![]() Grazie ai numerosi feedback ricevuti in settimana, so che la metafora dei biscotti è stata utile a diverse persone per comprendere più a fondo le dinamiche che si instaurano in una manipolazione. Scriviamone un'altra, allora, che uso spesso in consulenza per cercare di focalizzare l'effetto della manipolazione sulla persona che la subisce, e per spiegare da dove viene quella sensazione di stordimento che si arriva a provare. Tenterò di utilizzare un linguaggio neutro. Perdonatemi eventuali errori, ma per me ultimamente è sempre più complicato capire come devo scrivere per rispettare la forma di genere (mi sto attrezzando, però). Immaginiamo un bosco a metà mattinata di un giorno di primavera inoltrata: c'è un bel tepore, gli uccellini cantano, le farfalle passano da un fiore in sboccio a un altro, si sente il rumore di acqua che scorre poco lontano. Bei colori, profumi buoni, sani. Ci sono tutte quelle cose che indicano tranquillità, insomma. Una bella luce filtra attraverso gli alberi alti che circondano e proteggono una casa. Quella casa sei tu, immersa nel mondo che ti circonda, fatto di tante cose con le quali sei in equilibrio. Stai trascorrendo la tua giornata come d'abitudine, immersa nel tuo mondo. A un certo punto qualcuno bussa alla porta. Tu guardi fuori dalla finestra e c'è questa persona sorridente, per niente allarmante, che guardandosi intorno esprime apprezzamento sia per il contesto in cui abiti, sia per la tua casa. Passava di lì, con il suo zaino sulle spalle, e non ha potuto fare a meno di fermarsi un attimo per dirtelo. È talmente entusiasta che ti viene spontaneo offrirle un caffè. Che sarà mai: due chiacchiere con una persona gentile che ti sta facendo una gran bella impressione. Porti il caffè fuori, sul patio. Seduti lì, le due chiacchiere diventano un dialogo interessante e portano in breve a una confidenza che raramente tu concedi a qualcuno. Questa persona, però, è talmente positiva, allegra e simile a te che ne resti quasi incantat*. Hai come la sensazione, mai provata, di conoscerla da sempre. Più parlate e più ti sembra incredibile che qualcuno possa capirti così, istintivamente, in cose che solitamente racconti a chi ti circonda ma non si raggiunge mai profondità. Uccellini, farfalle, alberi, fiori... quando parli ti ascoltano, ti sono vicini, ti girano intorno e poi svolazzano altrove, nelle loro vite. È la prima volta che hai un feedback pieno, così partecipe e vivo a ciò che dici. Ma la cosa ancor più sconvolgente è quel che ti racconta di sé e il modo in cui lo fa: talmente genuino, immediato, spontaneo, che non sai più distinguere quanto la bellezza che avverti e il calore che percepisci siano effetto del sole di mezzogiorno o sia questa persona stessa a irradiarteli. Tutto è più colorato, più caldo, più vivo. Vuoi vedere che le favole esistono? Vuoi vedere che la storia dell'anima gemella, a cui forse non hai nemmeno mai creduto, è vera? Talmente alta la compatibilità, talmente tanta la piacevolezza del tempo trascorso con questa persona, che si fa l'ora del tramonto e tu ti ritrovi dispiaciut* al pensiero che la giornata stia volvendo al termine e la persona possa riprendere il suo cammino. Andarsene. Sarebbe da incosciente farla entrare in casa, la conosci da poche ore appena... ma quando si alza e fa per infilare lo zaino sulle spalle, non resisti: "Vuoi entrare?" È talmente gentile che sulle prime mostra riserve: "Sei sicur*? Non sentirti in dovere. È buio ormai, ma troverò la strada e un riparo per la notte." A quel punto, di fronte a tanta premura nei tuoi confronti, sei disarmat*. Come potresti permettere che si inoltrasse nel bosco di notte e, ancor di più, rischiare di perdere una persona simile? Apri la porta, la inviti a entrare e a sentirsi come fosse a casa sua. Appena entrata, appoggia il suo zaino con garbo e resta ammaliata dall'interno della tua casa: aveva capito già guardando da fuori che fosse bella, ma non immaginava così tanto. Wow proprio! Mostra talmente tanto entusiasmo nel guardare ogni anfratto che pure tu, che la consideravi una casa accogliente e funzionale ma piuttosto normale, prendi a vederla con occhi diversi. Occhi nuovi. Cominci ad apprezzare di più ogni angolo di te. Il tempo che trascorrete insieme è talmente piacevole che ti dimentichi di tutto. Tanto l'entusiasmo nel condividersi, raccontarsi e darsi ore di piacere, che perdi la cognizione delle ore fino a non sapere nemmeno più che giorno è. Quanto tempo è trascorso da quando questa persona è dentro te? Boh. poco, ma è come se quella fosse sempre stata casa sua, in attesa che arrivasse. Passa da un angolo all'altro con l'entusiasmo negli occhi, dando valore a tutto. TUTTO. Mostra talmente tanto amore per ogni cosa che trai assoluto piacere dal dargliela, dal condividerla. Ciò che è mio, è tuo. Io sono te, tu sei me. Mai con nessuno, finora. Mai avrei creduto che avrei incontrato una persona con la quale sentirmi come se non ci fosse nemmeno la pelle a separarci. Questa è la fase del LOVE BOMBING. Tutto straordinario, extra-ordinario, inaspettato, energia positiva alle stelle. Quella persona ama talmente ciò che sei dentro che inizia anche a prendersene proprio cura, insieme a te. Non solo ti fa ballare, ti fa ridere a crepapelle, ti fa sentire la musica come mai l'hai percepita, ti dà un ben essere che mai avevi sentito... Passano i giorni e, trasportat* dall'entusiasmo di questa convivenza, realizzi che tu non avevi mai considerato possibile la storia della mezza mela che combacia esattamente. Cioè, tu ti sei sempre sentita una mela completa, ma adesso come ti sentiresti se questa persona se ne andasse? Se non si prendesse più cura di te? Sarebbe una mancanza, allora, non eri complet*, forse. Persona talmente vera che, per il tuo bene, inizia a farti vedere come il tuo interno sarebbe anche più bello e funzionale se lo si cambiasse un po'. E tu, che adesso stai guardando con i suoi occhi, realizzi che ha ragione: quel quadro sta meglio nella parete opposta; quella poltrona nel lato a sud della casa ti consente di avere più luce naturale quando leggi; la stufa meglio metterla a nord dove fa più freddo... "Caspita, sì. Non ci avevo mai pensato, ma è ovvio. ha ragione." Quel vaso, però, sembra bruttino. "Sì, ma è un ricordo di nonna..." "Sì, ok, ma hai bisogno di un oggetto per ricordarti dell'amore ricevuto? Forse, allora, non era un amore così potente, altrimenti non avresti bisogno di un oggetto scadente per ricordartelo... Cioè, fai come vuoi, eh, ma è pure scheggiato, vecchio... a che serve tenerlo?" "Giusto, buttiamolo!" Sul vaso non eri proprio convint*, ma quella persona si sta così tanto adoperando per te che... vabbè. Passano i giorni e si trascorre sempre più tempo a sistemare cose e a buttarne altre. Sempre meno a ridere, ballare e raccontarsi e darsi