, diventa una relazione d'aiuto. E, oggi men che meno, la gente ha voglia di entrare in una relazione d'aiuto, prese e presi come siamo dall'avere un carico di problemi enormi, anche quando non è oggettivamente così. A questo ci ha portate e portati il vivere moderno, frenetico, ambizioso... quello che ci fa desiderare di avere sempre di più e non ci fa accorgere che rincorriamo solo i desideri decisi da un immaginario sociale basato sulle leggi di mercato e da tutte le sovrastrutture che millenni di mala educazione ci hanno inculcato. Proviamo ad astrarci un attimo da tutto questo. Voglio dire: se due persone vanno a fare una passeggiata insieme, per esempio, ed entrambi camminano con le proprie gambe, intanto possono chiacchierare allegramente, guardarsi in giro e godere delle cose che hanno intorno, ridere, scherzare, ecc. Ma, se per camminare una delle due si addossa all'altra e si fa trascinare per tutto il tragitto, l'altra fa doppia fatica e le passa la voglia di ridere. E, dopo diverse passeggiate a trascinare, le passa proprio la voglia di camminare con qualcuno. Proviamo a pensare di cercare nell'altra persona semplicemente qualcuno al fianco del quale camminare. Dal quale non pretendere che ci completi o che ci dia ciò che manca a noi. Poi è ovvio che, se inciampiamo o cadiamo, l'altra persona ci darà una mano a tirarci su per proseguire insieme. E noi faremo altrettanto, no? Se provassimo a guardare le persone per quel che sono, e non per le aspettative che abbiamo, vedremmo che c'è un sacco di bella gente, in giro. Ve lo dico io. Anche se ormai c'è questo sentire sociale che ci siano solo brutte persone. Non lasciatevi fregare da questa convinzione e da tutte le menate sulla metà della mela, perché vi impedite di vedere le cose da un punto di vista costruttivo e funzionale al Ben Essere. Una. La vita è solo una. Non fatevi fregare la possibilità di godervela.
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INSEGNAMO ALLE FEMMINE CHE SI PUÒ DIRE DI NO E AI MASCHI CHE UN NO NON È LA FINE DEL MONDO8/10/2022 Non ricordo praticamente mai i sogni che faccio e mi succede molto raramente di svegliarmi con un sogno che mi gira ancora in testa.
Stanotte alle tre e mezza, invece, ho aperto gli occhi sudata, in ansia. Più che un sogno, stavo vivendo un ricordo, e la psicologia lo sa bene. Andiamo indietro di quasi trent'anni e credo che la mia amica Eleonora se la ricordi bene quella serata, perché l'ho mandata ai matti. Avevo diciotto anni e avevo accettato l'invito a uscire di uno che non ricordo dove e come avessi conosciuto. Era un bel tipo, sui trentacinque. So che era stato un invito volante, di quelli che accetti sull'onda del "Ma sì, dai". Non sai nulla di quella persona, ci hai scambiato forse due battute, ma ti piace... e allora perché no? Avevo rifiutato la sua proposta di venirmi a prendere perché ero già abbastanza scaltra da sapere che, prima di far entrare una persona nella tua vita, devi conoscerla bene. Ma non lo ero ancora abbastanza da sapere che a un uomo puoi anche semplicemente dire di no, alzarti e andartene. Cosa che avrei voluto fare già dopo la prima mezz'ora passata in quel locale ad ascoltare questo che mi elencava tutto ciò che avrebbe potuto offrirmi. Che fosse presumibilmente benestante lo si capiva dall'auto con cui era arrivato e dagli abiti che indossava, ma non sono mai stata granché attratta dall'apparenza economica delle persone. Quella volta, però, non potei esimermi dal guardarla perché la prima mezz'ora di dialogo si basò solo sul suo potenziale economico, in una strana conversazione che mi vide praticamente muta ad ascoltare i progetti che questo sconosciuto stava facendo su di me per i successivi vent'anni. Orafo e commerciante di diamanti, appena seduti, mi chiese di attendere un attimo e uscì. Rientrò con un mazzo di rose e una scatolina con all'interno un girocollo sottile che portava appeso un diamante. Piccolino, eh, ma un oggetto di eccessivo valore in quel momento. Mi imbarazzai. Voleva mettermelo al collo e io non glielo lasciai fare. Mi si avvicinò fisicamente per farlo, e quell'invadenza mi spinse a chiedergli di lasciarlo lì, sul tavolo, dove avrei potuto ammirarlo, mentre in realtà non me ne fregava assolutamente un cazzo e volevo solo che non mi toccasse. Tutto quello che fece in quella prima mezz'ora fu illustrarmi la nostra futura