![]() C’è stato un momento in cui ho pensato che tutto potesse ricominciare. Mi sbagliavo. Le emozioni non tornano. Ti restano dentro. E’ agosto, il più caldo che io mi ricordi. Ferma ad un semaforo abbasso il finestrino nonostante il caldo, voglio fumare. Cerco l’accendino sul fondo della borsa appoggiata sul sedile del passeggero. Possibile che non lo trovi mai? Ce ne saranno almeno 6 nella borsa, sono sicura, rovisto e sento le gocce di sudore imperlare il mio viso, nonostante l’aria condizionata. Eccolo. Mentre accendo la sigaretta alzo lo sguardo sulla macchina ferma al fianco della mia, mi sento osservata. No! Un palpito. Oddio, non ci credo. E’ lui? Mi sorride, con quel sorriso che conosco bene. Un attimo infinito. Che faccio? Sorrido ma devo avere una faccia da ebete, il cuore mi sta soffocando: batte così intensamente che non lascia passare l’aria e sento la carenza di ossigeno in tutto il corpo. Il sudore caldo del viso diventa improvvisamente freddo. Brividi. Mi trema la mano, mi cade la sigaretta. Mi affanno a cercarla. Proprio dentro la borsa, cazzo!? Non ho il coraggio di alzare lo sguardo, mi sento morire, ma voglio morire con gli occhi dentro la borsa, non nel suo sguardo. Trovo la sigaretta, sta bruciando la plastica del pacchetto dei fazzolettini di carta. Lo tolgo dalla borsa. E’ inutile che continui a guardarmi, non ci cado! Un clacson suona alle mie spalle. Sì Sì, hai ragione, scusa! Metto la prima e parto guardando dritta la strada che deve portarmi lontana. Lontano. Il cuore uscirà, ne sono sicura. Non ha più lo spazio necessario per restare nel petto, lo sento in gola, sto di nuovo sudando. Dio ti prego, fa che abbia svoltato! Non ce la faccio a guardare, se lo trovo lì di nuovo che faccio? E che cazzo ci fa a Ferrara? Altro semaforo rosso… No, ti prego!! Mi fermo ma vorrei accelerare. Chiudo gli occhi, non voglio guardarlo. Fingo di essere distratta, alzo il finestrino, alzo il volume della radio. Vai, vai!! Diventa verde, per favore!! Niente, tocca ai pedoni passare. Che faccio? Accendo una sigaretta? Se fumo ora muoio, di sicuro, già mi manca l’aria così! Chiudo gli occhi, di nuovo e di nuovo la macchina alle mie spalle suona. Sì sì, vado! Svolto a sinistra, se era sulla destra lui andrà dritto o svolterà a destra, no?! Mi immetto sulla via delle Poste e solo quando mi fermo alle strisce pedonali di via Garibaldi trovo il coraggio di guardare nello specchietto retrovisore. Un’auto scura, come la sua. Cazzo!! Riparto e guido fino in fondo alla via senza più guardare nello specchio, penso a dove potrei infilarmi con la macchina perché non ci sia la possibilità che si accosti alla mia. Via Ripagrande, sì! Mi immetto sperando che il mio cuore si calmi perché rischio di non capire più nulla. Alla rotonda non resisto, alzo lo sguardo sul retrovisore attenta a non muovere la testa, non voglio che lui se ne accorga. Alzo solo gli occhi e la macchina scura è lì, ferma a meno di un metro dalla mia. Guardo dentro, capelli biondi lunghissimi! E’ una donna, ma la tensione ancora non si allenta. Giro a destra, entro nella via di casa e l’auto blu prosegue. Non è lui, è una donna, vuoi calmarti? Parcheggio e resto seduta, guardando negli specchietti. Nessuno in vista. Chiudo gli occhi, appoggio la testa sul volante, il cuore sembra rallentare, cerca pace. I pensieri, no. Si rincorrono, mille immagini. Quella porta di legno scuro, la chiave di ottone, il vestito che scivola lungo il mio corpo, lasciandolo completamente nudo. Riapro gli occhi, alzo la testa dal volante. Il mio corpo sembra intorpidito, sento i muscoli rigidi come se avessi corso per ore e ore. Sono fradicia di sudore. Prendo la borsa e le chiavi, voglio solo entrare in casa. Uno sguardo agli specchietti, non c’è nessuno. Scendo dall’auto e mi incammino verso il portone dell’atrio del palazzo, mi gira la testa, mi sento stranita come quella mattina a Venezia, attraversando il Ponte di Rialto. Mentre sto infilando la chiave nella toppa, la porta batte il colpo del tiro dall’interno. Sussulto. “Ciao Livia!” “Ah sei tu Angela! Mi sono spaventata, ero sovrappensiero... come stai tutto ok? Non ti vedo da un po’!” “Vero, esco presto la mattina, ho cambiato lavoro da poco e sto correndo come una pazza. …ma meglio