piacere. Adesso, poi, la persona ha preso ad agire senza nemmeno chiedere la tua opinione. È sempre meno sorridente, sembra sempre più appesantita dal dover fare quel lavoro e, quando tu le proponi di fermarsi, di ballare, di giocare, di darsi piacere, scatta, facendoti sentire inadeguat* e irriconoscente: si sta prodigando tanto, per te, ma evidentemente tu non te ne rendi conto. Tu ci resti male, non capisci. Ti ammutolisci, nel cercare di capire cosa sia successo. Pensi pure che forse ha ragione, ti senti un po' in colpa e decidi che è meglio lasciarla fare. Quando avrà finito, sicuramente, si tornerà a ballare, ridere e tutto il resto. Stai subendo svalutazione e negazione di ciò che provi, attraverso una comunicazione perversa. Sei già nel circolo vizioso del GASLIGHTING. Vorresti la bellezza dei primi giorni e avverti una certa confusione mentale rispetto al cambiamento dell'umore. Tuo (ok, non sei stat* abbastanza riconoscente, ma non ti sembra una tragedia. O forse lo è, effettivamente, perché tu - che apprezzavi tanto la profondità - sei stat* superficiale nel non capire l'impegno che ha messo per te. Oddio, che confusione!) e suo. La tensione è alta: quella persona adesso sta agendo a testa bassa, ti rivolge a malapena la parola e, quando lo fa, sembra parlarti attraverso, come se tu non esistessi e il tuo palesarti fosse solo un intralcio, una pesantezza. Passi le notti insonni a cercare di capire come sia successo che tutto è andato a rotoli, quali siano le tue responsabilità e non ne trovi. Cioè, forse hai sbagliato, sì, ma lo hai fatto in buona fede. Non avresti mai voluto ferirla, anzi... vorresti solo potergli dare tutto il bene che puoi. L'inquietezza che provi sembra avere un'unica soluzione: affrontare la situazione apertamente, anche a rischio che se ne vada. Una mattina ti alzi, apri l'armadio per vestirti e non trovi più nulla. Entri in cucina abbastanza irritat*, chiedi dove siano i tuoi vestiti e la persona ti risponde che te l'ha detto già due volte che stanno nella stanza accanto. Non ricordi, ma boh... ti dice talmente tante cose e poi sei talmente scombussolat* in questo periodo che potresti averlo dimenticato. Fa niente, c'è da risolvere la questione principale: chiarirsi. Sei arrabbiata, vada come vada questa cosa la devi risolvere. Sei pronta, sai che litigherete, ma non si può più rimandare. Vai a vestirti mentre ripassi mentalmente il discorso che vuoi fare, che ti gira in testa da giorni. Cerchi le parole migliori per evitare di apparire inadeguata e irriconoscente, che tocchino tutti i "ma" necessari senza dichiarare una vera e propria guerra. Quando torni in cucina trovi una colazione con i fiocchi, che ha preparato solo per te, e lei è al lavoro: sta dipingendo i muri di nero, perché il giallo di prima era troppo chiassoso. Il nero non ti va proprio giù e sbotti: "Senti, fermati. Dobbiamo parlare. Così non va bene perché io non ci sto più capendo niente! Questa casa ti piaceva tanto... Era perfetta, dicevi. Adesso non va più bene nemmeno il colore delle pareti?" La persona che fa? Crolla in ginocchio, inizia a piangere sommessamente. Si scusa, ha rovinato tutto... Tu resti sbigottit*, non ti aspettavi quella reazione. Più singhiozza, più la tua rabbia sfuma lasciando il posto alle parole che quella persona tira fuori apparentemente violentandosi: c'è un dolore molto profondo dentro di lei, che non era mai riuscita a esternare con nessuno... ma ti ama talmente che con te non può frenarsi. Non avrebbe voluto dirtelo, perché è una roba veramente brutta (un trauma o una violenza subiti durante l'infanzia o anche in età adulta)... ma quelle pareti gialle le rinnovano il ricordo, il dolore. Per quello ha bisogno di cambiarle. Si scusa tanto, ti abbraccia, ti fa l'amore. GASLIGHTING a manetta. Alti e bassi senza interruzione di continuità. Non che sia esattamente come all'inizio, ma siete tornati in sintonia, insomma. Vi state parlando, ti ha dato la parte più dolorosa di sé e tu ti senti stupid* e cattiv* ad aver provato rabbia nei suoi confronti. Ti riempi di comprensione e di emozione... e di certezza che, appena i muri non saranno più gialli, tutto tornerà come all'inizio... esattamente come ti ha promesso. Le dai pure una mano, guarda... Se i muri neri la fanno stare bene, li preferisci pure tu! "E buttiamo pure giù una parete, se la senti un ostacolo." Che ti frega di una parete, se buttarla giù può significare tornare a stare bene entrambi, come prima? Solo che quella parete era portante e il tetto sembra essersi abbassato. Lei capisce la tua preoccupazione: "Ma no... è una tua sensazione, amore... tranquill* Comunque, se non ti fidi di me, domani chiamo qualcuno che lo controlli, ok?" "Non è che non mi fido di te, è che il tetto ha una crepa là, vedi?" "Ma guarda che c'era già, anche quando io sono arrivat*. Forse non l'avevi notata perché la vedevi sempre... Non è successo niente. Comunque, affinché tu sia tranquill*, domani chiamo un ingegnere. Domani non lo fa. Ma nemmeno il giorno dopo e quelli a seguire. Giorni in cui alterna continuamente la testa bassa a fare cose (facendoti capire chiaramente che se obietti sei inadeguata e irriconoscente) e giustificazioni che ti sembrano del tutto incoerenti ma che - mannaggialaputtana - sembrano sempre avere un senso (e quindi sei stat* pesante per niente. Anzi, ti aveva detto che avrebbe fatto quella cosa e tu avevi concordato, poi te ne sei dimenticat*). Ti prepara da mangiare, ogni giorno, e ogni volta che inghiotti un boccone ti sembra che abbia un gusto buono, ma alla fine ti resta un sapore sempre più amaro e nauseabondo. A questo punto, tu davvero non ci capisci più niente. Hai impiegato talmente tante energie a cercare di capire, di aggiustare le cose, di riconquistare il clima iniziale, che sei stremat*. Non hai nemmeno più la forza di ricordare esattamente cosa sia successo... È talmente lontana, ora, l'immagine di come era casa tua prima, che non la ricordi più. Non sai dove siano finite le tue cose, sai solo che non ci sono più. Questa è dissonanza cognitiva. Non hai più certezze. Non sai più cosa sia vero e cosa sia falso. Non sai più come devi comportarti, ogni cosa che fai viene interpretata in modo esattamente opposto ai tuoi intenti. La testa sembra vagare senza più possibilità di gestirla: se succede un fatto, il pensiero te ne dà un'interpretazione, ma poi ti dà anche l'interpretazione esattamente contraria... e te le fa credere entrambi plausibili. Una mattina ti svegli in preda al panico, come se avessi fatto un incubo che non si dissolve aprendo gli occhi. Ti trascini in cucina, è tutto molto buio, nero, vuoto. Mancano anche le poche cose che ti sembra di ricordare che ci fossero la sera prima. La colazione pronta sul tavolo è cibo muffo e rinsecchito che la persona, però, ti dice essere una prelibatezza. Tu hai la