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relazione con un narcisista patologico. se ne esce?

7/10/2022

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La cicatrice più brutta che lascia un narcisista patologico (uomo o donna che sia) a relazione conclusa è sicuramente la difficoltà di concedersi di vivere di nuovo emotivamente, di affidarsi alla spontaneità in una nuova relazione di qualsiasi genere.
Un po' ciò che succede anche in altre relazioni in cui magari si scopre che il/la partner mentiva, sì, ma il grado d'intensità della ferita è tanto più profondo quanto più è stata totalizzante la manipolazione e quanto più sia consistente la dissonanza tra la persona che credevamo che fosse e quella che abbiamo scoperto essere in realtà. 
E soprattutto, a lasciare il segno, è l'evidenza dell'intento di chi manipolava. 
Ci si sente smarriti da sé, ci si chiede come si possa essere stati così stupidi, così incapaci di tutelarsi. 
Si rimane increduli di come ci si possa essere lasciati render ciechi, di come non ci si sia resi conto di perdere gradualmente la lucidità. 
Non ci si fida più di sé stessi, delle proprie capacità di capire chi si ha di fronte. 
Si entra in uno stato confusionale, in cui ci si sente incapaci di muoversi. Una totale sensazione di fallimento. 
Non si capisce in quale direzione si debba camminare per riprendere in mano sé stessi. 
Un'immobilità emotiva: si sente l'esigenza di andarsene da quello stato, di uscirne, ma non si capisce cosa si debba fare in concretezza. 
E i comportamenti altrui, per quanto onesti e spontanei, determinano un perpetuo dubbio interiore, generando un conflitto apparentemente ingestibile tra il desiderio di fidarsi e l'incapacità a farlo completamente. 
Ogni volta che qualcosa ci stimola emozione positiva, inevitabilmente quell'emozione si scontra con il timore che quella persona stia mentendo, che ci stia dando ciò che vorremmo al solo fine di attirarci nella gabbia in cui vorrebbe rinchiuderci. 
Se ho scelto di inoltrarmi nello studio di queste dinamiche è perché non riuscivo a capire per quale motivo, anche dopo aver preso consapevolezza di essere vittime di un NP, le persone non riuscissero a svincolarsi emotivamente dal manipolatore/manipolatrice. 
Nello studio delle dinamiche annesse alle dipendenze che ho portato avanti negli anni ho osservato centinaia di situazioni in cui la persona manipolata -seppur supportata psicologicamente da professionisti che stimolavano l'emancipazione con i corretti contenuti- di fatto non riusciva a uscire da quella gabbia fatta di schemi comportamentali del NP. 
Mi sono quindi chiesta se fosse possibile elaborare un metodo educativo per guidare l'emancipazione, al di là della necessità dell'analisi che la persona manipolata deve affrontare riguardo a sé e del necessario supporto per raggiungere la piena consapevolezza di quanto accaduto. 
Senza fare paragoni di sorta sul grado di sofferenza, quella che si genera quando ci si trova abbandonati in quella gabbia ha la particolarità di mantenere la persona lontana da sé: come se chi ha manipolato fosse entrato dentro la persona stessa, l'avesse buttata fuori da sé e se ne fosse andato tenendosi le chiavi del sé in tasca.  
Le chiavi di una gabbia che, anziché rinchiuderti dentro, ti chiude fuori. 
A quasi nulla valgono i "Devi stare lontano da quella persona", "Metti in atto il distacco totale", ecc. 
Devi, devi, devi... ma tu sei immobile. Lo vuoi, ma non ci riesci. 
Pensi a riprenderti quelle chiavi. Pensi di dovertele riprendere proprio da lui/lei, che le otterrai solo attraverso le spiegazioni che ti deve. 
Perché ti ha fatto questo?  
È davvero possibile che quello che tu sentivi come l'amore più intenso mai ricevuto fosse solo un insieme di comportamenti messi in atto metodologicamente per nutrirsi del ritorno emotivo che tu davi con tutt* te stess*?
È davvero possibile che non ti abbia mai amato nemmeno un secondo?
Il primo passo necessario per ritrovarsi è prendere consapevolezza che i NP non provano empatia. La recitano nel più funzionale dei modi, addirittura credendoci, in quel momento. Il bisogno che hanno di nutrirsi demolendo te, l'oggetto di manipolazione, li rende visceralmente credibili proprio perché non recitano una parte ma diventano realmente ciò che tu vorresti. 
Nella prima fase si conformano chirurgicamente a quello che tu ritieni l'ideale di persona con cui condividerti totalmente.
Nelle fasi successive, all'apice del coinvolgimento che provi, mettono in atto comportamenti finalizzati a destabilizzarti, a metterti in confusione, a farti dubitare di te, a sentirti in colpa perché sbagli sempre nei suoi confronti, non gli/le dai mai ciò che vorrebbe, non sei mai all'altezza. Finché arrivi a pensare che se le cose vanno male la responsabilità è tutta tua. 
E tu cerchi in ogni modo di recuperare, ci capire come riportare la relazione all'idillio dei primi tempi, convinto di aver rovinato tutto proprio tu. 
Ma il/la NP ti allontana, mette in atto indifferenza, e rimani con la sensazione di aver rovinato proprio tu quella relazione che tanto avevi da sempre bramato. 
E vuoi recuperare. 
Ci provi in ogni modo.
Ma non è possibile.
Sono schemi. 
Non c'è un coinvolgimento emotivo puro nel NP: c'è solo l'inovviabile bisogno di annientare l'altro per nutrirsi.
Non è che non vuole amarti. Non ce la fa proprio.
A nulla vale il tentativo di guarirlo/a. 

La persona manipolata, memore dei momenti belli e intensi vissuti, quasi sempre crede che quello stato di ben essere iniziale sia la reale natura de* NP e che -con l'amore, l'accudimento, la dedizione- si possa far sì che il/la NP si acquieti in una relazione sana. 
Prendere atto che non è possibile è l'unico modo per iniziare il viaggio per ritrovare sé stessi. 
Ce la si fa. 
È durissima. Due passi avanti e uno indietro.
Ma ce la si fa. 

(uso il termine Narcisismo Patologico per questioni di efficacia comune; la dicitura corretta è Disturbo Narcisistico della personalità)

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    GRAZIA SCANAVINI
    Ricercatrice
    Educatrice umanista Counselor filosofica

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    Blog con intento educativo per favorire l'emancipazione dalle relazioni tossiche
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Grazia Scanavini
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