Sono seduta al tavolo della cucina, sto bevendo un caffè, appena uscita dalla doccia. Indosso ancora l'accappatoio.
Suona il campanello. "Salve! È lei Grazia Scanavini?" "Sì salve, entri!" "Grazie... dove mi appoggio?" "Dove preferisce... Vuole un caffè?" "Grazie, lo prendo con piacere, anche se sono di fretta..." "Ci metto un attimo guardi..." Mi apparto in un angolo, girandogli le spalle per stringere meglio la cintura dell'accappatoio allentata. Percepisco la sua presenza dietro di me. Inconfessabile l'eccitazione che mi prende quando un corriere mi entra in casa, non riesco a trattenermi! Beve il caffè in piedi, farfuglia qualcosa ma nemmeno lo sento mentre io con il tagliacarte sto già aprendo il pacco che mi ha consegnato. Gli attimi a seguire sono confusi, frenetici, e mi ritrovo seduta con la cinta dell'accappatoio allentata. Le gambe dischiuse. Lui tra le mie grandi labbra. Mi prende il lato giocoso... lui è il mio gioco oggi! Guardo l'orologio. Vediamo quanto ci mette a farmi godere perché la sfida non è semplice: portare a godere una donna senza usare le mani, senza penetrarla, senza toccarle i seni... ha solo la mia clitoride. In un attimo la mente è già altrove, trasportata da quella piacevole sensazione che solo sentire la clitoride completamente avvolta può darti. Ma questo non scherza, ci sa fare davvero! Impossibile controllare le contrazioni con quella sensazione di delicata ma intensa suzione... non capisco come faccia ma non mi importa, ho già il respiro affannato... Lo sfioro e lui aumenta il ritmo. Più lo tocco, più il piacere aumenta. Premo la testa verso il mio bacino e non riesco a trattenere l'orgasmo. Uno dei più intensi mai provato... mai successo di arrivare a squirtare con la sola suzione della clitoride. Dischiudo gli occhi lentamente, ascolto il battito del cuore diffuso a tutto il corpo. Guardo l'orologio mentre ancora mi tremano le gambe... ventuno secondi! WOW! Prendo il telefono e scrivo a Raffaella: "Senti ma questo che mi hai mandato da dove salta fuori?! È un portento!" e intanto di nuovo suonano al campanello. Mi risistemo in fretta, asciugo velocemente a terra e ho le gambe ancora tremanti mentre vado ad aprire la porta... "Scusi Signora, ho dimenticato qui le chiavi del furgone?" Guardo sul tavolo..."Ah sì scusi, non me ne ero accorta!" Ho impiegato meno tempo io a godere con WOMANIZER che il corriere ad accorgersi di aver dimenticato le chiavi! ;) #WOMANIZER
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Era strano quella sera, lo sentivo in agitazione; non nervoso, semplicemente avvertivo uno strano fervore nel suo modo di muoversi per casa . Da quando era rientrato gli avevo già chiesto almeno un paio di volte cosa stesse succedendo, ma lui sorrideva tranquillo semplicemente sussurrando: “Niente, una cosa per te.” Appena entrò in doccia, presi ad osservarmi in giro. Ogni tanto mi porta un fiore e lo lascia appoggiato sul ripiano della cucina, sulla mensola di vetro sotto lo specchio del bagno, a terra davanti all’entrata o sul tavolo del mio studio; e succede che io, presa da qualche faccenda o distratta dalla preparazione di qualche corso o di qualche articolo importante, non me ne accorga. Non lo faccio per poca considerazione ma solo perché quando mi concentro per un lavoro che mi prende molto, perdo il contatto con la realtà. Niente, non c’era niente. Mentre ancora Alessandro era in bagno, lo avevo sentito parlare al telefono e distrattamente avevo percepito un “A dopo.” che mi aveva lasciata stupita, non sapevo dovesse uscire. Stavo preparando la cena quando uscì dal bagno. “Che bello ti sei fatto! Barba, capelli… dove vai questa sera?” ammiccai con ironia tendenziosa, sorridendo. “Da nessuna parte, solo per te.” Sorrise, sembrava divertito. Cenammo in terrazza, allegramente. Il cielo di fine Maggio quella sera offriva un tramonto luminoso e caldo. La lieve brezza era piacevole sulla pelle. Restammo in terrazza ad ascoltare musica dopo cena, a goderci il lento tramontare del sole e il crescendo della luminosità della luna che pareva essere piena. Alessandro si alzò per prendere whisky e bicchieri, e io per farmi una doccia veloce. Amavo fare la doccia sapendo che lui mi aspettava rilassato sulla poltrona del terrazzo, con il bicchiere in mano e il sigaro che gustava lentamente, portandolo alla bocca come fosse cosa preziosa. Quando uscii in terrazzo, mi guardò intensamente mentre aspirava fumo e sorrise espirandolo, portando il bicchiere alla bocca con il fare di chi sa dove sta andando. Ancora avvolta nell’asciugamano, andai a sedermi sulla poltrona di fronte a quella dove sta seduto lui, allungando una gamba per appoggiare il piede tra le sue e raccogliendo l’altra al petto. Mi piaceva sedermi davanti a lui in modo che vedesse il mio sesso aperto con naturalezza davanti ai suoi occhi. Era eccitato, lo sapevo; lo sentivo quando in testa sua aveva già deciso che mi avrebbe avuta. E come sempre, la sua sicurezza eccitava me. Mi dava quella sensazione del non potermi esimere dal suo desiderio. Non che fosse una costrizione, tutt’altro, semplicemente un gioco di tensioni che mi faceva sentire il fulcro del suo desiderio e mi eccitava da impazzire. “A cosa stai pensando dolcezza?”