nausea solo a vederlo, ma ti gira la testa, non hai proprio la forza di obiettare. Mangi lentamente per tenere placato il disgusto e taci, mentre guardi la crepa sul soffitto e temi possa cedere da un momento all'altro. La persona davanti a te lo capisce e mette le carte in tavola: ti fidi di lei o no? Tu vorresti solo riaddormentarti e svegliarti nella tua casa di prima che manco ricordi. E lei lo sa. Ti chiede apertamente se vuoi che se ne vada, magari, e tu non rispondi perché la nausea che senti è talmente forte che i conati di vomito ti chiudono la gola. La persona continua a parlare, parlare, parlare. Dice che sei tu che devi scegliere. Dice cose che non riesci a capire e, sorreggendoti, ti accompagna fuori, per dimostrarti che il tetto della casa è al suo posto. Ti fa sedere lì, sfinita, fuori da quella te stessa che tu ormai vedi solo come vuota, nera, brutta, sporca, rotta. Ti guardi intorno ed è arrivato l'inverno. Freddo, nebbia, alberi spogli, nessun fiore e nessuna farfalla. È tutto tetro. Ti rendi conto che sei stata talmente impegnata dentro, da dimenticarti completamente del fuori. Ti accorgi anche che non ci sono più le piante che coltivavi e le poltrone del patio, che servivano anche ad accogliere gli altri. Ti sei lasciata andare in un isolamento totale, senza nemmeno rendertene conto, concentrando tutto su ciò che quella persona stava determinando. "Come ci sono finit* in questa situazione?" La persona ti guarda, ti accarezza, e ti dice che sei tu a vedere tutto nero, a non vedere la bellezza di quei cambiamenti. Sei stremata, ma no... la bruttura è davanti ai tuoi occhi, la vedi. "Perché mi hai fatto tutto questo?" le chiedi a voce alta. Ma solo in quel momento ti rendi conto che, quella persona, non c'è più. È sparita. La chiami e non risponde. Hai freddo. Ti gira la testa. Ti senti esanime. Decidi di rientrare in casa e vaffanculo, ma quando fai per aprire la porta ti rendi conto che è chiusa e capisci che la persona si è portata via la chiave per aprirla. Le forze ti mancano, ti accasci lì, sulla soglia di te stess*. E resti immobile, pensando che tornerà presto. Passi le ore e i giorni in attesa, chiamando, chiedendoti dove sia andata e perché ti abbia lasciata senza darti nemmeno dirti dove sarebbe andata e soprattutto perché. Entri nel loop del bisogno di riavere la chiave. Ti fai forza e ti alzi a cercare la persona, affrontando senza forze il bosco che adesso ti sembra solo un ostacolo. E più ti allontani da casa, più avverti il senso di paura, pericolo, di fine che si avvicina. Vuoi che quella persona ti restituisca la chiave per poterti riappropriare di te stess*. Ma quella persona non tornerà, non adesso. Ha messo in atto lo SCARTO. La tua casa è diventata talmente brutta e vuota che non gli interessa più. Tu non te ne sei res* conto, ma tutte le tue cose le ha man mano accatastate fuori da te e se l'è vendute, le ha usate, bruciate, per trarne energie per sé. Abbruttendo la tua casa, ha potuto godere del piacere di vedere meno brutta la sua in cui viveva prima. Che è una casa inabbellibile: per quanto quella persona provi a migliorarla, è talmente un tugurio strutturale che non potrà mai sentirla accogliente. Probabilmente, mentre tu stai lì ad aspettare che torni e ti dia la chiave, quella persona sta già in casa di qualcun altro a cercare di fargli esattamente ciò che ha fatto a te. La chiave, nella metafora, rappresenta il confronto che, per le persone adulte, è il modo di elaborare un conflitto. Trovare un compromesso o chiudere la relazione, ma farlo in due, prendendo a vicenda una posizione sincera rispetto all'accaduto. Chiave che non otterrai mai da una persona con un disturbo narcisistico della personalità, perché ha bisogno di mantenere la possibilità di accedere a quella casa quando vuole - seppur ormai brutta e logora. Alle brutte sarà sempre un riparo, qualora non avesse a disposizione una casa più bella in cui stare. A questo punto, tu come ti senti? Disarmat*. Vuoi uscire da tutto questo malessere, ma non hai idea di come sia possibile farlo, senza quella chiave. Ti senti incapace di fare qualsiasi cosa, di muoverti in qualsiasi direzione. Il terrore che ogni passo possa essere un passo falso. La sensazione di morte imminente, che sembra un'esagerazione ma io so che è quella che avverti. Si chiama immobilità emotiva ed è una conseguenza del turbinio emotivo che hai vissuto, della svalutazione e della negazione del Sé che hai subito, fino a perdere autostima e autodeterminazione. Sei fuori da te stess*, non puoi nemmeno più accedere a quei muri che ti erano rimasti e sentirti al sicuro almeno un minimo. La tua sopravvivenza sembra dipendere da quella chiave. La tua sopravvivenza emotiva dipende dall'ottenere una risposta, dal capire se davvero è stata tutta illusione o cosa. Cosa puoi fare? So che istintivamente ti viene da continuare a cercare di ottenere la chiave. Te la deve, per tutti i danni che ti ha arrecato. Te la deve, per consentirti di uscire dal malessere. Alterni momenti di confusione mentale altissima alla rabbia, sia nei suoi confronti, sia nei tuoi. Tu di quella chiave ne hai bisogno! È tua. So anche che, nonostante tutto, sei talmente delus* dall'esserti fatt* fregare che ti maledici, ma al tempo stesso continui a sperare che sia solo un incubo dal quale ti sveglierai: che, nel confronto, quella persona si ravveda e ti conceda di pensare che non sei stat* così stupid*. Non succederà. Quel confronto non lo avrai. Tutt'al più otterrai comportamenti ambigui, promesse di riavere presto la chiave, ma anche esattamente niente. Indifferenza. Più cercherai di riavere la chiave, più ti sfinirai e permetterai a quella persona di capire che può tornare quando vuole, perché dipendi totalmente da quella chiave. Prova a fermarti un attimo, a respirare molto profondamente, ad accettare di essere stat* fregat*. Poi ci torniamo su, a questo fatto. Una porta, come si apre se non si ha la chiave? La si prova a buttare giù a calci. Ma ci vuole la forza necessaria. Se te la senti, puoi tentarci e magari anche riuscirci. Una volta entrat*, non pretendere di avere le forze necessarie per rimettere a posto casa subito, ok? Coricati in un angolo, guardala. Prendi consapevolezza di quanta devastazione ha subito e non arrabbiarti con te stess*. Hai accolto quella persona con tutto il bene che potevi e ti sei fidat* di ciò che sentivi (come sai se hai letto i post precedenti): non avresti potuto capire gli intenti di quella persona, quando l'hai conosciuta. E, se non hai potuto capire nemmeno dopo, è perché quella persona ti ha intenzionalmente drogato mettendo in atto schemi comportamentali che tu non avresti potuto annientare, non avendo gli strumenti e nella convinzione che fosse una relazione normale. La relazione con una persona affetta da un disturbo narcisistico