Era strano quella sera, lo sentivo in agitazione; non nervoso, semplicemente avvertivo uno strano fervore nel suo modo di muoversi per casa . Da quando era rientrato gli avevo già chiesto almeno un paio di volte cosa stesse succedendo, ma lui sorrideva tranquillo semplicemente sussurrando: “Niente, una cosa per te.” Appena entrò in doccia, presi ad osservarmi in giro. Ogni tanto mi porta un fiore e lo lascia appoggiato sul ripiano della cucina, sulla mensola di vetro sotto lo specchio del bagno, a terra davanti all’entrata o sul tavolo del mio studio; e succede che io, presa da qualche faccenda o distratta dalla preparazione di qualche corso o di qualche articolo importante, non me ne accorga. Non lo faccio per poca considerazione ma solo perché quando mi concentro per un lavoro che mi prende molto, perdo il contatto con la realtà. Niente, non c’era niente. Mentre ancora Alessandro era in bagno, lo avevo sentito parlare al telefono e distrattamente avevo percepito un “A dopo.” che mi aveva lasciata stupita, non sapevo dovesse uscire. Stavo preparando la cena quando uscì dal bagno. “Che bello ti sei fatto! Barba, capelli… dove vai questa sera?” ammiccai con ironia tendenziosa, sorridendo. “Da nessuna parte, solo per te.” Sorrise, sembrava divertito. Cenammo in terrazza, allegramente. Il cielo di fine Maggio quella sera offriva un tramonto luminoso e caldo. La lieve brezza era piacevole sulla pelle. Restammo in terrazza ad ascoltare musica dopo cena, a goderci il lento tramontare del sole e il crescendo della luminosità della luna che pareva essere piena. Alessandro si alzò per prendere whisky e bicchieri, e io per farmi una doccia veloce. Amavo fare la doccia sapendo che lui mi aspettava rilassato sulla poltrona del terrazzo, con il bicchiere in mano e il sigaro che gustava lentamente, portandolo alla bocca come fosse cosa preziosa. Quando uscii in terrazzo, mi guardò intensamente mentre aspirava fumo e sorrise espirandolo, portando il bicchiere alla bocca con il fare di chi sa dove sta andando. Ancora avvolta nell’asciugamano, andai a sedermi sulla poltrona di fronte a quella dove sta seduto lui, allungando una gamba per appoggiare il piede tra le sue e raccogliendo l’altra al petto. Mi piaceva sedermi davanti a lui in modo che vedesse il mio sesso aperto con naturalezza davanti ai suoi occhi. Era eccitato, lo sapevo; lo sentivo quando in testa sua aveva già deciso che mi avrebbe avuta. E come sempre, la sua sicurezza eccitava me. Mi dava quella sensazione del non potermi esimere dal suo desiderio. Non che fosse una costrizione, tutt’altro, semplicemente un gioco di tensioni che mi faceva sentire il fulcro del suo desiderio e mi eccitava da impazzire. “A cosa stai pensando dolcezza?”. Aveva un tono avvolgente. ”Mi sto godendo la tua eccitazione.” Sorrisi accendendomi una sigaretta. “E cosa ti fa pensare che io sia eccitato?” Ora il tono era caldo e tendenzioso. “Lo sei da quando sei rientrato… la cosa strana è che tu non ci abbia ancora provato!” lo schernii ridendo. “Non mi va di scoparti adesso.” E abbassò lo sguardo, sempre sorridendo. “Ah no?!” “No!” Prese il piede che avevo appoggiato sulla sua poltrona, lo accarezzò, lo sfiorò con la bocca e lo appoggiò sul bracciolo della poltrona, allargandomi le gambe e inginocchiandosi davanti a me. Avvicinò piano le labbra alle mie cosce, percorrendole delicatamente fino a sfiorarmi le grandi labbra. Mi distesi sulla poltrona, avvicinando il bacino al bordo della seduta per offrirmi in maniera più completa. Continuavo a fumare e lui prese ad accarezzarmi lentamente con la lingua le grandi labbra, sfiorando sapientemente solo di tanto in tanto le piccole labbra e il clitoride. Sapeva come scaldarmi, sapeva che avrei sussultato ad ogni piccolo tocco. Io fumavo e lui mi leccava, guardandomi negli occhi. Sapeva che mi piaceva che mi leccasse mentre fumavo. Mi faceva sentire la padrona del mondo guardarlo con le labbra immerse nel mio piacere mentre io fumavo e godevo, godevo e fumavo. Gli chiesi di infilare una mano dentro di me ma alzò il viso e fece cenno di no con la testa, guardandomi fissa negli occhi e sorridendo, in segno di sfida giocosa. Alzai il tono della voce: “Mettimi dentro quella mano, fammi godere come piace a me”. Di nuovo fece cenno di no con la testa, allo stesso modo e immerse di nuovo il volto tra le mie gambe, portandomi a godere e lasciandomi sfinita, abbandonata sulla poltrona. Dopo qualche istante, quando aprii gli occhi, Alessandro era ancora inginocchiato tra le mie gambe e mi stava osservando. Aveva uno sguardo accogliente e compiaciuto. Mi accarezzò una gamba e si alzò, prese il bicchiere poggiato sul tavolino e bevve un sorso di whisky. Voleva scoparmi forte adesso, ne ero sicura. Mi aveva portata al massimo dell’eccitazione, senza indurmi al piacere completo, per poi goderne insieme. Mi accomodai meglio sulla poltrona ma Alessandro si incamminò verso la vetrata e mentre oltrepassava la porta per rientrare in sala disse: “Esco.” “Come esci? Dove vai?” ero incredula e stranita dal suo comportamento. “Faccio un giro. Non aspettarmi sveglia.” “Ma che succede? Ale?” Non rispose. Mi alzai e mentre mi incamminavo per raggiungerlo, lo intravidi prendere le chiavi sul tavolo e sentii la porta sbattere. Forse non l’aveva sbattuta, ma nello stato d’animo in cui ero, mi sembrò che la chiudesse con rabbia. Guardai fuori dalla finestra: stava già salendo in macchina. Mise in moto e partì bruscamente. Lo guardai allontanarsi, stava guidando nervosamente. Ma che era successo? Presi il telefono e lo chiamai, ma non rispose. Provai di nuovo. Segreteria telefonica. Tornai in terrazzo, accesi una sigaretta e, seduta sulla poltrona, rimasi almeno un paio d’ore a riflettere, a chiedermi cosa lo avesse turbato. Di tanto in tanto provavo a richiamare ma non mi rispose: una volta era occupato, le altre suonava a vuoto. Gli scrissi un messaggio chiedendo cosa fosse successo. Rispose semplicemente: “Tranquilla, non succede nulla, avevo voglia di farmi un giro. Mi vedo con Giorgio. Vai a dormire. Un bacio”. Era successo in passato che qualche volta si comportasse così, soprattutto quando qualcosa non andava al lavoro, ma era la prima volta che aveva un cambio di umore così repentino senza spiegarmi nulla, e soprattutto in un momento di intimità in cui niente lasciava pensare che ci fossero problemi. Rientrai in casa, cominciava a fare freddo e, dopo aver sfogliato una rivista e fatto un po’ di zapping con la televisione, me ne andai a dormire. Non riuscivo a prendere sonno. Mi alzai, mi versai un po’ di whisky e mi portai il bicchiere a letto. Stavo lì, nella penombra della camera da letto, illuminata appena dalla luce che filtrava dalla finestra. Mi rigirai nel letto, non so per quanto tempo, e scivolai in un sonno agitato senza accorgermene, presa da mille domande e da pensieri contrastanti. Sentii sfiorarmi la schiena dalla