. Aveva un tono avvolgente. ”Mi sto godendo la tua eccitazione.” Sorrisi accendendomi una sigaretta. “E cosa ti fa pensare che io sia eccitato?” Ora il tono era caldo e tendenzioso. “Lo sei da quando sei rientrato… la cosa strana è che tu non ci abbia ancora provato!” lo schernii ridendo. “Non mi va di scoparti adesso.” E abbassò lo sguardo, sempre sorridendo. “Ah no?!” “No!” Prese il piede che avevo appoggiato sulla sua poltrona, lo accarezzò, lo sfiorò con la bocca e lo appoggiò sul bracciolo della poltrona, allargandomi le gambe e inginocchiandosi davanti a me. Avvicinò piano le labbra alle mie cosce, percorrendole delicatamente fino a sfiorarmi le grandi labbra. Mi distesi sulla poltrona, avvicinando il bacino al bordo della seduta per offrirmi in maniera più completa. Continuavo a fumare e lui prese ad accarezzarmi lentamente con la lingua le grandi labbra, sfiorando sapientemente solo di tanto in tanto le piccole labbra e il clitoride. Sapeva come scaldarmi, sapeva che avrei sussultato ad ogni piccolo tocco. Io fumavo e lui mi leccava, guardandomi negli occhi. Sapeva che mi piaceva che mi leccasse mentre fumavo. Mi faceva sentire la padrona del mondo guardarlo con le labbra immerse nel mio piacere mentre io fumavo e godevo, godevo e fumavo. Gli chiesi di infilare una mano dentro di me ma alzò il viso e fece cenno di no con la testa, guardandomi fissa negli occhi e sorridendo, in segno di sfida giocosa. Alzai il tono della voce: “Mettimi dentro quella mano, fammi godere come piace a me”. Di nuovo fece cenno di no con la testa, allo stesso modo e immerse di nuovo il volto tra le mie gambe, portandomi a godere e lasciandomi sfinita, abbandonata sulla poltrona. Dopo qualche istante, quando aprii gli occhi, Alessandro era ancora inginocchiato tra le mie gambe e mi stava osservando. Aveva uno sguardo accogliente e compiaciuto. Mi accarezzò una gamba e si alzò, prese il bicchiere poggiato sul tavolino e bevve un sorso di whisky. Voleva scoparmi forte adesso, ne ero sicura. Mi aveva portata al massimo dell’eccitazione, senza indurmi al piacere completo, per poi goderne insieme. Mi accomodai meglio sulla poltrona ma Alessandro si incamminò verso la vetrata e mentre oltrepassava la porta per rientrare in sala disse: “Esco.” “Come esci? Dove vai?” ero incredula e stranita dal suo comportamento. “Faccio un giro. Non aspettarmi sveglia.” “Ma che succede? Ale?” Non rispose. Mi alzai e mentre mi incamminavo per raggiungerlo, lo intravidi prendere le chiavi sul tavolo e sentii la porta sbattere. Forse non l’aveva sbattuta, ma nello stato d’animo in cui ero, mi sembrò che la chiudesse con rabbia. Guardai fuori dalla finestra: stava già salendo in macchina. Mise in moto e partì bruscamente. Lo guardai allontanarsi, stava guidando nervosamente. Ma che era successo? Presi il telefono e lo chiamai, ma non rispose. Provai di nuovo. Segreteria telefonica. Tornai in terrazzo, accesi una sigaretta e, seduta sulla poltrona, rimasi almeno un paio d’ore a riflettere, a chiedermi cosa lo avesse turbato. Di tanto in tanto provavo a richiamare ma non mi rispose: una volta era occupato, le altre suonava a vuoto. Gli scrissi un messaggio chiedendo cosa fosse successo. Rispose semplicemente: “Tranquilla, non succede nulla, avevo voglia di farmi un giro. Mi vedo con Giorgio. Vai a dormire. Un bacio”. Era successo in passato che qualche volta si comportasse così, soprattutto quando qualcosa non andava al lavoro, ma era la prima volta che aveva un cambio di umore così repentino senza spiegarmi nulla, e soprattutto in un momento di intimità in cui niente lasciava pensare che ci fossero problemi. Rientrai in casa, cominciava a fare freddo e, dopo aver sfogliato una rivista e fatto un po’ di zapping con la televisione, me ne andai a dormire. Non riuscivo a prendere sonno. Mi alzai, mi versai un po’ di whisky e mi portai il bicchiere a letto. Stavo lì, nella penombra della camera da letto, illuminata appena dalla luce che filtrava dalla finestra. Mi rigirai nel letto, non so per quanto tempo, e scivolai in un sonno agitato senza accorgermene, presa da mille domande e da pensieri contrastanti. Sentii sfiorarmi la schiena dalla sua mano calda. Mi accarezzava, forse già da qualche minuto e quando mi girai per guardarlo in viso, mi accarezzò le labbra e mi chiese piano: “Stavi dormendo, eh?” “Sì…” “Bene… Adesso sogniamo…” Aveva tra le mani una benda nera, il che mi stupì molto perché non avevamo mai usato bende agli occhi. Me la sistemò sul viso e strinse forte, allacciandola dietro la nuca. “Ci vedi?” mi chiese mentre mi sfiorava un capezzolo. “No… “ “E ti piace a giudicare da come