lavorare, considerato il periodo… Dimmi di te!” “Tutto nella norma, solite cose… lavoro, studio, impegni. Sono tornata dalle vacanze una settimana fa e nemmeno me le ricordo!” “Ah sì, nemmeno me ne ero accorta che eri partita… ormai siamo diventati automi!” “Senti Livia, vediamoci una di queste sere a cena, che dici? Anche stasera se vuoi!” “Sì, volentieri… facciamo che preparo e ti aspetto, a che ora torni?” “Alle 20 sono a casa, ma non preparare chissà che!” “Tranquilla, ti aspetto da me!” “ A dopo allora!” Angela mi sorride mentre si allontana e fa un cenno di saluto. Sorrido. Per un attimo mi ero quasi scordata di lui, quasi. Entro, chiudo il portone e mi ci appoggio con la schiena. Penso che lui era lì, a qualche metro da me, e mi mancano le forze. Guardo le scale e l’ascensore… ascensore, decisamente. Appena si chiude la porta mi sento addosso odori, calore, sensazioni di mani, percezioni di labbra. Il piacere, il dolore. Mi sento svenire. Entro in casa. Lascio le borse e scivolo a terra, spalle alla porta. Il cuore sembra impazzire di nuovo. Resto immobile, la testa reclinata all’indietro contro la porta. Meno male che avevo lasciato acceso il condizionatore, l’aria fresca sulla pelle accaldata sembra darmi sollievo. Sembra. Mi alzo e accendo il pc. Scrivo il suo nome nel motore di ricerca, con il cuore in gola. Ecco perché è a Ferrara… una mostra dei suoi dipinti, per due settimane. Mi sento impazzire. Sapevo che prima o poi sarebbe tornato dentro me, non se ne era mai andato. Lo avevo conosciuto una sera di Ottobre, l’anno prima; una cena a casa di un amico musicista di Venezia. Una decina di persone, non ricordo di preciso, anche perché non conoscevo nessuno tranne Marco, il musicista. Ero arrivata in ritardo, come al solito e quando Marco mi aveva aperto e fatta accomodare in sala da pranzo dove tutti erano già a tavola, mi aveva presentata a tutti come “l’amica giornalista di cui vi parlo sempre”. Avevo sorriso, non sapevo parlasse di me agli altri, la nostra era un’amicizia piuttosto superficiale, ci conoscevamo da tre o quattro anni ma ci frequentavamo di rado. Sedetti nel posto libero accanto a Marco e, dopo qualche battuta di circostanza si instaurò un piacevole clima allegro e piuttosto confidenziale. Tra gli amici di Marco c’erano qualche fotografo, due bassisti, un venditore di auto, un medico e due pittori. Una ragazza di Berlino e lui: Fulvio. Un uomo sui cinquantacinque anni, non tanto alto, robusto, vestito in jeans e Lacoste blu. Dal momento in cui mi sono seduta, non aveva mai tolto gli occhi di dosso. Mi guardava assiduamente, intensamente, quasi mi imbarazzava. La cena trascorse tuttavia piacevolmente, anche se il suo sguardo in qualche modo mi metteva tensione. Finito di cenare, ci spostammo tutti nello studio di Marco, che voleva farci sentire un pezzo nuovo scritto per un concerto che si sarebbe tenuto a poche settimane di distanza. Mentre la musica di Marco suonava, Fulvio si avvicinò e disse: “Quando tornerai a Venezia?” “Non so, ogni tanto ci capito per lavoro, ma sicuramente verrò per il prossimo concerto di Marco.” Sorrise guardandomi negli occhi ed ebbi la sensazione che mi scavasse dentro. Non aggiunse altro, si allontanò. La serata proseguì tra musica, discorsi inerenti le varie attività, qualche chiacchiera sull’attualità e fu davvero piacevole. Cercavo spesso di incontrare lo sguardo di Fulvio, che dopo quella domanda non si era più curato di me, facendomi salire una leggera ed incomprensibile rabbia. Mi aveva guardata per tutta la cena e ora sembrava che io non esistessi. Si aspettava forse che io facessi o dicessi qualcosa di diverso quando si era avvicinato? Una delle ragazze, una fotografa, si congedò e io feci altrettanto. Non era tardi per me ma lo feci quasi per punire Fulvio di non avere continuato ciò che aveva iniziato. Una volta uscita, mentre rientravo in auto, mi sentivo strana. Quello sguardo mi aveva presa, nonostante Fulvio non fosse di certo il tipo d’uomo che di solito mi colpisce. Fisicamente non mi piaceva proprio e durante la cena non c’era stato alcun scambio particolare tra me e lui, giusto qualche battuta. Quella notte, non riuscivo ad addormentarmi, così mi misi al pc, cercando informazioni su di lui. Noto e stimato pittore contemporaneo, notizie varie, le sue opere erano ritratti di donne nude o seminude, molto sensuali. Alle quattro della mattina, mentre stavo decidendo se provare a stendermi nell’intento di dormire, arrivò un messaggio di posta elettronica. Era lui. Solo una parola:“Vieni!”