sua mano calda. Mi accarezzava, forse già da qualche minuto e quando mi girai per guardarlo in viso, mi accarezzò le labbra e mi chiese piano: “Stavi dormendo, eh?” “Sì…” “Bene… Adesso sogniamo…” Aveva tra le mani una benda nera, il che mi stupì molto perché non avevamo mai usato bende agli occhi. Me la sistemò sul viso e strinse forte, allacciandola dietro la nuca. “Ci vedi?” mi chiese mentre mi sfiorava un capezzolo. “No… “ “E ti piace a giudicare da come reagisci…” Nonostante fossi ancora intontita, i miei capezzoli erano turgidi. Il mio corpo era già eccitato, così come la mia testa. Lo sentii alzarsi dal letto, andò ad accendere lo stereo e il volume era piuttosto alto. Non potevo né vedere, né sentire i suoi movimenti all’interno della stanza. Lo sentii sussurrare vicino al mio orecchio: “Toccati!” Spostai il lenzuolo dal mio corpo, volevo che mi vedesse interamente. Doveva aver acceso delle candele perché percepivo una luce fioca oltre la trama della benda. Voleva guardarmi. Inumidii un dito infilandomelo in bocca, anche se non ce ne sarebbe stato bisogno: ero già bagnata di eccitazione. Spalancai le gambe, come sapevo che a lui piaceva, per mostrarmi completamente sua, dannatamente sua. Sapere che stava li a guardarmi mi eccitava da impazzire. Forse era in piedi, appoggiato al muro, o forse si era seduto sulla poltrona nell'angolo opposto. Forzai ulteriormente l'apertura delle gambe, doveva vedermi bene, ovunque si trovasse, volevo che i suoi occhi catturassero ogni minimo movimento del mio dito che aveva preso a carezzare languidamente il clitoride, muovendosi lentamente ma premendo forte: mi piace sentirlo toccare in modo deciso. Stringevo forte le grandi labbra con le mani allargandole, tirandole, che sentivo le unghie insinuarsi nella pelle. Sapevo quanto lo eccitasse vedere le mie unghie rosso scuro tirare la carne per mettere in mostra il clitoride, per farlo uscire completamente. Ormai ero al culmine del piacere, stavo raggiungendo l’orgasmo, quando sentii Alessandro afferrarmi un piede: pensai che volesse alzarmi la gamba per penetrarmi e invece sentii le sue mani passare qualcosa intorno alla caviglia e capii subito che si trattava di una corda. Sentivo i capezzoli inturgidirsi e continuavo a toccarmi prepotentemente. Quando strinse la corda ebbi un forte orgasmo ma non smisi di toccarmi, volevo continuare a godere. Quando mi strattonò la gamba, per fissarla al piede del letto, gridai di piacere talmente intenso da perdere quasi i sensi. Abbandonai le braccia lungo i fianchi mentre sentivo Alessandro legarmi anche l’altra gamba al letto. Stavo ancora ansimando quando si avvicinò al mio collo sussurrando: “Sei bellissima quando godi… non pensare più a niente ora. Pensa solo a godere…”. Sentire le sue labbra sfiorare il collo mentre mi diceva quelle parole mi mandò nuovamente in estasi e ripresi a toccarmi ma dopo qualche secondo sentii le sue mani prendermi i polsi, uno dopo l’altro e legarli al letto, così come aveva fatto con le caviglie. Il cuore batteva all’impazzata. “Lasciamene una libera, ti prego.” Di nuovo si avvicinò al mio collo: “Ssssst… stanotte devi godere come voglio io…” Dopo appena un secondo sentii la sua bocca appoggiarsi ad una caviglia e salire lentamente, baciando e leccando la gamba fino a raggiungere il mio sesso, spalancato e fradicio, per nulla imbarazzato ma in trepidante attesa di essere soddisfatto. Prese a leccarmi come non aveva mai fatto. Non staccava mai le labbra, avvolgendo totalmente il clitoride e la sua lingua lo massaggiava lentamente ma con una passionalità che mai avevo sentito. Sentivo scoppiare i capezzoli mentre mi sembrava che tutto il mio essere fosse ridotto al mio clitoride e a quella bocca che sembrava assetata e succhiava il mio clitoride come se volesse farne uscire acqua per dissetarsi. Ad un certo punto infilò un dito e poi subito spinse dentro tutte le dita della mano, allargandomi con un’unica spinta. Il mio sesso era talmente bagnato che la mano si infilò dentro superando un minimo attrito dovuto al restringimento delle ossa pubiche. Mi fece male, un male che mi eccitò ancora di più. Era la prima volta che la sua mano entrava completamente, sembrava quasi fosse più piccola tanto mi ero aperta per farla entrare. Iniziò a massaggiarmi dentro proprio come piaceva a me e intanto la sua lingua continuava a leccarmi, imperterrita, calma e pressante. Stavo ansimando di piacere, ogni respiro era un grido soffocato. D’improvviso sentii abbassarsi il materasso a lato della mia testa, come se qualcuno ci fosse salito sopra. Ebbi un attimo di smarrimento e, quando senti il sesso turgido e forte di Alessandro appoggiarsi alle mie labbra, credetti di svenire. Lui si chinò su di me e mi disse: “Tranquilla tesoro… godi… non pensare ad altro. Sei bellissima, mi stai facendo impazzire… Così voglio vederti… godere di tutto il piacere possibile…”. Ascoltavo le sue parole, la sua voce, mentre sentivo quella mano esperta massaggiarmi dentro allo stesso ritmo con cui la lingua continuava a leccarmi. Mi sembrava di impazzire. Di indecisione, di incredulità, forse di imbarazzo ma di piacere allo stesso momento. Mi lasciai andare. Non pensai più a niente come Alessandro mi aveva chiesto. Accolsi tra le labbra il suo sesso, era duro come mai lo avevo sentito in tanti anni. Presi a leccarlo come sapevo che a lui piaceva e mentre lui lo spingeva nella mia gola e lo ritraeva per farmelo leccare, sentii salire un piacere tale nel ventre che gridai con tutta la voce che avevo e contrassi il bassoventre fino a sentire uscire dal mio sesso una quantità di acqua che mi sembrava non finire più. Persi i sensi. Non so quanto rimasi in quelle condizioni ma quando mi ripresi qualcuno mi stava scopando forte, come piace a me, e qualcun’altro stava succhiando un mio capezzolo mentre con la mano massaggiava l’altro seno. Mi avevano slegato le gambe e le braccia, ero libera ora, mi rimaneva solo la benda. Per un momento pensai di toglierla. Non lo feci. Per qualche minuto ancora mi sentii confusa e quasi non percepivo il corpo. Alessandro, ne riconobbi le labbra, mi baciò intensamente mentre l’altro era uscito da me, poi si allontanò anche lui. Mi sentivo stremata di piacere. Nella stanza risuonava un pezzo e ogni cm del mio corpo sembrava essere una corda della chitarra. Non c’era nessuno accanto a me, forse nemmeno nella stanza. Mi girai con la pancia sotto, mi sentivo eccessivamente nuda ed esposta in quel momento in cui la tensione era fortissima: non sapevo se fossero usciti dalla stanza o fossero lì, a guardarmi, aspettandosi magari che mi togliesse la benda dagli occhi. Restai in attesa per qualche minuto, cercando di capire se ci fosse qualcuno, di sentire se magari stessero parlando o muovendosi di là, ma la musica era troppo alta. Niente. Non riuscivo a capire se fosse tutto finito o se si trattasse di un momento di pausa. Immobilità. Staticità. Mi