vita insieme e cercare di convincermi a chiamare casa dicendo che quella notte non sarei rientrata, così che l'indomani prestissimo sarei partita con lui per una fiera di oreficeria ad Arezzo. Io mi allontanai per fare un telefonata, in effetti ma non a casa. Chiamai Eleonora, la mia amica, che già era allertata rispetto a questo incontro: amavo conoscere gente fuori dai miei giri e lei era la mia base di sicurezza. Le telefonai chiedendole di richiamarmi dopo pochi minuti, cosicché davanti a lui avrei inventato un problema enorme e sarei fuggita. Il seguito non lo ricordo benissimo, so che trascorsi almeno un'ora prima di andarmene, ammazzata dall'ansia del conflitto che vivevo perché, ancora molto immatura, non riuscivo a contrastare la sua gentilezza (perché era gentile di modi, eh) e nessuno mi aveva insegnato che non sei obbligata a corrispondere per forza. Ero ancora molto soggetta ai meccanismi di relazione per i quali devi sentirti in colpa se un uomo fa cose per te e tu le rifiuti. In qualche modo me ne andai e quella serata mi cambiò nettamente, proprio per il malessere emotivo che avevo vissuto. Di sicuro mi aiutò Eleonora che mi disse semplicemente "Vattene" ma, conoscendomi e capendo il mio stato d'animo, quella telefonata la fece. Uscita dal locale, lasciandolo lì con gioiello, fiori e un numero di telefono finto inventato sul momento (chissà chi avrà chiamato), ebbi l'impressione di respirare un'aria completamente nuova. Ma quanto deve avermi segnata una situazione apparentemente banale come quella, se a distanza di trent'anni stanotte ho rivisto quel volto e ho di nuovo sentito l'invadenza fisica in quel gesto di spostarmi i capelli per cingermi il collo? Ho aperto gli occhi con la sensazione delle sue mani che si infilavano tra i miei capelli, che sfioravano la pelle, e dentro quel NO che avrei voluto gridargli ma non sapevo di poterlo (doverlo) fare. Insegnatelo alle vostre figlie che non c'è nessun obbligo, nemmeno davanti a una persona gentile. Perché, se anche i modi sono gentili, dietro a certi comportamenti c'è la convinzione che la donna non possa rifiutare e che vale la pena di insistere, anche quando si ritrae, perché prima o poi cederà. Non pensate che siano dinamiche passate anche perché, esempio banale, i fumetti e i video porno manga hentai che sempre più vengono tradotti in italiano e acquistano fruitori in Italia, passa questo messaggio imperterrito: la donna dice no, ma pensa sì. E l'insistenza porta sempre all'happy end. E i nostri adolescenti non hanno gli strumenti per valutare la differenza culturale in cui nascono quei fumetti. L'unico happy end di quella sera furono le risate che ci facemmo dopo con Eleonora, ironizzando su quel povero cristo che evidentemente pensava di valere solo ciò che possedeva e aveva proiettato su di me lo stesso meccanismo: nessuna domanda riguardo a me, nessun interesse a conoscermi. Gli bastava la mia apparenza, ciò che vedeva, ciò che ero fisicamente. Ma questa è un'altra storia. O, forse, la stessa. Quante volte in passato ho vissuto situazioni sessuali in cui subito mi sembrava di volerlo pure, poi durante capivo che invece non mi andava. Non necessariamente per qualcosa che facesse o non facesse il partner, non per una responsabilità insomma... semplicemente perché non mi stava piacendo, non c'era compatibilità. Ma fermare la situazione e andarsene, implicava spiegazioni, che forse avrebbero ferito l'altro che non avrebbe creduto alla motivazione, si sarebbe sentito sminuito. Lo feci una volta e in cambio ricevetti un comportamento piuttosto brutto ma non diedi colpe... siamo male educati: questo è il punto da cui partire, secondo me, se si vuole costruire qualcosa. Dalla consapevolezza che le donne hanno subito un imprinting educativo sbagliato - il dovere di essere accondiscendenti - così come gli uomini considerano un rifiuto sessuale come una negazione della loro mascolinità. A poco serve insultarsi, battagliare incolpando l'altro. Serve invece diffondere consapevolezza sotto forma di comprensione, allora forse riusciremo a stabilire una reale collaborazione tra i generi. E io vedo, invece, continuare a costruire muri tra buoni e cattivi. Provo sempre molta meraviglia quando sento persone che hanno vissuto solo relazioni monogame dire, a una persona che vive relazioni poliamorose, "TU NON SAI COS'È L'AMORE VERO".