della personalità NON È UNA RELAZIONE NORMALE. È paragonabile alla progressiva assunzione di sostanze che creano dipendenza, senza averne consapevolezza. Lascia DAVVERO perdere chi ti dice che sei stat* inett* a non accorgerti di ciò che succedeva: se ti dicono questo, significa che non hanno proprio la minima idea di cosa sia una manipolazione, ok? Lascia perdere anche chi ti dice che devi tirarti su e basta, che non si può morire appresso a una persona del genere. Non capiscono che sei chius* in una dipendenza pari a quella da stupefacenti. Confidati con chi ti dà comprensione, per alleggerire il carico emotivo, ma evita di parlarne con chiunque e di ascoltare i consigli che arrivano da ogni parte. Affidati a una persona che ha competenze e, non conoscendoti, potrà aiutarti con oggettività, trovando con te le strategie personalizzate adeguate a rimettere a posto casa e anche a cambiare la serratura... in modo che quella persona non possa più rientrare. Immagino che tu, che forse sei lì fuori dalla porta e hai già dato calci a ripetizione ma non sei riuscit* a rientrare, ti stia abbattendo ancora di più. Non farlo. La tua forza dipende inesorabilmente da quante ne hai già dovute usare. C'è un altro modo: chiamare una persona che scardini la serratura (e intendo un professionista competente) e la cambi proprio. Che ti accompagni dentro casa e ti faccia da spalla nel prendere atto che quella casa è cambiata, ma non è caduta. Ti guiderà nel capire quali sono i punti di forza e quali quelli da rinforzare. Non tornerà più la stessa, ma potrà essere di nuovo sicura, accogliente e farti sentire bene. Non puoi pensare che accada in fretta perché i lavori da fare sono tanti, strutturali prima e di abbellimento dopo. La cosa fondamentale è che te ne sei riappropriat* e che, una volta cambiata la serratura, devi prenderti il tempo di lavorarci con le energie che hai e che riacquisterai man mano, un lavoretto alla volta. Cambiare la serratura è una decisone che devi prendere tu, però. E capisci quanto sia fondamentale. Perché se inizi a sistemare casa e quella persona rientra... manderà all'aria tutto e sarà sempre più devastante, perché questa volta la struttura è ancora precaria e tu hai ancora poche energie per opporti. C'è un solo modo per cambiare quella serratura: mettere in atto il NO CONTACT. Ma ne parliamo al prossimo post, ok? Adesso concentrati nel guardare la tua casa, prendi atto che dovrai lavorarci ma focalizzati soprattutto sul fatto che non è caduta. Ha rischiato, ma non è caduta.
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![]() Per affrontare qualsiasi discorso sulle manipolazioni, ma soprattutto sulla questione narcisistica, è necessario aver capito che tutti siamo narcisisti e chi lo è in termini patologici non ce l'ha scritto in fronte, uomo o donna che sia. Il narcisismo è una componente della personalità, funzionale ad amare sé stessi e fondamentale per sviluppare una vita equilibrata. È una caratteristica sana, insomma, della personalità che è un’architettura relativamente stabile di tendenze comportamentali (tratti), stili cognitivi, preferenze (o motivi), disposizioni valutative (o atteggiamenti) che permettono di riconoscersi e di distinguersi dagli altri. Per semplificare, immaginiamoci una linea retta che rappresenta lo 0 della personalità, sulla quale sono allineate tutte le componenti e tutte le caratteristiche in perfetto equilibrio tra il meno e il più (prima immagine). La giusta misura di tutto. Nessuno di noi è così: abbiamo tutti caratteristiche più o meno preponderanti che non sono altro che l’ingrediente specifico della personalità unica di ognuno, ok? Diciamo che in una struttura di personalità funzionale i tratti restano tutti dentro certi limiti e interagiscono tra loro senza creare grossi casini, compensandosi. Casini che nascono invece quando uno o più tratti superano il limite al punto da condizionare la funzionalità della personalità. Quando la componente narcisismo è un po' più "alta", c'è un eccesso di vanità, che serve solitamente a compensare un difetto di autostima. La persona ha bisogno di un ritorno, di un riconoscimento importante da parte degli altri perché qualcosa non è andato benissimo nel processo della determinazione del sé durante lo sviluppo della personalità, ma non è così impattante da determinare un disturbo vero e proprio. Se, invece, nella fase di sviluppo qualcosa è andato molto storto (cosa, ne parleremo in un altro post), quindi autostima e determinazione del sé sono rimasti bassissimi (e si è sviluppata solo l'empatia cognitiva ma non quella affettiva) succede quello che vedete nella seconda figura. La caratteristica prevarica tutte le altre, condizionando la persona al punto che accentra tutte le attenzioni e tutte le energie sul sé, come una fissazione che non si limita a essere funzionale a sé stessa ma, appunto per la bassa autostima e determinazione del sé che la determinano, ha bisogno di trovare negli altri una continua conferma che il proprio sé sia grandioso. Come se avesse dentro un vuoto da colmare. Un vuoto che non ha fondo. Non riconoscendo gli altri come pari, ma solo come rifornitori di stima, in una relazione paritaria non otterrebbero abbastanza amore (inteso come riconoscimento affettivo spontaneo) per colmare il loro bisogno. Riprendiamo quel che abbiamo detto sopra: tutti abbiamo una componente narcisista. per questo, tutti tendiamo in qualche modo a far sì che gli altri ci riconoscano nel modo che piace a noi, no? Vi introduco una metafora che, chi è stato in consulenza da me, conosce già molto bene. Pensiamo alla stima come fossero BISCOTTI! In una relazione sana, due partner producono ognuno biscotti per sé (autostima) e biscotti per l'altro (stima), riuscendo così a mantenersi appagati entrambi. Una persona che ha un disturbo narcisistico della personalità, invece, vede il partner solo ed esclusivamente come una macchina che produce di biscotti. Non essendo dotato di empatia affettiva, il narcisista patologico non ha alcuna possibilità di interessarsi affettivamente al sentire e all'appagamento dell'altro. Risponde al vuoto interiore che deve colmare, quindi, usa l'empatia cognitiva per capire come si sente l'altro solo allo scopo di determinare in lui una certa risposta emotiva che lo porterà a produrre sempre più biscotti. E usa strategie affinché il partner desideri proprio produrre sempre più biscotti. Il patologico, attribuendo la propria fame e la propria assenza di energia a cose brutte che gli sono successe, a persone che gli hanno rubato i biscotti, spesso non chiede esplicitamente biscotti, anzi... usando la comunicazione perversa fa intendere al partner di non volerli, perché non vuole essere di peso, perché non li merita, perché non vuole imporre niente, ecc. Il partner, che ovviamente vuole il bene