sembrava che il mondo fosse lontano, quasi inesistente, quando sentii la pelle di Alessandro avvicinarsi al mio viso. Mi baciò, caldamente, e mi appoggiò un bicchiere alle labbra, sollevandomi dolcemente la testa. Fece scivolare nella mia bocca un sorso di whisky. Era Ardbeg, ne ero sicura. Lo sentii accendere una sigaretta e mi fece fumare. Non avevo la forza di muovermi, mi sentivo come se fossi ancora legata. Infilò piano la sigaretta nella mia bocca, appoggiandola alle labbra, me la faceva desiderare, allungavo la lingua per farmela dare. Mentre aspiravo sentii la sua mano accarezzarmi i capelli. E una mano mi stava accarezzando la caviglia destra, salendo piano e accompagnando le carezze della mano con carezze delle labbra. Ancora lui. L’altro. Il tocco della mano lieve e le labbra calde stimolavano l’interno delle mie cosce; calde come se conoscessero perfettamente il mio desiderio, delicate e affamate allo stesso modo; imperterrite e pretenziose a salire verso la mia eccitazione. Delicatamente, con tocco quasi trattenuto, aperse le grandi labbra e sentii il clitoride desiderare di essere racchiuso da labbra, succhiato da una bocca… di chiunque fosse. Alessandro, che continuava ad accarezzarmi i capelli, mi baciò intensamente, quasi aggressivamente, proprio mentre una bocca si prendeva il mio clitoride e lo succhiava lentamente ed intensamente, come se fosse capezzolo a cui attingere per dissetarsi. Sentii Alessandro spostarsi dal mio fianco, mentre mi lasciavo trasportare dal massaggio piacevole che quella bocca alternava a momenti di suzione sfrenata. Sentii mani accarezzarmi entrambi i seni, stimolarmi i capezzoli con dita bagnate. Non capii di chi fossero le mani, non capivo più niente. Il piacere mi offuscava la mente mentre cresceva il desiderio di sentirmi penetrare. Ero talmente eccitata che non mi accorsi quasi di gridare: “ Prendimi Alessandro… Scopami… Ti prego, scopami!”. Lo chiedevo ad Alessandro ma speravo mi penetrassero entrambi. Volevo sentirmi presa, usata. Mi eccitai spasmodicamente alle mie stesse parole e all’idea di sentirmi penetrare con forza. Sbottai in un orgasmo intenso e vigoroso, sentii il corpo sopraffatto dal piacere tendersi e contrarsi ripetutamente. Ma non ebbi tempo di riprendermi. La bocca lasciò il mio clitoride dopo averlo delicatamente accarezzato con la lingua. Mi sentii sollevare e spalancare le gambe. Avevo appena goduto ma bramavo di essere scopata senza freni, e Alessandro lo sapeva, conosceva alla perfezione le dinamiche del mio piacere. Sentii la mia carne cedere e aprirsi per accogliere un’eccitazione turgida e dirompente. Non sapevo chi fosse quell’uomo ma mi era entrato dentro con un solo movimento ed ora stava penetrando la mia carne come se mi conoscesse da sempre, quasi sapesse che mi eccita da impazzire sentirmi riempire fino in fondo, e spingere. Ancora bendata, presi a masturbarmi immaginando quell’uomo che mi stava scopando e Alessandro poco più in là a guardarmi. Avevamo fantasticato mille volte su una situazione del genere, mentre facevamo l’amore. Mi ripeteva in continuazione che l’idea di vedermi scopata da un altro uomo, o più uomini, lo eccitava in maniera sconsiderata, irragionevole. Poi quando ne parlavamo fuori dal letto, la razionalità lo restituiva alla certezza di non poter reggere effettivamente a quello che avrebbe vissuto come un confronto con un altro uomo ed un affronto all’esclusività. Per un attimo mi chiesi cosa fosse cambiato, perché questa decisione, questo cambiamento. Durò un attimo appena la mia perplessità perché mentre ancora distesa sulla schiena sentivo quell’uomo affondare tra i miei umori, Alessandro si avvicinò con la bocca al mio orecchio: “Sei bellissima amore mio… Ti piace eh?!”. Annuii in maniera quasi impercettibile mentre non riuscivo a trattenere gemiti di piacere, che aumentava alla vicinanza di Alessandro. “E a me piace guardarti… sei meravigliosa… la donna che ho sempre voluto…”. Il piacere divenne incontenibile e godetti gridando in direzione di Alessandro, arrivando a sfiorare la sua guancia con le labbra. Gridai sulla sua pelle. Come a volergli trasmettere tutto il mio piacere. Mi prese la mano con la quale stavo tenendomi alla spalliera del letto e me la baciò delicatamente all’interno, mentre io ancora mi contraevo negli spasmi di piacere. L’uomo che mi aveva portata a godere uscì da me e mi resi conto che non avevo nemmeno seguito il suo esserci, non sapevo se avesse goduto oppure no, la mia testa era completamente concentrata sul piacere che provavo e il desiderio di trasmetterlo ad Alessandro. Trascorse un attimo appena quando la voce di Alessandro mi invitò ad alzarmi. Ero confusa ma mi prese per un braccio guidandomi, poi mi mise le mani sui fianchi e mi aiutò a sedermi sulle sue gambe. Lui era steso sul letto, accanto a dove mi trovavo io pochi attimi prima. Era eccitatissimo. Presi il suo membro con una mano e lo accarezzai lentamente ma con vigore, stringendolo con tutta la mano per sentirne appieno la turgidità. Ero bagnata come mai mi era successo. Sollevai il bacino e mi avvicinai per sedermi sul suo membro. Scivolò dentro, quasi risucchiato. Era più duro del solito, lo sentivo riempirmi fino in fondo: mi spostavo con la schiena all’indietro poi in avanti; mi muovevo ora completamente seduta su di lui, ora chinata in avanti appoggiando le braccia oltre le sue spalle per sentirlo scorrere dentro me. Mi dimenticai completamente dell’altro. Non pensai che forse ci stava guardando, forse si stava toccando, o forse se ne era andato. Non sapevo quali fossero i loro accordi ed era l’ultimo dei miei pensieri in quel momento. Continuai ancora per qualche minuto a godermi la presenza di Alessandro dentro di me. Lo sentivo forte, pieno, caldo, sul punto di scoppiare. Più mi chinavo con il busto verso di lui, più lo sentivo eccitarsi. Lo baciai, intensamente e lui mi morse un labbro e poi prese a baciarmi quasi volesse mangiare la carne delle mie labbra, della mia lingua; la succhiava e la leccava. La leccava e la succhiava. Ero così, seduta sopra di lui, distesa sul suo petto, quando sentii l’altro appoggiare il glande al mio orifizio anale. Ebbi un sussulto, quasi a volermi alzare ma Alessandro mi trattenne le labbra e l’altro appoggiò una mano sulla mia schiena, spingendomi giù il busto. Fu un momento di un’intensità difficilmente esplicabile. Non interruppe mai il contatto tra il suo glande e il mio orifizio, aumentando la pressione in modo graduale, lasciando il tempo alla mia carne di accoglierlo e lasciarlo entrare. Quando il glande oltrepassò l’orifizio, gridai di piacere. Sentire questo membro turgido e grosso entrarmi dentro, diviso da quello di Alessandro solo dal sottilissimo strato di carne che separa la vagina dall’ano, mi mandò in uno stato di piacere talmente profondo da non avere più nessuna cognizione del tempo e dello spazio. Mi abbandonai completamente al loro fare: Alessandro si muoveva sotto di me per spingere a fondo, mentre l’altro premeva. Premeva. Premeva. Un piacere mai provato. La sensazione di essere completamente presa. Piena. Completa. Persi i sensi. Quando riaprii gli occhi, la musica continuava a riempire la stanza. Scivolai nel sonno mentre ancora Alessandro continuava ad accarezzarmi. Non chiesi mai ad Alessandro chi fosse quell’uomo, non mi interessava saperlo. Non contava nulla.