.In allegato una foto dall’alto di una parte di Venezia, lungo un canale che non sapevo riconoscere, con una freccia che indicava un palazzo. Risposi subito: “…è un gioco? Devo indovinare tipo “caccia al tesoro”?” Sentivo dentro una strana eccitazione nascere. Lui non mi piaceva eppure sentivo dentro il desiderio di giocare con lui, di lasciarmi andare subito a questo coinvolgimento senza nemmeno sapere chi fosse e cosa volesse da me. Avevo la sensazione che lui si stesse prendendo la mia testa per eccitarla, nonostante nessuna sua parola lo lasciasse intendere tranne questo “Vieni!”. Pochi istanti dopo, la sua risposta:”Vieni ora! Sotto trovi l’indirizzo. Suona il campanello, abito solo io qui. Sali le scale, secondo piano. Quando arrivi davanti alla porta, trovi una benda rossa. Indossala, spogliati completamente e aspetta.” Panico. “Ma tu sei matto! Devo ancora dormire da quando sono rientrata e non so neanche chi sei!!”. Eppure quella che prima era blanda tensione adesso si era fatta eccitazione vera. Non sapevo da cosa venisse ma sapevo che c’era, mi aveva presa. Rispose di nuovo con quella parola: “Vieni!” Mille pensieri cominciarono a vagare nella mia mente, dal rifiuto totale al desiderio di prendere la macchina e partire. Guardai i vestiti appoggiati malamente sulla poltrona. Mi alzai, li indossai, presi le chiavi e uscii. Non c’era nessuno per strada e, mentre guidavo e fumavo una sigaretta dietro l’altra, alternavo momenti di eccitazione a momenti di razionalizzazione. Ma più pensavo che fosse una pazzia e di dover tornare a casa, più spingevo sull’acceleratore. Arrivai a Venezia che ormai cominciava ad albeggiare. Dopo aver parcheggiato, mentre camminavo in direzione della casa di Fulvio, mi assalivano pensieri discordanti. Mi fermai in un bar che aveva appena aperto, il barista ancora assonnato mi fece il caffè e avrei voluto dirgli cosa stavo facendo. Mentre pagavo pensai “Devo essere pazza!”. Uscii. Camminai velocemente, con la sensazione di essere in ritardo, con il timore che non mi aspettasse, che credesse che non sarei andata. Arrivai in breve davanti al numero 18. Un sospiro e suonai. La porta si aprì in un attimo: mi stava aspettando. Salii le scale con il cuore in gola. Ero lì, davanti alla porta. Nessuno spioncino, quindi non mi stava guardando. Chiusi gli occhi un attimo dopo avere preso tra le mani la benda rossa che era legata alla maniglia. La indossai, mi spogliai. Tenni solo le calze, senza le autoreggenti mi sentivo a disagio. Sentii la porta aprirsi, tremavo. Mi prese una mano per guidarmi, non disse nulla. Mi sentii all’interno di un ambiente caldo, avevo la sensazione di uno spazio ampio. “Devo essere impazzita…” sussurrai. “Ssssstt…”, non disse altro. Chiuse la porta e mi lasciò la mano. Ero nuda e lo sentivo alle mie spalle, mi sentivo il suo sguardo addosso. Mi sfiorò la schiena, con un dito credo, da farmi rabbrividire. Prese di nuovo la mia mano e mi accompagnò per qualche passo. Mi fece sedere su un tavolino, basso, imbottito di pelle. Si allontanò. Ero in un vortice di ansia, paura, eccitazione. Sentii spostare i capelli dal mio collo e una bocca accarezzarmi il collo, poi baciarlo. Labbra calde, lingua delicata scorrere sulla mia pelle. Abbandonai la testa all’indietro e prese a baciarmi e leccarmi con più audacia, scendendo sui capezzoli turgidi ed eccitati. Non potevo nascondere l’eccitazione e non volevo. Era la sua bocca che volevo. Succhiò e leccò i miei seni come nessuno aveva mai fatto, alternando carezze con la lingua a piccoli morsi con denti affamati. Stendendomi, piegai e spalancai le gambe appoggiando i piedi sul tavolino. Entrò dentro di me subito con la mano, due dita, forse tre. Ebbi un sussulto sentendo le sue dita affondare dentro di me, entrare senza nessuna resistenza, scivolare fino in fondo, bagnato dalla mia eccitazione. Le sue dita mi massaggiavano dentro, spingendo con forza mentre la sua bocca si faceva sempre più aggressiva sui miei