Mi stupisce perché sono convinta che proprio non percepiscano quanta insicurezza e quanta incoerenza trasudi dalle loro parole. La relazione monogama è la più diffusa perché il sistema, con le sue radici nella proprietà privata, l'ha scelta come nucleo ideale del sistema società. Poi che da sempre ci sia un sommerso di relazioni extraconiugali e tradimenti è altra storia, ma la relazione ufficiale a due è un qualcosa cui ci hanno educati. Siamo venuti al mondo e si faceva così, punto. Chi non si accoppiava era uno scapolo, o una zitella. Degli sfigati, insomma. La relazione poliamorosa esiste da sempre, anche se prima era elitaria: solo in certi ceti o per certe motivazioni culturali. Adesso è una possibilità per tutti. Non sto dicendo che tutti dovrebbero esserlo, sia ben chiaro. Sto tentando di spiegare che essere poliamorico significa solo avere più relazioni contemporaneamente con persone diverse. Un po' quello che succede a chi mette le corna, no? Vive un amore stabile e diversi innamoramenti. La differenza sta nel fatto che i poliamorici lo dicono. E hanno quindi la serenità mentale per poterli coltivare di più, quegli innamoramenti, mantenendo equilibrio nella relazione principale ed essendo più onesti e meno bisognosi di sotterfugi rispetto a chi tradisce di nascosto. Mi annoia sentir dire che chi ha più di una relazione contemporaneamente non ama, perché è un falso ideologico proprio. Mi annoia sentir categorizzare l'amore, questo bisogno che abbiamo sempre di classificare tutto. Cosa vi spaventa dei poliamorosi? O di chi ha dinamiche amorose e/o sessuali diverse, fa scambio di coppia di coppia, magari, o cuckoldismo. Perché avete bisogno di dire loro che non è vero che si amano o che sessualmente sono malati? Non attaccate coi "No ma io non sono d'accordo" perché non è interessante. Lo so che non siete d'accordo, ma è irrilevante perché nessuno vi sta chiedendo di cambiare idea. Vi si sta solo chiedendo cosa vi preoccupa. Perché il bisogno di sminuire chi ama in un modo diverso dal vostro o ha relazioni di coppia differenti? Perché non comprendere semplicemente che tutti noi siamo diversi perché condizionati da vissuti e princìpi educativi diversi? Se un poliamoroso dice di amare ed essere sereno/felice, in relazioni appaganti, ma chi siete, che esperienza avete, per poter dire che si sta sbagliando o che è sbagliato? Vi risparmio la fatica di rispondere: non vi sentireste in diritto di giudicare con supponenza, se foste persone educate al rispetto dell'altro e al Ben Essere, e non viveste conflitti di vostro. Lasciate fare, smettete di pensare che il vostro concetto di relazione sia l'unico a significare Amore. Nessuno verrà prendervi a casa e obbligarvi a cambiarlo, se vi ci sentite bene. #stayeasy and #enjoyyourlife Ieri una persona mi ha fatto la domanda più interessante di tutta la mia carriera: perché fissarsi a parlare di prostituzione?