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C’è stato un momento in cui ho pensato che tutto potesse ricominciare. Mi sbagliavo. Le emozioni non tornano. Ti restano dentro. E’ agosto, il più caldo che io mi ricordi. Ferma ad un semaforo abbasso il finestrino nonostante il caldo, voglio fumare. Cerco l’accendino sul fondo della borsa appoggiata sul sedile del passeggero. Possibile che non lo trovi mai? Ce ne saranno almeno 6 nella borsa, sono sicura, rovisto e sento le gocce di sudore imperlare il mio viso, nonostante l’aria condizionata. Eccolo. Mentre accendo la sigaretta alzo lo sguardo sulla macchina ferma al fianco della mia, mi sento osservata. No! Un palpito. Oddio, non ci credo. E’ lui? Mi sorride, con quel sorriso che conosco bene. Un attimo infinito. Che faccio? Sorrido ma devo avere una faccia da ebete, il cuore mi sta soffocando: batte così intensamente che non lascia passare l’aria e sento la carenza di ossigeno in tutto il corpo. Il sudore caldo del viso diventa improvvisamente freddo. Brividi. Mi trema la mano, mi cade la sigaretta. Mi affanno a cercarla. Proprio dentro la borsa, cazzo!? Non ho il coraggio di alzare lo sguardo, mi sento morire, ma voglio morire con gli occhi dentro la borsa, non nel suo sguardo. Trovo la sigaretta, sta bruciando la plastica del pacchetto dei fazzolettini di carta. Lo tolgo dalla borsa. E’ inutile che continui a guardarmi, non ci cado! Un clacson suona alle mie spalle. Sì Sì, hai ragione, scusa! Metto la prima e parto guardando dritta la strada che deve portarmi lontana. Lontano. Il cuore uscirà, ne sono sicura. Non ha più lo spazio necessario per restare nel petto, lo sento in gola, sto di nuovo sudando. Dio ti prego, fa che abbia svoltato! Non ce la faccio a guardare, se lo trovo lì di nuovo che faccio? E che cazzo ci fa a Ferrara? Altro semaforo rosso… No, ti prego!! Mi fermo ma vorrei accelerare. Chiudo gli occhi, non voglio guardarlo. Fingo di essere distratta, alzo il finestrino, alzo il volume della radio. Vai, vai!! Diventa verde, per favore!! Niente, tocca ai pedoni passare. Che faccio? Accendo una sigaretta? Se fumo ora muoio, di sicuro, già mi manca l’aria così! Chiudo gli occhi, di nuovo e di nuovo la macchina alle mie spalle suona. Sì sì, vado! Svolto a sinistra, se era sulla destra lui andrà dritto o svolterà a destra, no?! Mi immetto sulla via delle Poste e solo quando mi fermo alle strisce pedonali di via Garibaldi trovo il coraggio di guardare nello specchietto retrovisore. Un’auto scura, come la sua. Cazzo!! Riparto e guido fino in fondo alla via senza più guardare nello specchio, penso a dove potrei infilarmi con la macchina perché non ci sia la possibilità che si accosti alla mia. Via Ripagrande, sì! Mi immetto sperando che il mio cuore si calmi perché rischio di non capire più nulla. Alla rotonda non resisto, alzo lo sguardo sul retrovisore attenta a non muovere la testa, non voglio che lui se ne accorga. Alzo solo gli occhi e la macchina scura è lì, ferma a meno di un metro dalla mia. Guardo dentro, capelli biondi lunghissimi! E’ una donna, ma la tensione ancora non si allenta. Giro a destra, entro nella via di casa e l’auto blu prosegue. Non è lui, è una donna, vuoi calmarti? Parcheggio e resto seduta, guardando negli specchietti. Nessuno in vista. Chiudo gli occhi, appoggio la testa sul volante, il cuore sembra rallentare, cerca pace. I pensieri, no. Si rincorrono, mille immagini. Quella porta di legno scuro, la chiave di ottone, il vestito che scivola lungo il mio corpo, lasciandolo completamente nudo. Riapro gli occhi, alzo la testa dal volante. Il mio corpo sembra intorpidito, sento i muscoli rigidi come se avessi corso per ore e ore. Sono fradicia di sudore. Prendo la borsa e le chiavi, voglio solo entrare in casa. Uno sguardo agli specchietti, non c’è nessuno. Scendo dall’auto e mi incammino verso il portone dell’atrio del palazzo, mi gira la testa, mi sento stranita come quella mattina a Venezia, attraversando il Ponte di Rialto. Mentre sto infilando la chiave nella toppa, la porta batte il colpo del tiro dall’interno. Sussulto. “Ciao Livia!” “Ah sei tu Angela! Mi sono spaventata, ero sovrappensiero... come stai tutto ok? Non ti vedo da un po’!” “Vero, esco presto la mattina, ho cambiato lavoro da poco e sto correndo come una pazza. …ma meglio lavorare, considerato il periodo… Dimmi di te!” “Tutto nella norma, solite cose… lavoro, studio, impegni. Sono tornata dalle vacanze una settimana fa e nemmeno me le ricordo!” “Ah sì, nemmeno me ne ero accorta che eri partita… ormai siamo diventati automi!” “Senti Livia, vediamoci una di queste sere a cena, che dici? Anche stasera se vuoi!” “Sì, volentieri… facciamo che preparo e ti aspetto, a che ora torni?” “Alle 20 sono a casa, ma non preparare chissà che!” “Tranquilla, ti aspetto da me!” “ A dopo allora!” Angela mi sorride mentre si allontana e fa un cenno di saluto. Sorrido. Per un attimo mi ero quasi scordata di lui, quasi. Entro, chiudo il portone e mi ci appoggio con la schiena. Penso che lui era lì, a qualche metro da me, e mi mancano le forze. Guardo le scale e l’ascensore… ascensore, decisamente. Appena si chiude la porta mi sento addosso odori, calore, sensazioni di mani, percezioni di labbra. Il piacere, il dolore. Mi sento svenire. Entro in casa. Lascio le borse e scivolo a terra, spalle alla porta. Il cuore sembra impazzire di nuovo. Resto immobile, la testa reclinata all’indietro contro la porta. Meno male che avevo lasciato acceso il condizionatore, l’aria fresca sulla pelle accaldata sembra darmi sollievo. Sembra. Mi alzo e accendo il pc. Scrivo il suo nome nel motore di ricerca, con il cuore in gola. Ecco perché è a Ferrara… una mostra dei suoi dipinti, per due settimane. Mi sento impazzire. Sapevo che prima o poi sarebbe tornato dentro me, non se ne era mai andato. Lo avevo conosciuto una sera di Ottobre, l’anno prima; una cena a casa di un amico musicista di Venezia. Una decina di persone, non ricordo di preciso, anche perché non conoscevo nessuno tranne Marco, il musicista. Ero arrivata in ritardo, come al solito e quando Marco mi aveva aperto e fatta accomodare in sala da pranzo dove tutti erano già a tavola, mi aveva presentata a tutti come “l’amica giornalista di cui vi parlo sempre”. Avevo sorriso, non sapevo parlasse di me agli altri, la nostra era un’amicizia piuttosto superficiale, ci conoscevamo da tre o quattro anni ma ci frequentavamo di rado. Sedetti nel