reagisci…” Nonostante fossi ancora intontita, i miei capezzoli erano turgidi. Il mio corpo era già eccitato, così come la mia testa. Lo sentii alzarsi dal letto, andò ad accendere lo stereo e il volume era piuttosto alto. Non potevo né vedere, né sentire i suoi movimenti all’interno della stanza. Lo sentii sussurrare vicino al mio orecchio: “Toccati!” Spostai il lenzuolo dal mio corpo, volevo che mi vedesse interamente. Doveva aver acceso delle candele perché percepivo una luce fioca oltre la trama della benda. Voleva guardarmi. Inumidii un dito infilandomelo in bocca, anche se non ce ne sarebbe stato bisogno: ero già bagnata di eccitazione. Spalancai le gambe, come sapevo che a lui piaceva, per mostrarmi completamente sua, dannatamente sua. Sapere che stava li a guardarmi mi eccitava da impazzire. Forse era in piedi, appoggiato al muro, o forse si era seduto sulla poltrona nell'angolo opposto. Forzai ulteriormente l'apertura delle gambe, doveva vedermi bene, ovunque si trovasse, volevo che i suoi occhi catturassero ogni minimo movimento del mio dito che aveva preso a carezzare languidamente il clitoride, muovendosi lentamente ma premendo forte: mi piace sentirlo toccare in modo deciso. Stringevo forte le grandi labbra con le mani allargandole, tirandole, che sentivo le unghie insinuarsi nella pelle. Sapevo quanto lo eccitasse vedere le mie unghie rosso scuro tirare la carne per mettere in mostra il clitoride, per farlo uscire completamente. Ormai ero al culmine del piacere, stavo raggiungendo l’orgasmo, quando sentii Alessandro afferrarmi un piede: pensai che volesse alzarmi la gamba per penetrarmi e invece sentii le sue mani passare qualcosa intorno alla caviglia e capii subito che si trattava di una corda. Sentivo i capezzoli inturgidirsi e continuavo a toccarmi prepotentemente. Quando strinse la corda ebbi un forte orgasmo ma non smisi di toccarmi, volevo continuare a godere. Quando mi strattonò la gamba, per fissarla al piede del letto, gridai di piacere talmente intenso da perdere quasi i sensi. Abbandonai le braccia lungo i fianchi mentre sentivo Alessandro legarmi anche l’altra gamba al letto. Stavo ancora ansimando quando si avvicinò al mio collo sussurrando: “Sei bellissima quando godi… non pensare più a niente ora. Pensa solo a godere…”. Sentire le sue labbra sfiorare il collo mentre mi diceva quelle parole mi mandò nuovamente in estasi e ripresi a toccarmi ma dopo qualche secondo sentii le sue mani prendermi i polsi, uno dopo l’altro e legarli al letto, così come aveva fatto con le caviglie. Il cuore batteva all’impazzata. “Lasciamene una libera, ti prego.” Di nuovo si avvicinò al mio collo: “Ssssst… stanotte devi godere come voglio io…” Dopo appena un secondo sentii la sua bocca appoggiarsi ad una caviglia e salire lentamente, baciando e leccando la gamba fino a raggiungere il mio sesso, spalancato e fradicio, per nulla imbarazzato ma in trepidante attesa di essere soddisfatto. Prese a leccarmi come non aveva mai fatto. Non staccava mai le labbra, avvolgendo totalmente il clitoride e la sua lingua lo massaggiava lentamente ma con una passionalità che mai avevo sentito. Sentivo scoppiare i capezzoli mentre mi sembrava che tutto il mio essere fosse ridotto al mio clitoride e a quella bocca che sembrava assetata e succhiava il mio clitoride come se volesse farne uscire acqua per dissetarsi. Ad un certo punto infilò un dito e poi subito spinse dentro tutte le dita della mano, allargandomi con un’unica spinta. Il mio sesso era talmente bagnato che la mano si infilò dentro superando un minimo attrito dovuto al restringimento delle ossa pubiche. Mi fece male, un male che mi eccitò ancora di più. Era la prima volta che la sua mano entrava completamente, sembrava quasi fosse più piccola tanto mi ero aperta per farla entrare. Iniziò a massaggiarmi dentro proprio come piaceva a me e intanto la sua lingua continuava a leccarmi, imperterrita, calma e pressante. Stavo ansimando di piacere, ogni respiro era un grido soffocato. D’improvviso sentii abbassarsi il materasso a lato della mia testa, come se qualcuno ci fosse salito sopra. Ebbi un attimo di smarrimento e, quando senti il sesso turgido e forte di Alessandro appoggiarsi alle mie labbra, credetti di svenire. Lui si chinò su di me e mi disse: “Tranquilla tesoro… godi… non pensare ad altro. Sei bellissima, mi stai facendo impazzire… Così voglio vederti… godere di tutto il piacere possibile…”. Ascoltavo le sue parole, la sua voce, mentre sentivo quella mano esperta massaggiarmi dentro allo stesso ritmo con cui la lingua continuava a leccarmi. Mi sembrava di impazzire. Di indecisione, di incredulità, forse di imbarazzo ma di piacere allo stesso momento. Mi lasciai andare. Non pensai più a niente come Alessandro mi aveva chiesto. Accolsi tra le labbra il suo sesso, era duro come mai lo avevo sentito in tanti anni. Presi a leccarlo come sapevo che a lui piaceva e mentre lui lo spingeva nella mia gola e