A quella persona ho già risposto, ma lo scrivo anche qui: perché la prostituzione è la chiave di lettura dalla quale partire per snocciolare la questione della disparità tra i generi. State pensando che io sia impazzita? In effetti, per trovare il filo a questo discorso ho rischiato grosso e, chi non vuol capire, probabilmente dirà che qualche rotella spostata ce l'ho. Sono anni che il pensiero laterale mi porta ad analizzare la dinamica della prostituzione da un punto di vista alternativo. Di tante cose che si dicono sulla prostituzione, che sia il mestiere più vecchio del mondo lo abbiamo detto più o meno tutti, almeno una volta nella vita... giusto? Ed è verissimo, perché quel mestiere è quello che ci è stato attribuito ai tempi della nascita della proprietà privata, nell'era dell'agricoltura, quando il potere economico è stato attribuito agli uomini e alle donne è stato attribuito il ruolo di colei che riceve sostentamento in cambio di accudimento ed esclusivismo sessuale. Le prime prostitute sono state proprio quelle donne che, se volevano campare, dovevano diventare esse stesse proprietà di un uomo, accudirlo, dargli figli. E se ancora oggi esiste la prostituzione è perché la società è evoluta perpetuando il concetto per il quale l'uomo elargisce potere economico (che poi sono soldi) alla donna in cambio di accudimento anche sessuale. Siamo d'accordo tutti che poco è cambiato su questo, riflettendosi anche negli àmbiti lavorativi? I ruoli di accudimento (dal fare pulizie, al babysitteraggio, alla segretaria del capo, ecc.) sono in maggioranza svolti ancora da donne, no? Che sono le prime a perdere il lavoro se arriva una crisi. Che, quando un lavoro ce l'hanno, difficilmente raggiungono la parità salariale. Che, quando raggiungono il successo, in realtà semplicemente eguagliano un risultato maschile. Questo perché? Perché nella nostra società, da millenni a questa parte, non è mai esistito un modello di successo femminile. Noi non abbiamo un modello di riferimento, per l'autorealizzazione: corriamo appresso a quello maschile. Perché sono loro che hanno deciso come si dovesse sviluppare la società, sono loro che hanno determinato il sistema socio-economico in cui viviamo. Il potere decisionale e governativo è sempre stato maschile e, ovviamente, è stato costruito con mentalità maschile. Badate bene, non sto accusando nessuno, non sto recriminando niente. Sto solo spiegando oggettivamente come sono andati i fatti. E solo se conosciamo i fatti, possiamo comprendere certe dinamiche. Quella della prostituzione, appunto, è mantenuta viva dal fatto che le donne sono sempre nella posizione del dover dimostrare di valere più di una semplice "accudente". Devono dimostrare di valere quanto un uomo. E, in un modello di società in cui l'uomo ha il potere economico e la donna sopravvive se accudisce, la donna può davvero ottenere potere economico, senza battagliare, solo accudendo al meglio. Pensate, per esempio, a questo fatto: un uomo di cinquant'anni, che dispone di un discreto/buono/ottimo potere economico, se non ha una moglie/mamma che si occupa delle faccende domestiche, in media paga una donna che assolva a queste incombenze e utilizza il denaro anche per offrire cene, viaggi, ecc. al fine di avere compagnia femminile. O paga donne che gli dedichino compagnia per ore o giornate. Elargisce potere economico per essere accudito. Ovviamente, i soldi elargiti per l'accudimento sessuale sono i più piacevoli, perché - appunto - legati alla sfera del piacere. Se poi vogliamo pensare agli uomini che una donna che li accudisca in senso domestico ce l'hanno, pagano una prostituta quando? Quando la donna accudente non accudisce più sessualmente. Qui dovrei snocciolarvi la miriade di condizionamenti che hanno contribuito a mantenere vivo questo sistema: basti pensare al concetto di fedeltà, che da sempre vede la donna che tradisce come una troia, mentre l'uomo che lo fa ha un'aura di figaggine. Non a caso, la donna che tradisce viene lasciata senza alimenti più spesso di quella che viene lasciata per scelta maschile. Ti tolgo il sostentamento, perché tu non mi hai accudito. Non siamo, allora, sempre a quell'epoca là? Ecco cos'è, quindi, la prostituzione: tu, donna, mi accudisci sessualmente, io ti riconosco il sostentamento. E che il ruolo femminile sia ancora quello, oggi, lo dicono chiaro i numeri: su 101.000 persone che hanno perso il posto di lavoro causa Covid, 99.000 sono donne. Se qualcuno deve perdere potere economico