posto libero accanto a Marco e, dopo qualche battuta di circostanza si instaurò un piacevole clima allegro e piuttosto confidenziale. Tra gli amici di Marco c’erano qualche fotografo, due bassisti, un venditore di auto, un medico e due pittori. Una ragazza di Berlino e lui: Fulvio. Un uomo sui cinquantacinque anni, non tanto alto, robusto, vestito in jeans e Lacoste blu. Dal momento in cui mi sono seduta, non aveva mai tolto gli occhi di dosso. Mi guardava assiduamente, intensamente, quasi mi imbarazzava. La cena trascorse tuttavia piacevolmente, anche se il suo sguardo in qualche modo mi metteva tensione. Finito di cenare, ci spostammo tutti nello studio di Marco, che voleva farci sentire un pezzo nuovo scritto per un concerto che si sarebbe tenuto a poche settimane di distanza. Mentre la musica di Marco suonava, Fulvio si avvicinò e disse: “Quando tornerai a Venezia?” “Non so, ogni tanto ci capito per lavoro, ma sicuramente verrò per il prossimo concerto di Marco.” Sorrise guardandomi negli occhi ed ebbi la sensazione che mi scavasse dentro. Non aggiunse altro, si allontanò. La serata proseguì tra musica, discorsi inerenti le varie attività, qualche chiacchiera sull’attualità e fu davvero piacevole. Cercavo spesso di incontrare lo sguardo di Fulvio, che dopo quella domanda non si era più curato di me, facendomi salire una leggera ed incomprensibile rabbia. Mi aveva guardata per tutta la cena e ora sembrava che io non esistessi. Si aspettava forse che io facessi o dicessi qualcosa di diverso quando si era avvicinato? Una delle ragazze, una fotografa, si congedò e io feci altrettanto. Non era tardi per me ma lo feci quasi per punire Fulvio di non avere continuato ciò che aveva iniziato. Una volta uscita, mentre rientravo in auto, mi sentivo strana. Quello sguardo mi aveva presa, nonostante Fulvio non fosse di certo il tipo d’uomo che di solito mi colpisce. Fisicamente non mi piaceva proprio e durante la cena non c’era stato alcun scambio particolare tra me e lui, giusto qualche battuta. Quella notte, non riuscivo ad addormentarmi, così mi misi al pc, cercando informazioni su di lui. Noto e stimato pittore contemporaneo, notizie varie, le sue opere erano ritratti di donne nude o seminude, molto sensuali. Alle quattro della mattina, mentre stavo decidendo se provare a stendermi nell’intento di dormire, arrivò un messaggio di posta elettronica. Era lui. Solo una parola:“Vieni!”.In allegato una foto dall’alto di una parte di Venezia, lungo un canale che non sapevo riconoscere, con una freccia che indicava un palazzo. Risposi subito: “…è un gioco? Devo indovinare tipo “caccia al tesoro”?” Sentivo dentro una strana eccitazione nascere. Lui non mi piaceva eppure sentivo dentro il desiderio di giocare con lui, di lasciarmi andare subito a questo coinvolgimento senza nemmeno sapere chi fosse e cosa volesse da me. Avevo la sensazione che lui si stesse prendendo la mia testa per eccitarla, nonostante nessuna sua parola lo lasciasse intendere tranne questo “Vieni!”. Pochi istanti dopo, la sua risposta:”Vieni ora! Sotto trovi l’indirizzo. Suona il campanello, abito solo io qui. Sali le scale, secondo piano. Quando arrivi davanti alla porta, trovi una benda rossa. Indossala, spogliati completamente e aspetta.” Panico. “Ma tu sei matto! Devo ancora dormire da quando sono rientrata e non so neanche chi sei!!”. Eppure quella che prima era blanda tensione adesso si era fatta eccitazione vera. Non sapevo da cosa venisse ma sapevo che c’era, mi aveva presa. Rispose di nuovo con quella parola: “Vieni!” Mille pensieri cominciarono a vagare nella mia mente, dal rifiuto totale al desiderio di prendere la macchina e partire. Guardai i vestiti appoggiati malamente sulla poltrona. Mi alzai, li indossai, presi le chiavi e uscii. Non c’era nessuno per strada e, mentre guidavo e fumavo una sigaretta dietro l’altra, alternavo momenti di eccitazione a momenti di razionalizzazione. Ma più pensavo che fosse una pazzia e di dover tornare a casa, più spingevo sull’acceleratore. Arrivai a Venezia che ormai cominciava ad albeggiare. Dopo aver parcheggiato, mentre camminavo in direzione della casa di Fulvio, mi assalivano pensieri discordanti. Mi fermai in un bar che aveva appena aperto, il barista ancora assonnato mi fece il caffè e avrei voluto dirgli cosa stavo facendo. Mentre pagavo pensai “Devo essere pazza!”. Uscii. Camminai velocemente, con la sensazione di essere in ritardo, con il timore che non mi aspettasse, che credesse che non sarei andata. Arrivai in breve davanti al numero 18. Un sospiro e suonai. La porta si aprì in un attimo: mi stava aspettando. Salii le scale con il cuore in gola. Ero lì, davanti alla porta. Nessuno spioncino, quindi non mi stava guardando. Chiusi gli occhi un attimo dopo avere preso tra le mani la benda rossa che era legata alla maniglia. La indossai, mi spogliai. Tenni solo le calze, senza le autoreggenti mi sentivo a disagio. Sentii la porta aprirsi, tremavo. Mi prese una mano per guidarmi, non disse nulla. Mi sentii all’interno di un ambiente caldo, avevo la sensazione di uno spazio ampio. “Devo essere impazzita…” sussurrai. “Ssssstt…”, non disse altro. Chiuse la porta e mi lasciò la mano. Ero nuda e lo sentivo alle mie spalle, mi sentivo il suo sguardo addosso. Mi sfiorò la schiena, con un dito credo, da farmi rabbrividire. Prese di nuovo la mia mano e mi accompagnò per qualche passo. Mi fece sedere su un tavolino, basso, imbottito di pelle. Si allontanò. Ero in un vortice di ansia, paura, eccitazione. Sentii spostare i capelli dal mio collo e una bocca accarezzarmi il collo, poi baciarlo. Labbra calde, lingua delicata scorrere sulla mia pelle. Abbandonai la testa all’indietro e prese a baciarmi e leccarmi con più audacia, scendendo sui capezzoli turgidi ed eccitati. Non potevo nascondere l’eccitazione e non volevo. Era la sua bocca che volevo. Succhiò e leccò i miei seni come nessuno aveva mai fatto, alternando carezze con la lingua a piccoli morsi con denti affamati. Stendendomi, piegai e spalancai le gambe appoggiando i piedi sul tavolino. Entrò dentro di me subito con la mano, due dita, forse tre. Ebbi un sussulto sentendo le sue dita affondare dentro di me, entrare senza nessuna resistenza, scivolare fino in fondo, bagnato dalla mia eccitazione. Le sue dita mi massaggiavano dentro, spingendo con forza mentre la sua bocca si faceva sempre più aggressiva sui miei capezzoli. Mi accarezzava un seno e mangiava l’altro. Ero talmente eccitata che non riuscii a trattenere il primo orgasmo. Mi sentii bagnare ancora di più. Non smise. Continuò a toccarmi dentro e la sua bocca non si staccava dal capezzolo del seno destro. Sembrava avere mille mani: con una mi penetrava ancora con forza, come se non si fosse accorto del mio orgasmo, senza cambiare ritmo. Con l’altra mi toccava ovunque. Ero persa, completamente abbandonata alla sensazioni da non capire più cosa mi stesse