capezzoli. Mi accarezzava un seno e mangiava l’altro. Ero talmente eccitata che non riuscii a trattenere il primo orgasmo. Mi sentii bagnare ancora di più. Non smise. Continuò a toccarmi dentro e la sua bocca non si staccava dal capezzolo del seno destro. Sembrava avere mille mani: con una mi penetrava ancora con forza, come se non si fosse accorto del mio orgasmo, senza cambiare ritmo. Con l’altra mi toccava ovunque. Ero persa, completamente abbandonata alla sensazioni da non capire più cosa mi stesse facendo. “Entrami dentro, ti prego” avevo voglia di essere scopata. “Ssssstt…” senza staccare la bocca dal capezzolo. Prese la mia mano e la portò al mio clitoride. Non aspettavo altro: cominciai a masturbarmi mentre sentivo stimolare ogni cm del mio corpo, di nuovo pareva avere mille mani. Arrivai a godere di nuovo. Ero stremata. Abbandonata sul tavolo e tolse la mano e si staccò completamente da me. Sentii avvicinare qualcosa alla bocca mentre delicatamente una mano mi alzava la testa. Un bicchiere. Vino rosso. Bevvi. Mentre deglutivo lo sentii prendere i miei polsi, contemporaneamente e legarli, fissarli al tavolo. Ebbi un attimo di smarrimento ma prese a baciarmi in bocca, affamato di me. La sua bocca calda, bagnata e aggressiva mi eccitava da impazzire e sussultai di nuovo sentendomi prendere le caviglie. Legate al tavolo, anche quelle, con le gambe piegate e spalancate. Ero sua. Completamente. Non potevo muovermi. Mi leccava le labbra, mi penetrava la bocca con lingua decisa e arrogante. Entrò dentro di me in un colpo. Doveva essere molto dotato perché lo sentii farsi spazio dentro me come fosse enorme. Una sensazione piacevolissima, mi sentivo piena e legata a quel modo ero ancora più eccitata. Mi sbatteva come fossi sua proprietà, come se volesse rompermi. Desideravo masturbarmi ma le stringhe ai polsi me lo impedivano. Continuava a penetrarmi la bocca con la lingua e stavo per godere di nuovo, quando sentii una bocca appoggiarsi su un capezzolo ed iniziare a succhiare. Nello stesso momento una mano prese ad accarezzarmi intensamente il clitoride. Ero stordita di eccitazione. Due bocche erano sul mio corpo e due mani, forse tre, mi accarezzavano mentre assorbivo i colpi desiderando di allargarmi ancora di più. Un orgasmo, e poi un altro subito, mentre non capivo più quante mani e quante bocche avessi addosso. Continuava a scoparmi, con forza, durissimo. Sentivo più voci ansimare, senza mai parlare. Allontanò la bocca dalla mia e subito la sentii un pene riempirla. Era caldo, duro come quello che mi stava scopando. Emanava odore di sesso, di donna direi, anche se non era quello che mi stava penetrando, non era mai uscito. Cominciai a succhiarlo e leccarlo, assecondando i suoi movimenti, bagnandolo di saliva per sentirlo scorrere sulla lingua. Lo volevo fino in gola e parve capirlo perché iniziò a spingere, sbattendo contro la gola fino a togliermi il respiro. Non mi chiesi più niente, non sapevo quante persone ci fossero, vivevo semplicemente le sensazioni che sentivo. Godetti più volte, tra mani che mi accarezzavano, peni che mi penetravano, bocche che mi succhiavano. D’improvviso tutto finì. Si staccarono tutti simultaneamente, lasciandomi sull’orlo di un orgasmo che stava arrivando molto intenso. Ebbi un attimo di panico. Sapevo che mi stavano guardando. Sentii avvicinare qualcuno alla bocca, una gamba, liscia. La leccai, alzando la testa per raggiungere l’inguine anche se non capivo se stessi leccando l’interno o l’esterno. Si appoggiò sulla mia bocca e, spostando il viso verso quello che capivo essere l’interno di una coscia, la mia lingua si bagnò appoggiandosi a quelle che capii subito essere grandi labbra. Una donna. Continuai a leccare e lei si abbandonò alla mia bocca, mentre una bocca si appoggiava su di me leccandomi a sua volta. Pensai che fosse un uomo. Con la lingua accarezzavo il clitoride come fosse il mio, lo leccavo con la lingua larga ed accogliente, raccogliendo i suoi umori che continuavano a scendere tra le grandi labbra. Ebbe un orgasmo e la sua eccitazione, eccitò me ancora di più. Mi prese la testa tra le mani, spingendola verso di sé, il mio viso era completamente bagnato di lei. Si spostò dopo aver goduto sul mio viso e sentii una lingua leccarmi