nella nostra società, ancora oggi, è la donna. Lo sappiamo, direte voi. È normalità, praticamente. Già. Ma sapete anche che, nel bisogno di denaro per sostentarsi, le donne hanno la prostituzione come soluzione più immediata? Mi ripeto dicendo che c'è poco da moralizzare, se le donne si prostituiscono (virtualmente e non solo), se la forma mentis rimane questa, se il potere economico continua a essere prevalentemente in mano maschile e se le donne non hanno un modello femminile di successo. Ragazze mie, leggetevi IL VIAGGIO DELL'EROINA, Maureen Murdock, Ed. Dino Audino. È proposto come manuale di sceneggiatura, ma date retta: le prime dieci pagine sono quanto di più consapevolizzante io abbia mai letto o sentito dire. Vi manderà un po' in crisi perché vi spiegherà che quella sensazione di "vuoto" che le donne sentono a un certo punto dell'età adulta non dipende esclusivamente dalla menopausa, come questa società ci racconta da millenni. Quella è l'ennesima modalità di definirci "isteriche". In realtà, quel vuoto che assale anche quando abbiamo tutto (affetti, denaro, successo), è dovuto al fatto che ci siamo realizzate su un modello societario maschile... che non è il nostro. Lo so. Probabilmente avete mille obiezioni da muovere, a questo scritto... ma usatemi la cortesia di farlo solo a ragion veduta. Leggete quel libro, poi sono qui con piacere. Leggete anche "In principio era il sesso" di Ryan e Jethà, poi sono qui con piacere. Sto dicendo: andate a conoscere la storia antropologica delle relazioni, perché solo avere consapevolezza delle radici sociali dalle quali ancora siamo nutriti, può renderci consapevoli che il terreno velenoso dà frutti velenosi. E la chiusa è sempre la stessa: ci vuole impegno a conoscere per poter attuare un cambiamento. E ci vuole intento educativo per un cambiamento costruttivo. Se poi volete capire oggettivamente il discorso della prostituzione, legato al ruolo femminile nella società, io ho scritto NON CHIAMATELE PUTTANE e HO FATTO LA CAM GIRL (Ed. Effetto), come sapete bene perché vi sto sfracellando i neuroni da tre giorni. È autopromozione? Sì, anche. Ma è soprattutto desiderio che si prenda consapevolezza dell'oggettività delle cose. #abbattiamoipregiudizi Ché sono loro a mantenerci in questa situazione. Il titolo è volutamente provocatorio, e infastidisce proprio perché contiene una verità. Non sto dicendo che sia una fregatura innamorarsi e decidere di condividere la Vita, mi sto riferendo alla Coppia come istituzione sociale: ci viene da sempre dipinta come una naturale conseguenza dell'amarsi e del desiderarsi, ma in realtà cos'è? Partiamo dal fatto che quando parliamo di dinamiche sessuali, dovremmo avere sempre ben chiaro che la sessualità risponde in primis a un coinvolgimento biologico dell'individuo, mentre le dinamiche di amore monogamo rispondono a norme socio-economiche. Ve lo dico perché questi sono i dati di fatto: la Storia della Coppia è frutto del condizionamento socio-economico. La coppia non è nata perché il principe e la principessa si sono innamorati. È nata perché l'avvento della proprietà privata, all'Era dell'Agricoltura, ha consegnato il potere economico nelle mani dell'Uomo e ha reso necessario avere forza lavoro e eredi ai quali lasciare la proprietà. La coppia è nata quindi per evitare la promiscuità dei discendenti. Se fino a quel momento non era importante sapere di chi fossero i figli, con l'istituzione della proprietà privata è diventato necessario definire nuclei di appartenenza certi, sia per detenere la forza lavoro, sia per la successione della proprietà: l'Uomo ha chi far lavorare per la propria proprietà e sa a chi lasciarla. In tutto questo la Donna ha assunto quindi il ruolo di garante di eredi e della produzione di forza lavoro e, attraverso la fedeltà, assicurava l'esclusiva riproduttiva, oltre all'accudimento. In cambio di protezione e mantenimento. L'esclusivismo sessuale è una norma di comportamento sociale imposta per motivi economici dall'avvento della proprietà privata. È molto semplice, no? Nei millenni siamo stati educati all'esclusivismo sessuale perché era l'unico modo per garantire la continuità e la successione del patrimonio famigliare. Il problema è che nessuno ce lo racconta, nessuno ci educa nella consapevolezza che la Coppia come istituzione non c'entra un bel niente con il sentire. Non sto dicendo che tutti dovrebbero per forza cambiare, sia chiaro. Sto dicendo che è importante saperlo perché lì c'è la ragione