lo ritraeva per farmelo leccare, sentii salire un piacere tale nel ventre che gridai con tutta la voce che avevo e contrassi il bassoventre fino a sentire uscire dal mio sesso una quantità di acqua che mi sembrava non finire più. Persi i sensi. Non so quanto rimasi in quelle condizioni ma quando mi ripresi qualcuno mi stava scopando forte, come piace a me, e qualcun’altro stava succhiando un mio capezzolo mentre con la mano massaggiava l’altro seno. Mi avevano slegato le gambe e le braccia, ero libera ora, mi rimaneva solo la benda. Per un momento pensai di toglierla. Non lo feci. Per qualche minuto ancora mi sentii confusa e quasi non percepivo il corpo. Alessandro, ne riconobbi le labbra, mi baciò intensamente mentre l’altro era uscito da me, poi si allontanò anche lui. Mi sentivo stremata di piacere. Nella stanza risuonava un pezzo e ogni cm del mio corpo sembrava essere una corda della chitarra. Non c’era nessuno accanto a me, forse nemmeno nella stanza. Mi girai con la pancia sotto, mi sentivo eccessivamente nuda ed esposta in quel momento in cui la tensione era fortissima: non sapevo se fossero usciti dalla stanza o fossero lì, a guardarmi, aspettandosi magari che mi togliesse la benda dagli occhi. Restai in attesa per qualche minuto, cercando di capire se ci fosse qualcuno, di sentire se magari stessero parlando o muovendosi di là, ma la musica era troppo alta. Niente. Non riuscivo a capire se fosse tutto finito o se si trattasse di un momento di pausa. Immobilità. Staticità. Mi sembrava che il mondo fosse lontano, quasi inesistente, quando sentii la pelle di Alessandro avvicinarsi al mio viso. Mi baciò, caldamente, e mi appoggiò un bicchiere alle labbra, sollevandomi dolcemente la testa. Fece scivolare nella mia bocca un sorso di whisky. Era Ardbeg, ne ero sicura. Lo sentii accendere una sigaretta e mi fece fumare. Non avevo la forza di muovermi, mi sentivo come se fossi ancora legata. Infilò piano la sigaretta nella mia bocca, appoggiandola alle labbra, me la faceva desiderare, allungavo la lingua per farmela dare. Mentre aspiravo sentii la sua mano accarezzarmi i capelli. E una mano mi stava accarezzando la caviglia destra, salendo piano e accompagnando le carezze della mano con carezze delle labbra. Ancora lui. L’altro. Il tocco della mano lieve e le labbra calde stimolavano l’interno delle mie cosce; calde come se conoscessero perfettamente il mio desiderio, delicate e affamate allo stesso modo; imperterrite e pretenziose a salire verso la mia eccitazione. Delicatamente, con tocco quasi trattenuto, aperse le grandi labbra e sentii il clitoride desiderare di essere racchiuso da labbra, succhiato da una bocca… di chiunque fosse. Alessandro, che continuava ad accarezzarmi i capelli, mi baciò intensamente, quasi aggressivamente, proprio mentre una bocca si prendeva il mio clitoride e lo succhiava lentamente ed intensamente, come se fosse capezzolo a cui attingere per dissetarsi. Sentii Alessandro spostarsi dal mio fianco, mentre mi lasciavo trasportare dal massaggio piacevole che quella bocca alternava a momenti di suzione sfrenata. Sentii mani accarezzarmi entrambi i seni, stimolarmi i capezzoli con dita bagnate. Non capii di chi fossero le mani, non capivo più niente. Il piacere mi offuscava la mente mentre cresceva il desiderio di sentirmi penetrare. Ero talmente eccitata che non mi accorsi quasi di gridare: “ Prendimi Alessandro… Scopami… Ti prego, scopami!”. Lo chiedevo ad Alessandro ma speravo mi penetrassero entrambi. Volevo sentirmi presa, usata. Mi eccitai spasmodicamente alle mie stesse parole e all’idea di sentirmi penetrare con forza. Sbottai in un orgasmo intenso e vigoroso, sentii il corpo sopraffatto dal piacere tendersi e contrarsi ripetutamente. Ma non ebbi tempo di riprendermi. La bocca lasciò il mio clitoride dopo averlo delicatamente accarezzato con la lingua. Mi sentii sollevare e spalancare le gambe. Avevo appena goduto ma bramavo di essere scopata senza freni, e Alessandro lo sapeva, conosceva alla perfezione le dinamiche del mio piacere. Sentii la mia carne cedere e aprirsi per accogliere un’eccitazione turgida e dirompente. Non sapevo chi fosse quell’uomo ma mi era entrato dentro con un solo movimento ed ora stava penetrando la mia carne come se mi conoscesse da sempre, quasi sapesse che mi eccita da impazzire sentirmi riempire fino in fondo, e spingere. Ancora bendata, presi a masturbarmi immaginando quell’uomo che mi stava scopando e Alessandro poco più in là a guardarmi. Avevamo fantasticato mille volte su una situazione del genere, mentre facevamo l’amore. Mi ripeteva in continuazione che l’idea di vedermi scopata da un altro uomo, o più uomini, lo eccitava in maniera sconsiderata, irragionevole. Poi quando ne parlavamo fuori dal letto, la razionalità lo restituiva alla certezza di non poter reggere effettivamente a quello che avrebbe vissuto come un confronto con un altro uomo ed un affronto all’esclusività. Per un attimo mi chiesi cosa fosse cambiato, perché questa decisione, questo cambiamento. Durò un attimo appena la mia perplessità perché mentre ancora distesa sulla schiena sentivo quell’uomo affondare tra i miei umori, Alessandro si avvicinò con la bocca al mio orecchio: “Sei bellissima amore mio… Ti piace eh?!”