la faccia, raccogliendo gli umori rimasti ai lati della mia bocca. Sentii sciogliere le stringhe ai polsi e alle caviglie e qualcuno mi fece alzare, delicatamente. Mi fece inginocchiare sul tavolino e, in un attimo appena mi sentii penetrare con forza da dietro. Con colpo deciso entrò in me, non era lo stesso di prima, ne ero sicura. Iniziò a sbattermi con violenza ma non sentivo dolore. Desideravo che lo facesse con ancora più forza. La donna prese a baciarmi, delicatamente, leccandomi le labbra e la lingua con intensità e calore. Alzandosi lentamente, si fece scorrere la mia bocca sul collo fino a mettere un capezzolo nella mia bocca, che cominciai a leccare e succhiare con avidità. Sentivo colare liquido caldo tra le mie gambe e non capivo se avesse goduto l’uomo che mi stava penetrando o se fosse frutto della mia intensa eccitazione. Una mano cominciò ad accarezzarmi le natiche e stimolarmi l’orifizio anale, bagnandosi le dita tra le mie cosce. D’improvviso un colpo deciso, uno schiaffo su una natica, che mi eccitò ancora di più. Sentii qualcuno accovacciarsi su di me, sulla mia schiena e spingere sul buco. L’uomo che mi stava scopando rallentò un attimo mentre il secondo uomo spinse ed entrò in me, provocandomi un forte dolore. Gridai, togliendo la bocca dal seno della donna, ma lei mi prese per i capelli e premette la mia testa contro il suo capezzolo. Qualcuno schiaffeggiò di nuovo la mia natica mentre i due uomini presero a penetrarmi insieme con forza. Il dolore si trasformò in un attimo, divenne subito eccitazione incredibile. Mi sentivo sfondare, non capivo più da che parte arrivasse il piacere, mentre una mano prese anche a masturbarmi. Arrivò un orgasmo fortissimo, credevo di morire e dalla mia vagina uscì liquido copioso. Una mano prese a massaggiare il mio liquido sulle mie gambe mentre i due continuavano ad affondare nel mio corpo, completamente abbandonato e disposto ad accettare qualsiasi stimolo. La donna si spostò e un altro pene riempì la mia bocca. Tre uomini quindi. Ero su quel tavolo, in ginocchio, riempita in ogni orifizio possibile e mi eccitava da impazzire essere usata in quel modo. Qualcuno continuava a schiaffeggiarmi le natiche di tanto in tanto e, questo improvviso distrarmi dalle sensazioni della penetrazione, era piacevole ed eccitante. Orgasmi ripetuti, li sentivo uscire e rientrare in me, mentre le mani delicate della donna accarezzavano la mia schiena. Godemmo, godettero anche loro, tutti dentro di me, uscendo subito dopo. Presero a leccarmi ovunque, raccogliendolo sperma del loro piacere e del mio. Mi fecero girare e mi ritrovai di nuovo stesa sul tavolo. Lei mi mise il suo pube sul viso, era bagnatissima, volevo vederla penetrata ma non chiesi di togliere la benda, volevo stare nel mio mondo, temevo che mi sarei frenata se li avessi guardati negli occhi. Infilai due dita dentro di lei mentre con la lingua larga accarezzavo il suo clitoride. Nessuno mi stava più toccando, sentivo che mi stavano guardando. La penetrai con forza e presi a massaggiarla dentro. Volevo il suo piacere e la leccai e succhiai finché la sentii fremere ed ansimare. Spinsi più intensamente dentro di lei, e lei gridò stringendo le gambe e contraendosi, mentre dalla sua vagina spruzzò un caldo liquido sul mio viso. Mi accarezzò il viso bagnato e mi baciò prima dolcemente, poi mi morse lievemente un labbro. Sussurrò: “Brava bambina…”. Le prime parole che sentii in quella stanza da quando ero entrata. Mi fece alzare e mi accompagnò per qualche passo. Mi fece abbassare come a farmi sedere e sentii il contatto con le gambe di uno degli uomini. Cercai di sistemarmi sedendomi in braccio a lui, dandogli le spalle. Era seduto su un divano e mi guidò. Sedetti su di lui lasciandolo scivolare dentro di me, tra le mie natiche, nell’orifizio ancora aperto. Mi appoggiai a lui con la schiena contro il suo busto e subito qualcuno davanti a me prese a leccarmi il clitoride, intanto che mi muovevo sull’uomo che mi stava penetrando. Pensavo agli altri che mi stavano guardando e stringevo i miei capezzoli, sempre più forte, avrei voluto strapparli. La bocca si staccò dal mio clitoride e qualcuno entrò dentro me, stavano di nuovo scopandomi in due. Godetti dopo pochi minuti, il tempo orami non