facendo. “Entrami dentro, ti prego” avevo voglia di essere scopata. “Ssssstt…” senza staccare la bocca dal capezzolo. Prese la mia mano e la portò al mio clitoride. Non aspettavo altro: cominciai a masturbarmi mentre sentivo stimolare ogni cm del mio corpo, di nuovo pareva avere mille mani. Arrivai a godere di nuovo. Ero stremata. Abbandonata sul tavolo e tolse la mano e si staccò completamente da me. Sentii avvicinare qualcosa alla bocca mentre delicatamente una mano mi alzava la testa. Un bicchiere. Vino rosso. Bevvi. Mentre deglutivo lo sentii prendere i miei polsi, contemporaneamente e legarli, fissarli al tavolo. Ebbi un attimo di smarrimento ma prese a baciarmi in bocca, affamato di me. La sua bocca calda, bagnata e aggressiva mi eccitava da impazzire e sussultai di nuovo sentendomi prendere le caviglie. Legate al tavolo, anche quelle, con le gambe piegate e spalancate. Ero sua. Completamente. Non potevo muovermi. Mi leccava le labbra, mi penetrava la bocca con lingua decisa e arrogante. Entrò dentro di me in un colpo. Doveva essere molto dotato perché lo sentii farsi spazio dentro me come fosse enorme. Una sensazione piacevolissima, mi sentivo piena e legata a quel modo ero ancora più eccitata. Mi sbatteva come fossi sua proprietà, come se volesse rompermi. Desideravo masturbarmi ma le stringhe ai polsi me lo impedivano. Continuava a penetrarmi la bocca con la lingua e stavo per godere di nuovo, quando sentii una bocca appoggiarsi su un capezzolo ed iniziare a succhiare. Nello stesso momento una mano prese ad accarezzarmi intensamente il clitoride. Ero stordita di eccitazione. Due bocche erano sul mio corpo e due mani, forse tre, mi accarezzavano mentre assorbivo i colpi desiderando di allargarmi ancora di più. Un orgasmo, e poi un altro subito, mentre non capivo più quante mani e quante bocche avessi addosso. Continuava a scoparmi, con forza, durissimo. Sentivo più voci ansimare, senza mai parlare. Allontanò la bocca dalla mia e subito la sentii un pene riempirla. Era caldo, duro come quello che mi stava scopando. Emanava odore di sesso, di donna direi, anche se non era quello che mi stava penetrando, non era mai uscito. Cominciai a succhiarlo e leccarlo, assecondando i suoi movimenti, bagnandolo di saliva per sentirlo scorrere sulla lingua. Lo volevo fino in gola e parve capirlo perché iniziò a spingere, sbattendo contro la gola fino a togliermi il respiro. Non mi chiesi più niente, non sapevo quante persone ci fossero, vivevo semplicemente le sensazioni che sentivo. Godetti più volte, tra mani che mi accarezzavano, peni che mi penetravano, bocche che mi succhiavano. D’improvviso tutto finì. Si staccarono tutti simultaneamente, lasciandomi sull’orlo di un orgasmo che stava arrivando molto intenso. Ebbi un attimo di panico. Sapevo che mi stavano guardando. Sentii avvicinare qualcuno alla bocca, una gamba, liscia. La leccai, alzando la testa per raggiungere l’inguine anche se non capivo se stessi leccando l’interno o l’esterno. Si appoggiò sulla mia bocca e, spostando il viso verso quello che capivo essere l’interno di una coscia, la mia lingua si bagnò appoggiandosi a quelle che capii subito essere grandi labbra. Una donna. Continuai a leccare e lei si abbandonò alla mia bocca, mentre una bocca si appoggiava su di me leccandomi a sua volta. Pensai che fosse un uomo. Con la lingua accarezzavo il clitoride come fosse il mio, lo leccavo con la lingua larga ed accogliente, raccogliendo i suoi umori che continuavano a scendere tra le grandi labbra. Ebbe un orgasmo e la sua eccitazione, eccitò me ancora di più. Mi prese la testa tra le mani, spingendola verso di sé, il mio viso era completamente bagnato di lei. Si spostò dopo aver goduto sul mio viso e sentii una lingua leccarmi la faccia, raccogliendo gli umori rimasti ai lati della mia bocca. Sentii sciogliere le stringhe ai polsi e alle caviglie e qualcuno mi fece alzare, delicatamente. Mi fece inginocchiare sul tavolino e, in un attimo appena mi sentii penetrare con forza da dietro. Con colpo deciso entrò in me, non era lo stesso di prima, ne ero sicura. Iniziò a sbattermi con violenza ma non sentivo dolore. Desideravo che lo facesse con ancora più forza. La donna prese a baciarmi, delicatamente, leccandomi le labbra e la lingua con intensità e calore. Alzandosi lentamente, si fece scorrere la mia bocca sul collo fino a mettere un capezzolo nella mia bocca, che cominciai a leccare e succhiare con avidità. Sentivo colare liquido caldo tra le mie gambe e non capivo se avesse goduto l’uomo che mi stava penetrando o se fosse frutto della mia intensa eccitazione. Una mano cominciò ad accarezzarmi le natiche e stimolarmi l’orifizio anale, bagnandosi le dita tra le mie cosce. D’improvviso un colpo deciso, uno schiaffo su una natica, che mi eccitò ancora di più. Sentii qualcuno accovacciarsi su di me, sulla mia schiena e spingere sul buco. L’uomo che mi stava scopando rallentò un attimo mentre il secondo uomo spinse ed entrò in me, provocandomi un forte dolore. Gridai, togliendo la bocca dal seno della donna, ma lei mi prese per i capelli e premette la mia testa contro il suo capezzolo. Qualcuno schiaffeggiò di nuovo la mia natica mentre i due uomini presero a penetrarmi insieme con forza. Il dolore si trasformò in un attimo, divenne subito eccitazione incredibile. Mi sentivo sfondare, non capivo più da che parte arrivasse il piacere, mentre una mano prese anche a masturbarmi. Arrivò un orgasmo fortissimo, credevo di morire e dalla mia vagina uscì liquido copioso. Una mano prese a massaggiare il mio liquido sulle mie gambe mentre i due continuavano ad affondare nel mio corpo, completamente abbandonato e disposto ad accettare qualsiasi stimolo. La donna si spostò e un altro pene riempì la mia bocca. Tre uomini quindi. Ero su quel tavolo, in ginocchio, riempita in ogni orifizio possibile e mi eccitava da impazzire essere usata in quel modo. Qualcuno continuava a schiaffeggiarmi le natiche di tanto in tanto e, questo improvviso distrarmi dalle sensazioni della penetrazione, era piacevole ed eccitante. Orgasmi ripetuti, li sentivo uscire e rientrare in me, mentre le mani delicate della donna accarezzavano la mia schiena. Godemmo, godettero anche loro, tutti dentro di me, uscendo subito dopo. Presero a leccarmi ovunque, raccogliendolo sperma del loro piacere e del mio. Mi fecero girare e mi ritrovai di nuovo stesa sul tavolo. Lei mi mise il suo pube sul viso, era bagnatissima, volevo vederla penetrata ma non chiesi di togliere la benda, volevo stare nel mio mondo, temevo che mi sarei frenata se li avessi guardati negli occhi. Infilai due dita dentro di lei mentre con la lingua larga accarezzavo il suo clitoride. Nessuno mi stava più toccando, sentivo che mi stavano guardando. La penetrai con forza e presi a massaggiarla dentro. Volevo il suo piacere e la leccai e succhiai finché la sentii fremere ed ansimare. Spinsi più intensamente