dell'amato, aumenta la produzione di biscotti perché appagare l'altro è un sentimento spontaneo e piacevole, per chi è innamorato, no? Cioè, in una relazione normale lo è. E lo è anche pensare che, dando moltissimi biscotti all'amato, questi riacquisterà presto energia e ricomincerà a produrre biscotti anche per lo scambio. Ma in questa relazione i biscotti prodotti per il patologico non bastano mai... il vuoto da colmare è a perdere. Quindi, il partner - aumentando crescentemente la produzione - arriverà a sfinirsi, a perdere ogni energia e perfino a cedere i biscotti necessari al proprio autosostentamento (autostima). Ecco perché la sensazione di vuoto interiore in cui si trova chi ha una relazione con chi è portatore di un disturbo narcisistico della personalità. Ci si svuota per riempire il vuoto dell'altro. Facendo un paragone tra il narcisista sano e quello patologico, possiamo dire che le persone sane producono biscotti per il proprio sostentamento e biscotti da scambiare nella relazione, mentre, i narcisisti patologici mangiano e basta. Vogliamo contestualizzare la metafora nelle fasi di manipolazione? Durante il primo periodo, con il LOVE BOMBING, il narcisista patologico fa uso di tutte le energie che ha per produrre temporaneamente una quantità spropositata di biscotti e ne inonda la persona che ha individuato come potenziale produttrice di biscotti. La scelta della persona dipende dal ruolo che intende darle. È sbagliato credere che le persone con disturbo narcisistico di personalità manipolino solo persone con problemi di dipendenza (fame affettiva). Solitamente scelgono in base al proprio potenziale di manipolazione (serve tanta energia per manipolare una persona con forte determinazione del sé) e al ruolo che intendono dare a quella persona: - per una relazione stabile, a lungo termine, una persona che ha problemi di dipendenza affettiva è la scelta migliore perché, anche se ha poca energia altalenante e produce pochi biscotti, difficilmente si rifiuterà di produrli e ancor più difficilmente deciderà di smettere. Poco, ma sempre, è un riferimento certo, una base sicura. - per una relazione a breve termine, un'ottima produttrice di biscotti (tanta autostima e tanta energia) è la sfida plus: è una persona che non ha fame, quindi, il narcisista patologico produce biscotti speciali, quelli che sa piacerle tanto (lo ha scoperto attraverso l'empatia cognitiva: tanta attenzione a tutti i dati che riesce a raccogliere) e ai quali non saprà resistere, magari solo per golosità, per la sensazione di aver incontrato un fine degustatore. C'è uno scambio di biscotti straordinariamente buoni e in abbondanza mai vista. Nella fase di GASLIGHTING, il narcisista patologico rallenta la produzione di biscotti e inizia a mangiarli solamente... motivando con qualche acciacco casuale e sfortunato della macchina che produce biscotti. Poi inizia anche a mettere in dubbio che i biscotti prodotti dal partner siano buoni come erano prima (SVALUTAZIONE), determinando così nel partner un impegno aggiuntivo: non capisce, produce i biscotti sempre con molta attenzione, dedizione... e gli sembrano buoni. Ma per l'amore che prova, che fa? Si impegna di più, prova a cambiare ingredienti seguendo le indicazioni che il manipolatore gli dà tra le righe. Più si impegna e più il manipolatore reagisce con disgusto a quei biscotti, magari insinuando che non ci sia più amore nel produrli o immettendo la figura di un terzo che produce biscotti molto più buoni. Comunicazione perversa, che produce dissonanza cognitiva: la persona manipolata non ci capisce più niente; produce sempre più biscotti nella convinzione di aver davvero sbagliato qualcosa e per dimostrare che invece li produce con amore. In questa fatica emotiva, che il manipolatore gestisce invece con la razionalità (empatia cognitiva), la persona manipolata arriva a dare tutti i biscotti che ha pur di dimostrare che lo fa con amore, eccome! Sforna biscotti e perde energia, sforna biscotti e perde energia,... fino a sfinirsi. Fino a non riuscire più a sfornare biscotti nemmeno per il proprio sostentamento. Una macchina da produzione di biscotti, che non produce praticamente più biscotti, è inutile. Quindi, viene scartata. SCARTO che il manipolatore mette in atto inducendo il partner a guardarsi per quello che è in quel momento: primo di energia, brutto, inutile. Ben lontano dalla meraviglia di energia che era all'inizio. A nulla vale cercare di recuperare o di avere un confronto oggettivo sulle quantità e sulla qualità di biscotti prodotta, anzi. Perché con la comunicazione perversa il manipolatore non farà altro che ricavare uno spazio sospeso, di misunderstanding, che gli potrebbe servire un giorno, qualora vedesse che avete recuperato energia e siete di nuovo potenziali produttori di biscotti. In quel caso, tornerà, se non ha un miglior produttore di biscotti a disposizione in quel momento. E lo farà con la scusa di chiarire il misunderstanding, o addirittura attribuendo la colpa a sé, a qualcosa che gli è successo, ecc. Proprio per questo, anche quando scarta, mette in atto le tecniche di ORBITING: presente quando gli scrivete, visualizza e non risponde? Però su Instagram mette like a quella frase d'amore rivolta a lui, a quanto vi manca, a quanto stavate bene insieme. O cuora un vostro selfie. O lo incontrate "casualmente" davanti ala palestra in cui sa benissimo che andate ogni venerdì pomeriggio alle 17, ma "Passavo di qui per caso". E voi lì appesi, nell'illusione che stia soffrendo per voi, come voi, che abbia bisogno di vedervi, ecc. No. Vi sta solo dando qualche biscotto per mantenere aperta la porta dalla quale poter rientrare nel vostro forno e mangiare biscotti nel momento in cui non avrà nessuno che sforni biscotti per lui e il livello del suo vuoto interiore stia andando in riserva. Mi fermo qui, nella speranza che questa metafora sia d'aiuto per comprendere che il vuoto a perdere è qualcosa di strutturale, che non dipende dalla volontà di chi manipola... Non può fare altro che provare a riempirlo in questo modo, ma non è colmabile. L'unica possibilità è che intervengano professionisti (psicologo e psichiatra, che riempiano il vuoto almeno parzialmente con psicoterapia e psicofarmaci che funzionano come pillole sazianti). Per i normali produttori di biscotti, invece, non c'è possibilità di riempire vuoti a perdere senza sfinirsi. E più ci si sfinisce, più sarà difficile riprendere a produrre biscotti, anche per sé. E più non se ne producono per sé, più sarà impossibile produrne per altri, soprattutto senza temere che di nuovo si tratti di una persona che vuole solo mangiare. Basilare, prima di immettersi in un'altra relazione, riportare " a regime" il proprio livello di autostima e determinazione del sé. Al di là di tutte le narrazioni romantiche, le relazioni funzionali