esisteva più. Mi fecero sedere sul divano, mi lasciarono lì. Mi stesi. Non mi importava più nulla, ero appagata e soddisfatta, volevo vivere di queste sensazioni. Dopo qualche minuto, forse decine di minuti, lei si avvicinò a me e prese ad accarezzarmi il viso, dolcemente, a baciarmi, a leccarmi le orecchie, il collo e di nuovo i capezzoli. Mise una mano tra le mie gambe, ero sicura fossero le sue. La delicatezza era inconfondibile. Mi lasciai coccolare, toccare, entrare dentro. Ormai mi sentivo senza tono, i miei pertugi erano aperti e non opponevano alcuna resistenza. Mi baciava e mi toccava. E io mi stavo bagnando ancora. Spinse dentro due dita, poi tre, poi sentii la mano intera oltrepassare le ossa del pube ed ebbi la sensazione di inghiottirla. Arrivò un orgasmo lento e intenso, mentre la baciavo in bocca come con un uomo non avevo mai fatto. Si allontanò da me, sentivo voci provenire da una stanza a fianco, senza poter distinguere quante persone potessero essere e nemmeno le loro parole. Dovevano aver chiuso la porta. Rimasi immobile, senza chiedermi niente. Per un attimo pensai che avrei voluto alzarmi ed andarmene, ero sfinita. Ma non lo feci. Mi addormentai. A risvegliarmi fu il contatto di mani che mi aprivano le gambe. Senza una parola, ancora. Stavano usando il mio corpo per il loro piacere, provocando piacere a me. Era una situazione strana, diversa, forse pericolosa ma non la avvertivo come tale, anche se ogni stimolo diverso che sopraggiungeva senza che io me lo aspettassi era una provocazione, un’invasione, un cambiamento ma sempre incontrollato ed inaspettato. Mi sentivo completamente abbandonata al loro volere e, contrariamente a quanto la logica avrebbe previsto, mi sentivo al sicuro. Una mano stava accarezzando il mio clitoride che rispose immediatamente allo stimolo. Era eccitato, gonfio, lo sentivo pulsare, desideravo che me lo succhiassero. Era abile la mano che mi stava masturbando, piacevole, calda, lenta. Pochi attimi dopo una sensazione di freddo intercalata alla carezza delle dita: ghiaccio. Chi mi stava toccando alternava carezze e pressioni con le dita a carezze e pressioni con un cubetto di ghiaccio. La mia pelle rabbrividiva in risposta all’alternanza ma non era il ghiaccio a provocarla, era eccitazione, ancora. Non sapevo se fosse un uomo o una donna, le carezze erano gentili ed intense. Faceva scivolare il ghiaccio dal clitoride alla vagina e con la lingua lo spingeva dentro per andare poi a cercarlo. Sentivo il ghiaccio sciogliersi dentro di me e quella bocca che andava a recuperarlo mi dava sensazioni sconosciute. Durò a lungo questo gioco, in cui sfioravo continuamente l’orgasmo senza mai raggiungerlo. Dentro di me pregavo che non si fermasse, avrei voluto che continuasse all’infinito. Continuò a baciarmi il clitoride tenendo un cubetto di ghiaccio in bocca. Me lo baciava alternando sapientemente la lingua al ghiaccio, poi portava il cubetto nella mia vagina con la bocca e lo spingeva dentro con la lingua. Mi stava riempiendo di ghiaccio, che sentivo sciogliersi e mescolarsi ai miei umori. D’improvviso, persa in queste sensazioni, sentii stringere un capezzolo da una cosa fredda: una pinza pensai. Faceva male. Mi eccitava. Anche l’altro fu presto stretto in quella morsa di metallo. La bocca si era fermata, allontanata. Ero piena di ghiaccio e i capezzoli stretti. Allungai le mani per toccarmi ma qualcuno me le prese e mi girò, facendomi sporgere il bacino dal divano, alzandomi le gambe. Sentivo l’acqua colare, uscire dalla mia vagina e una bocca si chinò a leccarmi per asciugarla. Sentivo ancora ghiaccio dentro e qualcuno iniziò a scoparmi, con forza. Il cazzo durissimo spingeva il ghiaccio fino in fondo. Lo sentivo premere e ogni volta che usciva desideravo impaziente che rientrasse, spingendo più forte. Mi girò, mi fece inginocchiare con il busto sul divano e mentre ancora liquido freddo colava dalla mia vagina, si appoggiò e affondò tra le mie natiche. Il dolore fu intenso e gridai, ma mi mise una mano sulla bocca continuando a spingere e tirandomi la testa verso di sé, stringendomi per i capelli. Sentivo il suo respiro affannato sul mio collo, i capezzoli indurirsi nonostante la presa, la vagina pulsare, calda, ancora più gonfia forse per