dentro di lei, e lei gridò stringendo le gambe e contraendosi, mentre dalla sua vagina spruzzò un caldo liquido sul mio viso. Mi accarezzò il viso bagnato e mi baciò prima dolcemente, poi mi morse lievemente un labbro. Sussurrò: “Brava bambina…”. Le prime parole che sentii in quella stanza da quando ero entrata. Mi fece alzare e mi accompagnò per qualche passo. Mi fece abbassare come a farmi sedere e sentii il contatto con le gambe di uno degli uomini. Cercai di sistemarmi sedendomi in braccio a lui, dandogli le spalle. Era seduto su un divano e mi guidò. Sedetti su di lui lasciandolo scivolare dentro di me, tra le mie natiche, nell’orifizio ancora aperto. Mi appoggiai a lui con la schiena contro il suo busto e subito qualcuno davanti a me prese a leccarmi il clitoride, intanto che mi muovevo sull’uomo che mi stava penetrando. Pensavo agli altri che mi stavano guardando e stringevo i miei capezzoli, sempre più forte, avrei voluto strapparli. La bocca si staccò dal mio clitoride e qualcuno entrò dentro me, stavano di nuovo scopandomi in due. Godetti dopo pochi minuti, il tempo orami non esisteva più. Mi fecero sedere sul divano, mi lasciarono lì. Mi stesi. Non mi importava più nulla, ero appagata e soddisfatta, volevo vivere di queste sensazioni. Dopo qualche minuto, forse decine di minuti, lei si avvicinò a me e prese ad accarezzarmi il viso, dolcemente, a baciarmi, a leccarmi le orecchie, il collo e di nuovo i capezzoli. Mise una mano tra le mie gambe, ero sicura fossero le sue. La delicatezza era inconfondibile. Mi lasciai coccolare, toccare, entrare dentro. Ormai mi sentivo senza tono, i miei pertugi erano aperti e non opponevano alcuna resistenza. Mi baciava e mi toccava. E io mi stavo bagnando ancora. Spinse dentro due dita, poi tre, poi sentii la mano intera oltrepassare le ossa del pube ed ebbi la sensazione di inghiottirla. Arrivò un orgasmo lento e intenso, mentre la baciavo in bocca come con un uomo non avevo mai fatto. Si allontanò da me, sentivo voci provenire da una stanza a fianco, senza poter distinguere quante persone potessero essere e nemmeno le loro parole. Dovevano aver chiuso la porta. Rimasi immobile, senza chiedermi niente. Per un attimo pensai che avrei voluto alzarmi ed andarmene, ero sfinita. Ma non lo feci. Mi addormentai. A risvegliarmi fu il contatto di mani che mi aprivano le gambe. Senza una parola, ancora. Stavano usando il mio corpo per il loro piacere, provocando piacere a me. Era una situazione strana, diversa, forse pericolosa ma non la avvertivo come tale, anche se ogni stimolo diverso che sopraggiungeva senza che io me lo aspettassi era una provocazione, un’invasione, un cambiamento ma sempre incontrollato ed inaspettato. Mi sentivo completamente abbandonata al loro volere e, contrariamente a quanto la logica avrebbe previsto, mi sentivo al sicuro. Una mano stava accarezzando il mio clitoride che rispose immediatamente allo stimolo. Era eccitato, gonfio, lo sentivo pulsare, desideravo che me lo succhiassero. Era abile la mano che mi stava masturbando, piacevole, calda, lenta. Pochi attimi dopo una sensazione di freddo intercalata alla carezza delle dita: ghiaccio. Chi mi stava toccando alternava carezze e pressioni con le dita a carezze e pressioni con un cubetto di ghiaccio. La mia pelle rabbrividiva in risposta all’alternanza ma non era il ghiaccio a provocarla, era eccitazione, ancora. Non sapevo se fosse un uomo o una donna, le carezze erano gentili ed intense. Faceva scivolare il ghiaccio dal clitoride alla vagina e con la lingua lo spingeva dentro per andare poi a cercarlo. Sentivo il ghiaccio sciogliersi dentro di me e quella bocca che andava a recuperarlo mi dava sensazioni sconosciute. Durò a lungo questo gioco, in cui sfioravo continuamente l’orgasmo senza mai raggiungerlo. Dentro di me pregavo che non si fermasse, avrei voluto che continuasse all’infinito. Continuò a baciarmi il clitoride tenendo un cubetto di ghiaccio in bocca. Me lo baciava alternando sapientemente la lingua al ghiaccio, poi portava il cubetto nella mia vagina con la bocca e lo spingeva dentro con la lingua. Mi stava riempiendo di ghiaccio, che sentivo sciogliersi e mescolarsi ai miei umori. D’improvviso, persa in queste sensazioni, sentii stringere un capezzolo da una cosa fredda: una pinza pensai. Faceva male. Mi eccitava. Anche l’altro fu presto stretto in quella morsa di metallo. La bocca si era fermata, allontanata. Ero piena di ghiaccio e i capezzoli stretti. Allungai le mani per toccarmi ma qualcuno me le prese e mi girò, facendomi sporgere il bacino dal divano, alzandomi le gambe. Sentivo l’acqua colare, uscire dalla mia vagina e una bocca si chinò a leccarmi per asciugarla. Sentivo ancora ghiaccio dentro e qualcuno iniziò a scoparmi, con forza. Il cazzo durissimo spingeva il ghiaccio fino in fondo. Lo sentivo premere e ogni volta che usciva desideravo impaziente che rientrasse, spingendo più forte. Mi girò, mi fece inginocchiare con il busto sul divano e mentre ancora liquido freddo colava dalla mia vagina, si appoggiò e affondò tra le mie natiche. Il dolore fu intenso e gridai, ma mi mise una mano sulla bocca continuando a spingere e tirandomi la testa verso di sé, stringendomi per i capelli. Sentivo il suo respiro affannato sul mio collo, i capezzoli indurirsi nonostante la presa, la vagina pulsare, calda, ancora più gonfia forse per la reazione al ghiaccio, desiderosa di essere riempita. Godetti di nuovo mentre lui, dopo qualche colpo molto violento, uscì per sborrarmi sulla schiena. Mi abbandonai esausta, restando così, in ginocchio, mentre una bocca stava leccando lo sperma sulla mia schiena. Quella stessa bocca venne a leccarmi le labbra, bagnandole di saliva e sperma, quasi fosse un dono di ricompensa. Rimasi così, inerte, quando mi presero in due e mi fecero scivolare prona a terra. Le morse ai capezzoli ora facevano male. Schiacciati sul pavimento sembravano bruciare. D’improvviso una sensazione di calore intenso sulla schiena, piccoli tocchi di caldo bruciavano la mia pelle intanto che qualcuno aveva preso a leccarmi le natiche. Mi alzò il bacino mettendomi in ginocchio. Ero completamente aperta davanti ai loro occhi e continuavano ad intervalli a farmi qualcosa che mi dava la sensazione di scottature, cera forse, che colava sulla mia pelle. Entrarono dentro di me, ancora una volta. Un uomo mi scopava mentre un vibratore spingeva contro il mio muscolo anale cercando di allargarlo. Doveva essere enorme, al punto che il pene di chi mi stava scopando sembrava piccolissimo. I capezzoli che si inturgidivano stretti nelle morse sembravano scoppiare. Urlai di piacere, mentre la mano sapiente riuscì a far entrare il vibratore spingendolo subito fino in fondo. Mi lasciarono lì. Esanime. Ero arrivata a pensare che forse sarei morta, lì, nelle loro mani, ad uso del loro piacere. Ma non me ne importava niente. Mi addormentai di nuovo. Riaprii gli