sono quelle in cui entrambi i partner danno e ricevono. Certo, ci sono momenti in cui uno ha più bisogno dell'altro e viceversa, ma serve mantenere sempre un equilibrio tra i biscotti che si producono per sé e quelli per gli altri. Un modo semplicistico, forse, ma funzionale a restare vigili sul senso della relazione e a non sfinirsi in relazioni dannose. La cicatrice più brutta che lascia un narcisista patologico (uomo o donna che sia) a relazione conclusa è sicuramente la difficoltà di concedersi di vivere di nuovo emotivamente, di affidarsi alla spontaneità in una nuova relazione di qualsiasi genere. Un po' ciò che succede anche in altre relazioni in cui magari si scopre che il/la partner mentiva, sì, ma il grado d'intensità della ferita è tanto più profondo quanto più è stata totalizzante la manipolazione e quanto più sia consistente la dissonanza tra la persona che credevamo che fosse e quella che abbiamo scoperto essere in realtà. E soprattutto, a lasciare il segno, è l'evidenza dell'intento di chi manipolava. Ci si sente smarriti da sé, ci si chiede come si possa essere stati così stupidi, così incapaci di tutelarsi. Si rimane increduli di come ci si possa essere lasciati render ciechi, di come non ci si sia resi conto di perdere gradualmente la lucidità. Non ci si fida più di sé stessi, delle proprie capacità di capire chi si ha di fronte. Si entra in uno stato confusionale, in cui ci si sente incapaci di muoversi. Una totale sensazione di fallimento. Non si capisce in quale direzione si debba camminare per riprendere in mano sé stessi. Un'immobilità emotiva: si sente l'esigenza di andarsene da quello stato, di uscirne, ma non si capisce cosa si debba fare in concretezza. E i comportamenti altrui, per quanto onesti e spontanei, determinano un perpetuo dubbio interiore, generando un conflitto apparentemente ingestibile tra il desiderio di fidarsi e l'incapacità a farlo completamente. Ogni volta che qualcosa ci stimola emozione positiva, inevitabilmente quell'emozione si scontra con il timore che quella persona stia mentendo, che ci stia dando ciò che vorremmo al solo fine di attirarci nella gabbia in cui vorrebbe rinchiuderci. Se ho scelto di inoltrarmi nello studio di queste dinamiche è perché non riuscivo a capire per quale motivo, anche dopo aver preso consapevolezza di essere vittime di un NP, le persone non riuscissero a svincolarsi emotivamente dal manipolatore/manipolatrice. Nello studio delle dinamiche annesse alle dipendenze che ho portato avanti negli anni ho osservato centinaia di situazioni in cui la persona manipolata -seppur supportata psicologicamente da professionisti che stimolavano l'emancipazione con i corretti contenuti- di fatto non riusciva a uscire da quella gabbia fatta di schemi comportamentali del NP. Mi sono quindi chiesta se fosse possibile elaborare un metodo educativo per guidare l'emancipazione, al di là della necessità dell'analisi che la persona manipolata deve affrontare riguardo a sé e del necessario supporto per raggiungere la piena consapevolezza di quanto accaduto. Senza fare paragoni di sorta sul grado di sofferenza, quella che si genera quando ci si trova abbandonati in quella gabbia ha la particolarità di mantenere la persona lontana da sé: come se chi ha manipolato fosse entrato dentro la persona stessa, l'avesse buttata fuori da sé e se ne fosse andato tenendosi le chiavi del sé in tasca. Le chiavi di una gabbia che, anziché rinchiuderti dentro, ti chiude fuori. A quasi nulla valgono i "Devi stare lontano da quella persona", "Metti in atto il distacco totale", ecc. Devi, devi, devi... ma tu sei immobile. Lo vuoi, ma non ci riesci. Pensi a riprenderti quelle chiavi. Pensi di dovertele riprendere proprio da lui/lei, che le otterrai solo attraverso le spiegazioni che ti deve. Perché ti ha fatto questo? È davvero possibile che quello che tu sentivi come l'amore più intenso mai ricevuto fosse solo un insieme di comportamenti messi in atto metodologicamente per nutrirsi del ritorno emotivo che tu davi con tutt* te stess*? È davvero possibile che non ti abbia mai amato nemmeno un secondo? Il primo passo necessario per ritrovarsi è prendere consapevolezza che i NP non provano empatia. La recitano nel più funzionale dei modi, addirittura credendoci, in quel momento. Il bisogno che hanno di nutrirsi demolendo te, l'oggetto di manipolazione, li rende visceralmente credibili proprio perché non recitano una parte ma diventano realmente ciò che tu vorresti. Nella prima fase si conformano chirurgicamente a quello che tu ritieni l'ideale di persona con cui condividerti totalmente. Nelle fasi successive, all'apice del coinvolgimento che provi, mettono in atto comportamenti finalizzati a destabilizzarti, a metterti in confusione, a farti dubitare di te, a sentirti in colpa perché sbagli sempre nei suoi confronti, non gli/le dai mai ciò che vorrebbe, non sei mai all'altezza. Finché arrivi a pensare che se le cose vanno male la responsabilità è tutta tua. E tu cerchi in ogni modo di recuperare, ci capire come riportare la relazione all'idillio dei primi tempi, convinto di aver rovinato tutto proprio tu. Ma il/la NP ti allontana, mette in atto indifferenza, e rimani con la sensazione di aver rovinato proprio tu quella relazione che tanto avevi da sempre bramato. E vuoi recuperare. Ci provi in ogni modo. Ma non è possibile. Sono schemi. Non c'è un coinvolgimento emotivo puro nel NP: c'è solo l'inovviabile bisogno di annientare l'altro per nutrirsi. Non è che non vuole amarti. Non ce la fa proprio. A nulla vale il tentativo di guarirlo/a. La persona manipolata, memore dei momenti belli e intensi vissuti, quasi sempre crede che quello stato di ben essere iniziale sia la reale natura de* NP e che -con l'amore, l'accudimento, la dedizione- si possa far sì che il/la NP si acquieti in una relazione sana. Prendere atto che non è possibile è l'unico modo per iniziare il viaggio per ritrovare sé stessi. Ce la si fa. È durissima. Due passi avanti e uno indietro. Ma ce la si fa. (uso il termine Narcisismo Patologico per questioni di efficacia comune; la dicitura corretta è Disturbo Narcisistico della personalità) ![]() Stamattina alle quattro mi sono seduta in studio. Dovevo scrivere un paio di frasi che sintetizzassero il concetto di INGENUITÀ in relazione al disturbo narcisistico della personalità. Ho scritto di getto, ne è uscito questo che di sintetico non ha nulla e ho pensato di condividerlo, se pensate che possa esservi utile (e adesso vado a scrivere le due frasi!). Tematica alquanto complessa che siamo tutti chiamati ad affrontare: la deriva narcisista verso cui sta navigando a forte velocità la società oggi e le difficoltà di relazione che ne derivano. Come avevano predetto diversi psicologi e filosofi già nella prima metà del Novecento, il crescente diffondersi di un’educazione