per cui siamo eternamente affaticati nelle relazioni. Abbiamo mescolato le cose: se all'inizio chi si accoppiava lo faceva semplicemente in base a criteri socio-economici, nell'evoluzione storica dell'istituzione Coppia, abbiamo messo il sentimento, ma dobbiamo essere consapevoli di esserci immersi in una dinamica che non ha come base l'Amore, per le norme di comportamento. Non a caso per millenni (e ancora oggi) viene richiesto alla coppia di restare insieme anche quando il sentimento è cambiato, addirittura si ritiene un modello chi realizza il "per sempre". Modello idilliaco, lo sapete meglio di me: -c'è chi realizza il per sempre sopportando, e allora ha l'ammirazione di tutti, è considerato una brava persona, che si sacrifica per i figli, ecc; -c'è chi lo porta a termine con felicità, e viene addirittura invidiato, tanto succede raramente in rapporto alla media; -poi c'è chi invece non ce la fa proprio, decide di voler cercare Ben Essere e molla: viene additato come "irresponsabile", traditore e così via. Dal punto di vista socio-economico ha fallito, rompendo il nucleo famigliare. Dal punto di vista sentimentale, ha tradito il patto del per sempre. Non è possibile pretendere da una persona che il suo sentire resti immutato per un'altra persona per sempre, perché noi tutti evolviamo. Può succedere che si evolva insieme, che dalla compatibilità iniziale nasca una relazione in cui i partner si aggiustano l'un l'altro, man mano che si realizzano i reciproci cambiamenti individuali: questo è l'unico per sempre che può esistere. Ma pensate a quando c'è un problema in una coppia: la prima cosa che viene detta è "Sei cambiato" o cambiata, come fosse un difetto, una condotta sbagliata. Cambiare cambiamo tutti, in continuazione. Se non cambiamo granché è perché ce lo imponiamo per senso di dovere, fatto salvo poi finirci ai matti (espressione ironica ma veritiera... basta guardare le statistiche relative alla vendita di psicofarmaci). Ho scelto razionalmente di accogliere sempre ciò che gli altri sentono, senza mai dimenticare la variabile "Condizionamento socio-educativo" alla quale siamo tutti assoggettati, in misura diversa. Mi piace l'idea di arrivare a stimolare la riflessione sul fatto che ciò che noi pensiamo essere una nostra opinione, in realtà, è ciò che sentiamo per ciò che siamo come individuo-prodotto sociale. I concetti relativi alla monogamia, alle dinamiche di coppia, non dovrebbero nemmeno essere opinabili, perché non lo sono: -la scienza ci dice che siamo monogami seriali; -l'analisi antropologica dell'evoluzione delle dinamiche delle relazioni di coppia fotografa chiaramente il percorso che abbiamo fatto. Il problema è che l'educazione che ci impone il sistema socio-economico non ci consente di prenderci per quelli che siamo ma tende a imporci ciò che dovremmo essere. Lì nasce il mal essere generale che respiriamo: siamo in costante conflitto tra ciò che la società vuole da noi e ciò che noi non riusciamo a dare perché biologicamente inadeguati al modello imposto. Pensate a quanto vivremmo meglio se come riferimento avessimo la convinzione che le relazioni amore+sesso possono durare al massimo cinque anni... Vivremmo con più leggerezza, poi chi volesse restare insieme anche oltre potrebbe farlo, eh. Se ci avessero insegnato che la normalità per una relazione monogama è una durata quinquennale, tutto quello che verrebbe in più sarebbe straordinario. Questo farebbe sì che chi, invece, al termine dei cinque anni si lasciasse, prenderebbe la cosa come normale evoluzione: meno sofferenza, meno battaglie inutili, meno fatica di vita. Quanto malessere in meno... E non mi sembra un discorso così assurdo: se fino ad ora per educazione abbiamo pensato che l'obiettivo da raggiungere fosse il per sempre, e abbiamo vissuto frustrazioni enormi perché lo realizzano in pochissimi, spostando l'asticella a cinque anni non vivremmo più quella frustrazione. E non sarebbe una strategia di comodo, bensì basarsi semplicemente su ciò che siamo, punto. Non è che, in media, non raggiungiamo il Felici per sempre perché non vogliamo o non siamo capaci noi come individuo singolo: non lo raggiungiamo perché è un obiettivo che non tiene in considerazione le nostre potenzialità. |
GRAZIA SCANAVINI Ricercatrice Educatrice umanista Counselor filosofica Blog con intento educativo.
L'obiettivo è stimolare riflessione al fine di favorire la consapevolezza personale nelle relazioni.
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