. Annuii in maniera quasi impercettibile mentre non riuscivo a trattenere gemiti di piacere, che aumentava alla vicinanza di Alessandro. “E a me piace guardarti… sei meravigliosa… la donna che ho sempre voluto…”. Il piacere divenne incontenibile e godetti gridando in direzione di Alessandro, arrivando a sfiorare la sua guancia con le labbra. Gridai sulla sua pelle. Come a volergli trasmettere tutto il mio piacere. Mi prese la mano con la quale stavo tenendomi alla spalliera del letto e me la baciò delicatamente all’interno, mentre io ancora mi contraevo negli spasmi di piacere. L’uomo che mi aveva portata a godere uscì da me e mi resi conto che non avevo nemmeno seguito il suo esserci, non sapevo se avesse goduto oppure no, la mia testa era completamente concentrata sul piacere che provavo e il desiderio di trasmetterlo ad Alessandro. Trascorse un attimo appena quando la voce di Alessandro mi invitò ad alzarmi. Ero confusa ma mi prese per un braccio guidandomi, poi mi mise le mani sui fianchi e mi aiutò a sedermi sulle sue gambe. Lui era steso sul letto, accanto a dove mi trovavo io pochi attimi prima. Era eccitatissimo. Presi il suo membro con una mano e lo accarezzai lentamente ma con vigore, stringendolo con tutta la mano per sentirne appieno la turgidità. Ero bagnata come mai mi era successo. Sollevai il bacino e mi avvicinai per sedermi sul suo membro. Scivolò dentro, quasi risucchiato. Era più duro del solito, lo sentivo riempirmi fino in fondo: mi spostavo con la schiena all’indietro poi in avanti; mi muovevo ora completamente seduta su di lui, ora chinata in avanti appoggiando le braccia oltre le sue spalle per sentirlo scorrere dentro me. Mi dimenticai completamente dell’altro. Non pensai che forse ci stava guardando, forse si stava toccando, o forse se ne era andato. Non sapevo quali fossero i loro accordi ed era l’ultimo dei miei pensieri in quel momento. Continuai ancora per qualche minuto a godermi la presenza di Alessandro dentro di me. Lo sentivo forte, pieno, caldo, sul punto di scoppiare. Più mi chinavo con il busto verso di lui, più lo sentivo eccitarsi. Lo baciai, intensamente e lui mi morse un labbro e poi prese a baciarmi quasi volesse mangiare la carne delle mie labbra, della mia lingua; la succhiava e la leccava. La leccava e la succhiava. Ero così, seduta sopra di lui, distesa sul suo petto, quando sentii l’altro appoggiare il glande al mio orifizio anale. Ebbi un sussulto, quasi a volermi alzare ma Alessandro mi trattenne le labbra e l’altro appoggiò una mano sulla mia schiena, spingendomi giù il busto. Fu un momento di un’intensità difficilmente esplicabile. Non interruppe mai il contatto tra il suo glande e il mio orifizio, aumentando la pressione in modo graduale, lasciando il tempo alla mia carne di accoglierlo e lasciarlo entrare. Quando il glande oltrepassò l’orifizio, gridai di piacere. Sentire questo membro turgido e grosso entrarmi dentro, diviso da quello di Alessandro solo dal sottilissimo strato di carne che separa la vagina dall’ano, mi mandò in uno stato di piacere talmente profondo da non avere più nessuna cognizione del tempo e dello spazio. Mi abbandonai completamente al loro fare: Alessandro si muoveva sotto di me per spingere a fondo, mentre l’altro premeva. Premeva. Premeva. Un piacere mai provato. La sensazione di essere completamente presa. Piena. Completa. Persi i sensi. Quando riaprii gli occhi, la musica continuava a riempire la stanza. Scivolai nel sonno mentre ancora Alessandro continuava ad accarezzarmi. Non chiesi mai ad Alessandro chi fosse quell’uomo, non mi interessava saperlo. Non contava nulla. ![]() Non era il genere di uomo che le piaceva, eppure in pochi momenti era diventato il centro del suo desiderio. Marta lavorava in quella pasticceria del centro da qualche anno ed era passato un numero infinito di uomini che le potevano piacere e che spesso si erano proposti alla sua attenzione. Con qualcuno era anche uscita, c’erano state amicizie, incontri saltuari e anche qualcosa di simile ad una storia, ma mai, fisicamente, era stata attratta come da quest’uomo. Lui. Che la sfiorava appena con lo sguardo per ordinare o per pagare. Doveva avere circa una quarantina di anni o poco più e Marta, appena venticinquenne, quando lo vedeva entrare si agitava, cercava di aggiustare i capelli senza che nessuno se ne accorgesse, e diventava il più sorridente possibile, fin troppo. Non riusciva a trattenersi. Era possibile? La prima volta era entrato una mattina di inverno e Marta l’aveva subito notato. Era completamente bagnato a causa dell’acquazzone che scrosciava da qualche minuto. Lei gli sorrise quando lui chiese un caffè, ma non ottenne riscontro. Bevve, pagò e se ne andò. Marta pensò che fosse di passaggio e che non sarebbe mai più tornato. Infatti, trascorse parecchio tempo. Tornò una mattina d’estate, in un orario tranquillo. “Salve, cosa posso prepararle?”