che repelle la frustrazione - e non allena gli individui a gestirla - ha fatto sì che in ognuno di noi il tratto narcisistico della personalità prendesse il sopravvento sugli altri, andando a modificare di fatto la natura delle relazioni tra gli individui. Qualsiasi tipo di relazione si tratti. La frustrazione è lo stato d’animo che si genera dal conflitto tra ciò che noi vorremmo e ciò che non possiamo avere. Allenare un individuo alla frustrazione (i no che dovremmo dire ai bambini, per esempio) significa prepararlo a gestire l’impossibilità di ottenere sempre ciò che vuole, senza che il suo equilibrio venga stravolto. Faccio un esempio banale: un bambino vuole un giocattolo e fa un capriccio. Comprargli il giocattolo, anche se ne ha già un milione e gliene abbiamo comprato uno anche ieri, ci solleva dal bisogno di dover gestire il capriccio. Il bambino è contento, noi non dobbiamo impiegare tempo a spiegargli perché “no”. Bello, giusto? Questo però cosa comporta? Che il bambino non viene allenato a gestire la frustrazione e si struttura il vuoto interiore perché dandogli il giocattolo noi non diamo attenzione al suo sentimento. Vuole, ha. Punto. Dire di no, diversamente, comporta la necessità di coinvolgerci con lui nella sua tristezza, sentircene anche “autori” in qualche modo (quindi sopportare la frustrazione di apparire "cattivi") e dover impiegare tempo a spiegargli perché non è corretto comprare un giocattolo ogni giorno. Negare e motivare è faticoso, ma sapete a cosa serve? Il bambino non avrà il giocattolo, quindi non vivrà il momento di effimera felicità legata al possesso di un oggetto, ma avrà la nostra attenzione al suo sentimento… Forse vi sembra irrisorio, ma questo, invece, farà sì che in lui non si crei il vuoto interiore, che impari a gestire la frustrazione e che in futuro una situazione in cui non può avere esattamente ciò che vuole non sia causa di una destabilizzazione non sopportabile. Non devo di certo spiegarvi che motivare i “no” è fondamentale per favorire la formazione di un carattere equilibrato in un bambino. La disabitudine a gestire la frustrazione in cui stiamo crescendo le nuove generazioni, invece, porta all’insicurezza interiore. Induce l’individuo a non sopportare che le cose vadano diversamente da come vorrebbe, gli preclude la possibilità di sentirsi “al sicuro” anche quando non ha tutto ciò che vuole. Un individuo che non viene allenato alla frustrazione sviluppa problematiche, tra le quali un tratto narcisistico della personalità basato su una profonda insicurezza, alla quale potrà sopperire solo ottenendo ciò che vuole, a ogni costo. Anche se non è meritato, anche se significa obbligare gli altri a fare ciò che non vorrebbero, anche se deve estorcere ciò che vuole… perché il meccanismo inconsapevole a cui risponde è: - riempire quel vuoto interiore che avverte (la frustrazione) se non può avere ciò che vuole - tenere lontana la sensazione di insicurezza che lo assale, se non può far andare le cose esattamente come vuole. Se non ha il controllo assoluto della situazione. Non stiamo parlando di capricci, insomma, ma dell’impossibilità che l’individuo ha nel tollerare una situazione che non gli garantisce di avere ciò che vuole e dei comportamenti che mette in atto al fine di ottenere ciò che vuole. Proprio per questo non intesse relazioni basate sull’empatia emotiva, ma mantiene un distacco affettivo dall’altro, chiunque esso sia, perché il suo scopo è ottenere, non condividere. E siccome una relazione sana è possibile solo tra due individui capaci di empatizzare emotivamente l’uno con l’altro, che vogliono il bene proprio ma anche quello dell’altro, gli individui con un tratto narcisistico della personalità molto sviluppato non sono in grado di intessere una relazione sana. Loro malgrado, guidati esclusivamente dall'empatia cognitiva, mettono in atto comportamenti finalizzati a cercare di riempire quel vuoto interiore che non si colmerà mai, essendo un “difetto” strutturale. Avendo questa insicurezza interiore strutturale, devono continuamente trovare conferma negli altri, a ogni costo, per non crollare. Ma chi sono questi “altri”? Abbiamo detto che un individuo che ha uno spiccato tratto della personalità narcisista non è in grado di empatizzare emotivamente e, quindi, è tendenzialmente anaffettivo. Non può quindi trovare ciò che cerca in “un suo simile”, ma deve necessariamente relazionarsi con persone empatiche e affettive, cercando di non far loro capire che l’unico scopo che può perseguire è riempire il proprio vuoto “fagocitando” il pathos e l’affetto che gli altri possono dare. Ovviamente, per ottenere ciò che vuole, deve far sì che gli altri non s’accorgano del suo vuoto interiore. Deve giocare di “furbizia”. Gli altri, invece, sono le persone empatiche affettive, quelle disposte a condividere (appunto) pathos e affetto. Certo, chi ha problemi di dipendenza affettiva è più a rischio, ma non è una condizione sine qua non. Quelle che oggi finiscono manipolate sono persone la cui sicurezza interiore strutturale consente loro di dare e ricevere, di mettersi in gioco in una relazione che costruisca ben essere per entrambi stabilendo un equilibrio tra il dare e il ricevere. Sono persone che non hanno bisogno di riempire vuoti incolmabili e, quindi, nemmeno di mettere in atto strategie per ottenere l’attenzione dell’altro. Sono persone INGENUE, nell’accezione ancestrale di questo termine che sempre più spesso viene usato in senso dispregiativo anziché per il suo reale significato etimologico: ingenuus (nativo, naturale, che nasce da dentro). L’ingenuità è la disposizione d’animo di chi si comporta con sincerità, spontaneamente, perché non concepisce malizia e inganno. È la persona genuina. Ecco, quindi, cosa è successo e sta succedendo: la sottocultura dominante narcisista, attraverso l’inganno, è stata in grado di diffondere la convinzione che la furbizia sia una virtù e l’ingenuità-genuinità sia un difetto. Sottocultura che ha preso e sta prendendo sempre più spazio perché agisce per l’appunto con l’inganno, inducendo malessere agli ingenui. Il furbo vince sulla persona genuina. Non ci sentiamo forse stupidi quando una persona ci inganna? Quando in una relazione di qualsiasi genere (amore, amicizia, lavoro, parentela) diamo tutto ciò che possiamo affinché funzioni, e ci ritroviamo invece sempre a sentire di essere usati (o, peggio, abusati)? Questo succede perché la comunicazione perversa diffusa dalla sottocultura dominante ha stravolto il significato del termine “ingenuo” e di conseguenza la percezione del concetto insito. Ha lentamente manipolato la nostra percezione, inducendoci a pensare che chi non fa il furbo sia uno stupido. Chi finisce in una relazione malsana è stupido. Non è più “colpa” di chi inganna, ma di chi finisce ingannato. Perché tutta