la reazione al ghiaccio, desiderosa di essere riempita. Godetti di nuovo mentre lui, dopo qualche colpo molto violento, uscì per sborrarmi sulla schiena. Mi abbandonai esausta, restando così, in ginocchio, mentre una bocca stava leccando lo sperma sulla mia schiena. Quella stessa bocca venne a leccarmi le labbra, bagnandole di saliva e sperma, quasi fosse un dono di ricompensa. Rimasi così, inerte, quando mi presero in due e mi fecero scivolare prona a terra. Le morse ai capezzoli ora facevano male. Schiacciati sul pavimento sembravano bruciare. D’improvviso una sensazione di calore intenso sulla schiena, piccoli tocchi di caldo bruciavano la mia pelle intanto che qualcuno aveva preso a leccarmi le natiche. Mi alzò il bacino mettendomi in ginocchio. Ero completamente aperta davanti ai loro occhi e continuavano ad intervalli a farmi qualcosa che mi dava la sensazione di scottature, cera forse, che colava sulla mia pelle. Entrarono dentro di me, ancora una volta. Un uomo mi scopava mentre un vibratore spingeva contro il mio muscolo anale cercando di allargarlo. Doveva essere enorme, al punto che il pene di chi mi stava scopando sembrava piccolissimo. I capezzoli che si inturgidivano stretti nelle morse sembravano scoppiare. Urlai di piacere, mentre la mano sapiente riuscì a far entrare il vibratore spingendolo subito fino in fondo. Mi lasciarono lì. Esanime. Ero arrivata a pensare che forse sarei morta, lì, nelle loro mani, ad uso del loro piacere. Ma non me ne importava niente. Mi addormentai di nuovo. Riaprii gli occhi solo dopo ore. Non avevo più la benda. Ero stesa su un letto, la stanza era semibuia, la porta chiusa. Ero sola. Mi alzai a fatica dal letto, ero ancora nuda e sul mio corpo piccole tumefazioni, soprattutto sui seni e sul ventre. I capezzoli mi facevano male solo a sfiorarli. Respirai profondamente e aprii la porta che dava su una sala molto ampia e luminosa. Era un loft, elegante e raffinato. Non c’era nessuno. Nessun rumore. Sul divano erano distesi i miei vestiti e le mie calze, che qualcuno doveva avermi tolto. Mi avvicinai all’unica porta che c’era, a fianco di quella d’entrata. Aprii la porta ed entrai in bagno, quasi sollevata di non trovarci nessuno dentro. Feci una doccia, c’era un solo accappatoio piegato sul mobile da bagno, fresco di bucato e un asciugamani. Tornai nella sala, mi vestii e solo dopo qualche minuto mi accorsi che c’era un biglietto accanto alle calze. “Sei stata brava. Domani torni. Alle 22 devi essere qui”. Mi buttai sul divano, quasi sconvolta da quelle parole. Rimasi lì, non saprei per quanto tempo, forse speravo che arrivasse qualcuno. Mi guardai un po’ in giro per capire se quella fosse davvero casa di Fulvio. Ma non c’era nulla che facesse pensare a lui: non una foto, non un indumento in giro, nulla di nulla. Un appartamento asettico. Mi alzai, presi la mia borsa che avevano appoggiato sul tavolo basso di fronte al divano, doveva essere quello su cui mi ero stesa io poche ore prima. Guardai l’orologio, le 19: avevo dormito un sacco di tempo. Uscii, chiudendo quella porta alle spalle con una sola certezza: non sarei tornata. Mi affrettai lungo le scale e anche durante il tragitto per riprendere la macchina. Volevo solo tornare a casa. Durante il viaggio ripensai alle ore trascorse, al piacere provato, all’intensità delle sensazioni. E man mano che scorrevano i km sembrava allontanarsi la realtà di quanto avevo vissuto. Rientrai a casa. Fulvio non mi cercò né quel giorno né mai più. Quella stessa sera uscii a cena con qualche amico e guardando l’orologio alle 22 sorrisi. Era stata un’esperienza intensamente piacevole. Non l’avrei ripetuta. Oggi rivederlo per caso mi riporta alle mille domande che mi sono posta nei giorni seguenti. Non era stato facile razionalizzare quello che era successo, più che altro perché mi ero assoggettata a lui al punto di lasciarmi usare in qualsiasi modo ma senza mai sapere, in effetti, se anche lui fosse stato tra quelle persone, se mi avesse toccata, se mi avesse penetrata o se mi avesse solo guardata. Ma adesso basta pensare a Fulvio, devo preparare la cena per Angela!! Entro in doccia e mentre mi insapono, sfiorarmi i capezzoli mi ricorda le morse di quella sera. Il ricordo di quel turbinio di sensazioni, la