. Cerco di nascondere l’agitazione ma la voce uscì distorta. “Un caffè, grazie.” Questa volta la guardò negli occhi. “Subito.” rispose Marta. “Non ho fretta, grazie. Posso sedermi?” “Prego, si accomodi, glielo servo al tavolo.” Prese la valigetta che aveva poggiato a terra ed andò a sedersi ad un tavolino all’esterno. Marta lo seguì con il vassoio e lo servì. Stava per allontanarsi nonostante la strana eccitazione che provava avvicinandosi a quest’uomo, quando lui chiese: “Posso chiederle se conosce un hotel nei dintorni?” “Proprio qui dietro l’angolo ne trova uno, altrimenti in fondo alla via, sulla destra trova un residence.” Marta girò la schiena per indicare fisicamente la zona e le si slacciò un bottone della camicia. Chiese scusa mentre si ricomponeva e lui sorrise, senza imbarazzo alcuno. Marta invece arrossì, era stato solo un incidente ma sentiva i seni turgidi al pensiero di avere attirato l’attenzione di lui proprio sul seno, che già si faceva notare da sé per l’abbondanza. L’uomo ringraziò, Marta rientrò. Rimase seduto fuori per circa una mezz’ora parlando al telefono poi entrò per pagare. Marta fece in modo di andare alla cassa prima di qualche suo collega. “Le pago il caffè.” “1 euro, grazie.” “Grazie a lei… Di tutto.” “Si figuri, è stato un piacere.” “…se vuole parlare di piacere, quello è stato tutto mio…” la stava guardando negli occhi ma stava pensando al suo seno, che aveva intravisto dalla camicetta sbottonata. Marta capì subito che aveva percepito la sua eccitazione ed era sicura che ne fosse attratto. Lui uscì salutando. Sarebbe tornato. Ne era certa. Trascorse qualche giorno, entrò un pomeriggio, dopo pranzo. Marta era di spalle, stava sistemando dei bicchieri. Nel locale c’erano solo due persone sedute ad un tavolino, la collega di Marta era in magazzino. “Buongiorno. Posso avere un caffè?” “Certo. Buongiorno a lei. “ Marta si sentì arrossare le guance. Lui andò a sedersi a un tavolino esterno. Quando Marta uscì, lui parlava al telefono ma interruppe la chiamata adducendo una scusa. Marta appoggiò la tazzina sul tavolo e lui, senza guardarla negli occhi, le chiese se era possibile avere un pezzo di carta ed una penna. Marta glieli portò e rientrò subito, delusa ed irritata dalla noncuranza con cui lui l’aveva trattata. Rimase seduto fuori per almeno mezz’ora, Marta evitò appositamente di uscire. Quest’uomo aveva su di lei un effetto assolutamente atipico. L’ultima volta che se ne era andato lei avrebbe giurato che sarebbe tornato presto per approfondire la confidenza, e invece era quasi più distaccato della prima volta. Entrò lui, pagò alla cassa alla collega di Marta e poi andò verso di lei, che stava servendo una signora. Le appoggiò sul banco la carta e la penna che le aveva chiesto prima. La guardò, la ringraziò ed uscì. Marta servì il caffè alla signora e prese il foglio appoggiato sul banco. C’era scritto: ”Giochiamo?”. Rimase stranita. Guardò fuori, se ne era andato. Marta mise in tasca il biglietto e lo rilesse almeno dieci volte prima di terminare il lavoro. Rientrò a casa passando davanti all’hotel che gli aveva consigliato sperando e temendo un incontro fortuito, senza sapere se lui avesse scelto di soggiornare lì o altrove. Era agitata ed eccitata da quel uomo. Abitava sola, appena in casa si spogliò ed entrò in doccia. Era eccitatissima anche se non capiva cosa la eccitasse, ma era bagnata al pensiero di quell’unica parola: giochiamo? Iniziò a toccarsi e quando appoggiò il dito sul clitoride lo trovò bagnato, non di acqua… la consistenza dell’umore la eccitò ulteriormente, prese a toccarsi con tutta la mano, spingendo le dite dentro di sé, desiderando che lui fosse lì a guardarla. Com’era possibile desiderare uno sconosciuto? Si masturbò fino a godere intensamente, fino a che le sue mani si bagnarono completamente del suo umore. L’indomani mattina lui entrò di buon’ora, lei era alla cassa, c’era molta gente. Lui prese un caffè a banco ed andò da lei per pagarlo. “Buongiorno.” “Buongiorno, cara. Dormito bene?” “…direi di sì… e lei?” chiese Marta porgendo lo scontrino. “Dormito bene… sognato anche meglio” rispose lui porgendole la moneta per pagare il caffè anziché poggiarla nel rendi resto. Marta allungò la mano, lui le sfiorò leggermente il palmo appoggiandovi la moneta. Marta sentì il cuore impazzire e lui lo capì. Dietro di lui due persone dovevano pagare, chiese di nuovo carta e penna. Marta glieli porse e fece il conto ai signori dietro di lui, che gli rese il biglietto ed uscì, questa volta guardandola negli occhi. Lesse subito: “Vuoi toccarti da sola anche stasera o vuoi che io ti guardi?”