questa manfrina? Perché vorrei che vi tornasse in mente, ogni volta che vi sovviene di attribuire stupidità a una persona che secondo voi non è stata abbastanza furba da accorgersi che un manipolatore la stava manipolando (uomo, donna, non cambia… sto scrivendo di getto, non fatene una questione di genere). Quella persona sta soffrendo, perché è una persona empatica affettiva e genuina. Affettivamente onesta. E si è trovata ad avere a che fare con una persona anaffettiva, incapace di empatizzare, che ha messo in atto comportamenti manipolatori al solo scopo di innalzare la propria autostima fagocitando la sua. Non accentuiamo la sofferenza del genuino. Non contribuiamo a farlo sentire colpevole di essere una persona genuina. Allo stesso modo, non spariamo a vista su chi non è in grado di empatizzare affettivamente per i motivi che vi ho raccontato sopra: non può essere diverso, non ne ha proprio possibilità. E, allora, come se ne esce, direte voi? Non ho una risposta. Non c’è una risposta. C’è il modo di provare, da persone genuine, a evitare di entrare in relazione con un narcisista patologico o imparare quanto meno a gestirlo, andando a conoscere le caratteristiche di comportamento delle persone portatrici di quel disturbo della personalità. Disturbo… Anche a fronte dei dati e degli articoli accademici, ho personalmente la convinzione che la deriva narcisista della società sia inevitabile e che quel disturbo sarà sempre più frequente, considerando lo stile educativo medio che abbiamo e la manipolazione in senso narcisistico a cui tutti siamo sottoposti per mano del sistema consumistico. Basti pensare alla pubblicità: basando il concetto di felicità sull’apparenza e dicendoci che siamo fighi solo se possediamo certe cose o facciamo certe cose, ci insinua costantemente un vuoto interiore per farci sentire inadeguati e bisognosi di un dato prodotto per sentirci appagati. Sempre che possiamo permettercelo... e fatto salvo che, quando abbiamo quel prodotto, ce n’è già un altro da conquistare e quello che abbiamo non basta più a riempire il nuovo vuoto. Ecco perché, sempre più spesso, abbiamo la sensazione che gli altri vogliano fotterci… Perché è vero. Perché stiamo tutti evolvendo in termini narcisistici. Perché siamo guidati tutti dalla convinzione che sia meglio essere furbi, che ingenui. Pensateci, nell'educare i vostri figli. Allenarli alla frustrazione è l'unico modo per evitare che crolli loro addosso il mondo, la prima volta che le cose non andranno come vorrebbe. Dire no, dando attenzione al loro sconforto del momento, è il modo più positivo per favorire il loro ben essere e la formazione di una personalità equilibrata, capace di sostenersi autonomamente. La chiudo qui, ma vi allego il link a questo articolo che mi sembra usare un linguaggio fruibile a tutti e poter essere molto utile per fare un po’ di chiarezza riguardo a un fatto che riguarda ognuno di noi, anche chi pensa di essere “immune”, chi pensa di essere troppo furbo per cadere in una relazione tossica e chi pensa di non essere narcisista. Lo siamo tutti, chi più e chi meno, e abbiamo tutti a che fare con persone che lo sono. Se vi siete già stancati (con tutto il mio blaterare) salvatelo e andate a leggerlo a mente fresca... o quando vi sentirete stupidi. IL NARCISISMO COME CARATTERE COLLETTIVO/PSICONLINE.IT È qualche giorno che sto lontana dalla rete, anche per il bisogno di recuperare la concentrazione.
(inciso: sapete che ogni volta che interrompiamo il livello di concentrazione - perché arriva un messaggio, per esempio - impieghiamo dai quindici ai venti minuti per recuperare lo stesso grado di immersione?) Sono andata sull'account Facebook per fare una cosa e una persona che mi è cara mi ha segnalato un articolo talmente ignorante sulla questione del narcisismo patologico, che ho avuto voglia di insultare chi l'ha scritto. Una ragazzetta, nonostante i trent'anni suonati, che senza avere alcuna competenza (sono andata a verificare curriculum, ecc.) si definisce esperta di relazioni e, in buona sostanza, ha scritto parole atte solamente a incensare sé stessa come donna di mondo che non cadrebbe mai in una relazione con un manipolatore. Evidente che non abbia idea di cosa parla, perché la prima lezione che impara chi studia queste dinamiche è proprio che nessuno deve ritenersi indenne a una manipolazione, perché mette a rischio sé stesso, perché nessuno ha la possibilità di capire come sia la struttura di personalità di una persona finché non raggiunge con lei un certo grado di conoscenza. E, quando succede... è troppo tardi. Ma focalizziamoci sulla signorina che ha scritto l'articolo e su chi si esprime su queste dinamiche senza avere la conoscenza e le competenze necessarie e ho un solo consiglio da darvi: non ascoltateli! Se già vi sentite inadeguati perché qualcuno vi ha bastonato l'autostima fino a farla rantolare, non date ascolto alle persone che hanno bisogno di dimostrarsi migliori di voi, più furbe di voi. Queste persone amplificano il vostro senso di inadeguatezza. È come se continuassero il lavoro del manipolatore/trice su di voi. Non conoscono lo stato emotivo in cui vi trovate. Le persone così, non lo sanno. Credono di saperlo, confondono i manipolatori con uno stronzo o una stronza semplice. Siete voi che ci cascate, in sostanza, secondo loro. Lo so, è triste che non capiscano e che sentano questa necessità di dirvi e ribadirvi che ve la siete cercata, ma non spendete energie a provare a spiegare loro, tanto non lo capiranno. Non l'hanno vissuto, quindi non hanno gli strumenti per capire cosa comporti. Restate concentrati su di voi. Questa gente, come la persona che vi ha manipolato, ha bisogno di apparire, di sentirsi migliore di voi anche quando finge di capirvi, o di essere uno di voi. Allontanatela. Sì, è vero. Ci siete cascati. Ma non siete gli sciocchi che vogliono farvi credere. Semplicemente, quando si gioca una partita a due, l'onesto non esce mai vincente contro il disonesto. Un manipolatore è un disonesto. Suo malgrado, sia chiaro. Non ha deciso di esserlo e non può non esserlo. So che non vi piace quando dico che è così, che sembro volerlo scusare, ma se ha un disturbo della personalità non riesce a comportarsi diversamente. Non può non agire come agisce. Altrimenti sarebbe solo uno stronzo. O stronza, sapete che parlo senza genere. Vi dico di non ascoltare queste persone perché, quando siete in quel momento in cui la vostra autostima è massacrata, sono deleterie. È come se vi foste rotti tutte e due le gambe. Mentre state per rimettervi in piedi, arrivano questi e vi danno un calcio dritto su un ginocchio. |
GRAZIA SCANAVINI
Ricercatrice Educatrice umanista Counselor filosofica Blog con intento educativo per favorire l'emancipazione dalle relazioni tossiche
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