occhi solo dopo ore. Non avevo più la benda. Ero stesa su un letto, la stanza era semibuia, la porta chiusa. Ero sola. Mi alzai a fatica dal letto, ero ancora nuda e sul mio corpo piccole tumefazioni, soprattutto sui seni e sul ventre. I capezzoli mi facevano male solo a sfiorarli. Respirai profondamente e aprii la porta che dava su una sala molto ampia e luminosa. Era un loft, elegante e raffinato. Non c’era nessuno. Nessun rumore. Sul divano erano distesi i miei vestiti e le mie calze, che qualcuno doveva avermi tolto. Mi avvicinai all’unica porta che c’era, a fianco di quella d’entrata. Aprii la porta ed entrai in bagno, quasi sollevata di non trovarci nessuno dentro. Feci una doccia, c’era un solo accappatoio piegato sul mobile da bagno, fresco di bucato e un asciugamani. Tornai nella sala, mi vestii e solo dopo qualche minuto mi accorsi che c’era un biglietto accanto alle calze. “Sei stata brava. Domani torni. Alle 22 devi essere qui”. Mi buttai sul divano, quasi sconvolta da quelle parole. Rimasi lì, non saprei per quanto tempo, forse speravo che arrivasse qualcuno. Mi guardai un po’ in giro per capire se quella fosse davvero casa di Fulvio. Ma non c’era nulla che facesse pensare a lui: non una foto, non un indumento in giro, nulla di nulla. Un appartamento asettico. Mi alzai, presi la mia borsa che avevano appoggiato sul tavolo basso di fronte al divano, doveva essere quello su cui mi ero stesa io poche ore prima. Guardai l’orologio, le 19: avevo dormito un sacco di tempo. Uscii, chiudendo quella porta alle spalle con una sola certezza: non sarei tornata. Mi affrettai lungo le scale e anche durante il tragitto per riprendere la macchina. Volevo solo tornare a casa. Durante il viaggio ripensai alle ore trascorse, al piacere provato, all’intensità delle sensazioni. E man mano che scorrevano i km sembrava allontanarsi la realtà di quanto avevo vissuto. Rientrai a casa. Fulvio non mi cercò né quel giorno né mai più. Quella stessa sera uscii a cena con qualche amico e guardando l’orologio alle 22 sorrisi. Era stata un’esperienza intensamente piacevole. Non l’avrei ripetuta. Oggi rivederlo per caso mi riporta alle mille domande che mi sono posta nei giorni seguenti. Non era stato facile razionalizzare quello che era successo, più che altro perché mi ero assoggettata a lui al punto di lasciarmi usare in qualsiasi modo ma senza mai sapere, in effetti, se anche lui fosse stato tra quelle persone, se mi avesse toccata, se mi avesse penetrata o se mi avesse solo guardata. Ma adesso basta pensare a Fulvio, devo preparare la cena per Angela!! Entro in doccia e mentre mi insapono, sfiorarmi i capezzoli mi ricorda le morse di quella sera. Il ricordo di quel turbinio di sensazioni, la bocca e la mano di quella donna… mi abbandono alle mie mani con il desiderio di sentire le sue sul mio corpo, mentre Fulvio guarda, attento. Mi accarezzo piano, mentre l’acqua scorre sulla mia pelle, fino a godere, pensando alla mano di quella donna che sprofondava in me, affondando oltre le ossa pubiche. Esco dalla doccia, indosso una maglietta e un paio di slip. Accendo la musica intanto che inizio a preparare qualcosa per cena. Mancano ancora un paio d’ore, posso fare con calma. Preparo carne e verdure, le metto a cuocere in forno e mi dedico a leggere un libro che ho comprato la settimana scorsa. Mi addormento, senza rendermene conto e a svegliarmi è il trillo del campanello. “Chi è?” chiedo al citofono. “Sono io Livia, Angela!” Caspita, sono le 20… ho dormito come un sasso! “Entra Angela, vieni. Scusami se sono così, ma ho fatto la doccia e mi sono addormentata mentre leggevo un libro.” “ Non preoccuparti Livia, per me fa nulla, vai benissimo così!” L’odore nell’aria è intenso ma non di bruciato, deve essermi andata bene. Angela mi segue in cucina, appoggiando la borsa sulla panca e una bottiglia di vino rosso sul piano della cucina. Apparecchio la tavola intanto che Angela mi racconta delle sue vacanze e mentre levo la teglia dal forno distrattamente mi scotto il palmo della mano. Sono sempre la solita! La serata trascorre piacevole, parliamo di mille cose. Dopo cena ci sediamo nel mio studio, faccio vedere ad Angela qualche foto scattata di recente a Oslo. “Ti va un goccio di whisky Angela?” “Si dai… magari con un po’ di ghiaccio…” Il pensiero del ghiaccio mi riporta a Fulvio. Mi sento di nuovo girare la testa al pensiero che sia qui e che potrei incontrarlo di nuovo in qualsiasi momento. Vado in cucina e torno nello studio con la vaschetta del ghiaccio e i bicchieri . Ne porgo uno ad Angela e mi siedo accanto a lei sul divano. Metto ghiaccio nel bicchiere di Angela e anche nel mio, ma faccio per infilarmi un cubetto in bocca quando mi scivola dalle mani e si infila nella maglietta. “Non toglierlo!” mi dice Angela. La guardo con aria interrogativa. Angela si avventa su di me e infila una mano tra i miei seni a cercare il ghiaccio mentre appoggia le sue labbra alle mie e infila la lingua a baciarmi, come se stesse aspettando questo momento da sempre. La lascio fare, rispondo al bacio con tutta la passione che ho addosso dopo aver rivisto Fulvio. Prende il cubetto di ghiaccio e tenendolo tra le dita mi sfiora delicatamente un capezzolo, rendendolo turgido, e poi se lo mette in bocca. Continuiamo a baciarci, passando il cubetto dalla mia bocca alla sua finché si scioglie completamente, mentre Angela mi accarezza un seno, sopra la maglietta. La sua bocca scende, baciandomi il collo e leccandomi, fino a poggiarsi su un capezzolo. Lo lecca e lo succhia intanto che sento l’eccitazione crescere. Infilo una mano sotto la sua gonna, accarezzandole un coscia e salendo verso l’inguine. E’ calda la sua pelle, liscia e delicata. La desidero, la voglio. Mi alzo e mi inginocchio davanti a lei, la prendo per le natiche per farla scivolare attirandola verso il mio viso. E’ eccitata Angela, mi guarda dritto negli occhi aspettando che io la tocchi. Le alzo la gonna sui fianchi, la tiro verso di me e mentre la guardo negli occhi appoggio la mia bocca sulla sua coscia. Inizio a leccarla e baciarla lentamente, salendo verso l’inguine. Sposto delicatamente lo slip, è bagnatissima. Appoggio la bocca sul suo clitoride, abbracciandolo con le labbra e succhiandolo, dandole piacere immediato tanto è che la sento fremere e godere subito. “Eri eccitata eh?! …avevi voglia della mia bocca…” Angela annuisce con gli occhi, sorridendomi maliziosa. Infilo di nuovo la testa fra le sue gambe assaporando il suo piacere e infilo due dita dentro di lei… Voglio farla godere, con tutta la passione che mi è tornata a pelle dopo aver visto Fulvio. Le emozioni non tornano. Ti restano dentro. Questo racconto è stato tradotto e pubblicato in UK nell'antologia: http://www.deastore.com/book/la-dolce-vita-maxim-jakubowski-perseus-books/9780762448487.html |
Grazia ScanaviniArchives
Dicembre 2016
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