. Marta si sentì bagnare come se lui l’avesse toccata. Era incredibile come quest’uomo sapesse leggere la sua mente. Venne ora di pranzo e Marta, che quest’oggi avrebbe dovuto fare solo mezza giornata, chiese ad una collega se volesse andare a casa, perché pensava e sperava che lui sarebbe tornato. Infatti, alle 16 si presentò e sedette direttamente fuori senza ordinare nulla. Marta preparò un caffè e lo portò al suo tavolo, con carta e penna. Non disse niente. Aveva sbottonato appositamente la camicetta lasciando intravedere l’attaccatura dei seni e, servendo il caffè, si chinò sul tavolo come di solito non faceva. Lui la trovava attraente e lei era eccitatissima al pensiero che la guardasse. Lui la ringraziò e lei sorrise rientrando. Pensò che avrebbe voluto sedersi di fronte a lui ma non avrebbe saputo cosa dire, di fatto non c’era niente da dire… erano solo sensazioni. Trascorsero pochi minuti e lui entrò, pagò e lasciò il foglio di carta su cui aveva scritto: “Stasera 21.30, Osteria Ducale.” Se ne andò senza che Marta avesse il tempo di riflettere o rispondere. Sapeva già la risposta. Marta conosceva quel posto, era stata qualche volta. Era un locale tranquillo, intimo, sicuramente non casuale. Terminò di lavorare alle 17.30 e, prima di rientrare a casa, passò in un negozio del centro per comprare un vestito nuovo. Non che le servisse ma quella sera voleva essere provocante, tanto quanto lui si aspettava. Entrò in casa, appoggiò le borse che portava dal giro in centro e si fece un caffè. Accese il televisore per vedere qualcosa ma non le riusciva di fermare il pensiero. La spense. Era talmente impaziente di incontrarlo che le sembrava che il tempo non passasse. Al tempo stesso era timorosa della propria reazione: non che non avesse avuto avventure in passato ma quest’uomo la prendeva in modo totale. Non sapeva chi fosse ma al solo sentirsi sfiorare, desiderava che lui la toccasse. Era seduta sul divano e, pensando alle sue mani, aveva il desiderio di toccarsi. Aprì la lampo dei jeans e si distese sullo schienale sfilandoli… sotto non indossava nulla quando aveva i pantaloni, si sentiva meglio, più libera. Sfiorò piano il clitoride che era già sensibile al punto di sentire quasi fastidio al primo tocco. Pensava alle mani di lui che la toccavano, agli occhi di lui che la guardavano. Non pensava di essere baciata, di essere corteggiata. Voleva solo che lui la toccasse. Stava sfiorando il clitoride con un solo dito, il contatto con l’umore che stava uscendo la eccitò al punto di desiderare di essere leccata. Portò il dito alla bocca per immaginare la sensazione che avrebbe avuto lui leccandola e non volle trattenersi, aumentò la pressione sul clitoride e arrivò ad un’intensità di piacere tale da godere subito. Si stese su un fianco, chiudendo le gambe una su l’altra, leggermente piegate. Sentire le cosce umide all’interno aumentava la sensazione di benessere. Si rilassò. Si addormentò. Quando aprì gli occhi ci mise un attimo a ristabilire i pensieri. Guardò le lancette dell’orologio appeso alla parete proprio di fronte al divano: le 20.25. Ebbe un attimo di smarrimento prima di realizzare se l’appuntamento con quell’uomo fosse reale o uno strascico di sogno. Osservò le borse dello shopping e trasalì subito. Fece la doccia, asciugò i capelli e si truccò leggermente. Un soffio di profumo sul collo. Indossò un completo intimo di raso di seta e pizzo nero. Infilò il vestito acquistato nel pomeriggio: un abito semplice, di buona fattura, che lasciava nude le spalle e parte della schiena chiudendosi dietro al collo e seguiva alla perfezione, senza avvolgere troppo, la figura di Marta. L’orlo si fermava qualche centimetro sopra il ginocchio e permetteva quindi di indossare una scarpa con il tacco alto senza apparire eccessivamente provocante. Si guardò un attimo appena allo specchio, prese un copri spalle e la borsa ed uscì. Era in perfetto orario. Scelse di prendere la macchina nonostante il locale non distasse molto da casa sua. Entrò nel locale, le luci erano piuttosto basse e poche persone erano sedute ai tavoli. La accolse un cameriere, lei individuò con lo sguardo quell’uomo di cui, si rese conto in quel momento, non conosceva nemmeno il nome. Mentre camminava seguendo il cameriere che le faceva strada sentì uno strano senso di disagio assalirla tutto in un momento. Non sapeva cosa fosse, era certa di desiderare che la cena fosse già finita: sarebbe stato più facile incontrarlo a quattr’occhi, non in un luogo pubblico e abbandonarsi ai sensi, alle sensazioni, agli istinti, alle pulsioni. Perché questo era quello che lui le provocava: uno stimolo pulsionale, averlo, possederlo o meglio ancora esserne posseduta. Mentre camminava in direzione del suo tavolo in effetti si sentiva la preda che esegue ciò che il suo cacciatore desidera. Lui e solo lui aveva condotto il gioco per giungere a questo tavolo, lei lo aveva semplicemente assecondato per soddisfare l’istinto. Lui le sorrise