bocca e la mano di quella donna… mi abbandono alle mie mani con il desiderio di sentire le sue sul mio corpo, mentre Fulvio guarda, attento. Mi accarezzo piano, mentre l’acqua scorre sulla mia pelle, fino a godere, pensando alla mano di quella donna che sprofondava in me, affondando oltre le ossa pubiche. Esco dalla doccia, indosso una maglietta e un paio di slip. Accendo la musica intanto che inizio a preparare qualcosa per cena. Mancano ancora un paio d’ore, posso fare con calma. Preparo carne e verdure, le metto a cuocere in forno e mi dedico a leggere un libro che ho comprato la settimana scorsa. Mi addormento, senza rendermene conto e a svegliarmi è il trillo del campanello. “Chi è?” chiedo al citofono. “Sono io Livia, Angela!” Caspita, sono le 20… ho dormito come un sasso! “Entra Angela, vieni. Scusami se sono così, ma ho fatto la doccia e mi sono addormentata mentre leggevo un libro.” “ Non preoccuparti Livia, per me fa nulla, vai benissimo così!” L’odore nell’aria è intenso ma non di bruciato, deve essermi andata bene. Angela mi segue in cucina, appoggiando la borsa sulla panca e una bottiglia di vino rosso sul piano della cucina. Apparecchio la tavola intanto che Angela mi racconta delle sue vacanze e mentre levo la teglia dal forno distrattamente mi scotto il palmo della mano. Sono sempre la solita! La serata trascorre piacevole, parliamo di mille cose. Dopo cena ci sediamo nel mio studio, faccio vedere ad Angela qualche foto scattata di recente a Oslo. “Ti va un goccio di whisky Angela?” “Si dai… magari con un po’ di ghiaccio…” Il pensiero del ghiaccio mi riporta a Fulvio. Mi sento di nuovo girare la testa al pensiero che sia qui e che potrei incontrarlo di nuovo in qualsiasi momento. Vado in cucina e torno nello studio con la vaschetta del ghiaccio e i bicchieri . Ne porgo uno ad Angela e mi siedo accanto a lei sul divano. Metto ghiaccio nel bicchiere di Angela e anche nel mio, ma faccio per infilarmi un cubetto in bocca quando mi scivola dalle mani e si infila nella maglietta. “Non toglierlo!” mi dice Angela. La guardo con aria interrogativa. Angela si avventa su di me e infila una mano tra i miei seni a cercare il ghiaccio mentre appoggia le sue labbra alle mie e infila la lingua a baciarmi, come se stesse aspettando questo momento da sempre. La lascio fare, rispondo al bacio con tutta la passione che ho addosso dopo aver rivisto Fulvio. Prende il cubetto di ghiaccio e tenendolo tra le dita mi sfiora delicatamente un capezzolo, rendendolo turgido, e poi se lo mette in bocca. Continuiamo a baciarci, passando il cubetto dalla mia bocca alla sua finché si scioglie completamente, mentre Angela mi accarezza un seno, sopra la maglietta. La sua bocca scende, baciandomi il collo e leccandomi, fino a poggiarsi su un capezzolo. Lo lecca e lo succhia intanto che sento l’eccitazione crescere. Infilo una mano sotto la sua gonna, accarezzandole un coscia e salendo verso l’inguine. E’ calda la sua pelle, liscia e delicata. La desidero, la voglio. Mi alzo e mi inginocchio davanti a lei, la prendo per le natiche per farla scivolare attirandola verso il mio viso. E’ eccitata Angela, mi guarda dritto negli occhi aspettando che io la tocchi. Le alzo la gonna sui fianchi, la tiro verso di me e mentre la guardo negli occhi appoggio la mia bocca sulla sua coscia. Inizio a leccarla e baciarla lentamente, salendo verso l’inguine. Sposto delicatamente lo slip, è bagnatissima. Appoggio la bocca sul suo clitoride, abbracciandolo con le labbra e succhiandolo, dandole piacere immediato tanto è che la sento fremere e godere subito. “Eri eccitata eh?! …avevi voglia della mia bocca…” Angela annuisce con gli occhi, sorridendomi maliziosa. Infilo di nuovo la testa fra le sue gambe assaporando il suo piacere e infilo due dita dentro di lei… Voglio farla godere, con tutta la passione che mi è tornata a pelle dopo aver visto Fulvio. Le emozioni non tornano. Ti restano dentro. Questo racconto è stato tradotto e pubblicato in UK nell'antologia: http://www.deastore.com/book/la-dolce-vita-maxim-jakubowski-perseus-books/9780762448487.html
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Grazia ScanaviniClick here to edit. Archives
Dicembre 2016
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