compiaciuto intanto che il cameriere la faceva accomodare. “Buonasera Marta, ti aspettavo.” “Anche a lei buonasera. Sono qui.” Si domandò subito come facesse lui a conoscere il suo nome senza prestare attenzione al fatto di avergli risposto dandogli del lei. “Ero sicuro che saresti venuta.” “Non ho avuto nemmeno un dubbio” rispose lei. Il cameriere servì vino e antipasto, lei immaginò che lui dovesse avere già ordinato per entrambe. Aveva lo stomaco talmente chiuso che le sembrò difficile riuscire a mangiare. Era agitata, non preoccupata ma eccitata in un modo devastante, e lui non faceva niente per placare questo suo evidente stato. Anzi. Era fermissimo, la scrutava con sguardo compiacente ma al tempo stesso compiaciuto; era certo che lei stesse aspettando solo di essere toccata, baciata, presa. “Allora Marta, posso chiederti di spostare i capelli dietro le spalle, in modo che io possa immaginare l’odore della tua pelle, come se la mia bocca fosse poggiata sul tuo collo e il mio naso ti stesse respirando?” Marta non tolse lo sguardo un attimo da quello di quest’uomo che la stava già possedendo senza averla mai toccata. Discostò i capelli dal collo senza dire una parola. Le sembrava che il cuore saltasse. Pensò che lui potesse vedere il suo torace sussultare ad ogni battito. “Sei eccitata Marta. Stai desiderando di essere altrove, dove nessuno possa vederci, dove io possa farti quello che tu stai immaginando. Non è così forse?”. Marta annuì con lo sguardo. Non una parola. Le sembrava che le parole non c’entrassero in questo momento, che la sua voce avrebbe rovinato tutto, o forse temeva che le sue risposte avrebbero deviato il percorso che quest’uomo stava seguendo per averla. Aveva il timore di ritardare il momento che tanto stava desiderando. Quindi non disse nulla. Lui le porse il bicchiere che conteneva un vino rosso dal colore molto intenso. Marta lo prese e bevve, guardandolo negli occhi. “Senti il sapore di questo vino, Marta? E’ lo stesso che sento nella mia bocca. Ti piacerebbe che con questo sapore in bocca mi alzassi dalla sedia, sgomberassi il tavolo, ti prendessi per i fianchi e ti stendessi davanti a me, spalancandoti le gambe e succhiassi il tuo clitoride per assaggiarlo come faccio ora con il vino?”. Marta si sentiva impazzire. Non diceva niente ma non abbassava lo sguardo. Era talmente eccitata che sentiva il suo umore uscire tra le grandi labbra e bagnare il perizoma. “Scommetto che sei tutta bagnata sotto. Sai cosa mi piacerebbe, che tu ti togliessi ora gli slip e me li porgessi.” Così dicendo, allungò la mano in segno di attesa. Marta respirò di un respiro profondamente intenso ma non si oppose nemmeno adducendo il timore di essere vista. Non distolse lo sguardo dal suo ma non era per sfidarlo quanto per accondiscendere al suo desiderio. Con mosse che apparvero sapientemente eleganti e limitate a non dare nell’occhio, sfilò il perizoma e lo strinse nel proprio pugno che dischiuse solo per lasciar cadere l’indumento sul palmo della sua mano. Era compiaciuto. Chiuse a sua volta il pugno come se stringesse un trofeo. Lo portò al viso, aprì la mano e appoggiò la stoffa al naso e alle labbra. Respirò lentamente, guardando Marta negli occhi. “Sapevo di non sbagliarmi con te.” Infilò il perizoma in tasca e bevve. Mangiarono l’antipasto e quando il cameriere si avvicinò per prendere l’ordinazione per la cena, lui disse che era sufficiente e chiese il conto. Marta rimase stranita perché si aspettava una cena piuttosto lunga. Lui si alzò per pagare e Marta lo guardò allontanarsi: era un uomo elegantemente sportivo, doveva avere 42 o 43 anni all’incirca. Era alto, spalle larghe, né magro né grasso. Moro di capelli e scuro di carnagione, abbronzato forse. Indossava una camicia bianca ed un paio di jeans scuri. Aveva già notato durante la breve cena che non portava la fede, ma era sicura che fosse sposato, con una bella moglie, abbronzata come lui. Tornò al tavolo. “Andiamo?” Marta si alzò e lui la precedette verso l’uscita. Nel parcheggio del locale era buio ormai. Lui si appoggiò ad un’auto lussuosa che era parcheggiata appena fuori dalla porta. “Sali con me?” Marta annuì. Lui la prese per una mano e la attirò a sé, aggirando l’auto. A fianco era parcheggiata una moto. Salì e Marta alzò l’abito fino quasi ai fianchi accomodandosi dietro di lui. Provò una sensazione molto piacevole sedendosi a gambe aperte sulla sella. Era ancora bagnata per l’eccitazione di prima e, non indossando più il perizoma, il contatto della pelle fredda, contro la sua calda, le fece venire voglia di sfregare il bacino contro la sella. Lui mise in moto e lei si appoggiò a lui completamente. Il contatto dei seni contro la schiena di lui era un piacere delicato ma profondo. Lui guidò a forte velocità verso il mare che distava poco più di venti km. Non pensò a nulla Marta in quei minuti, apprezzava solo le sensazioni del momento. Parcheggiò all’ingresso di uno stabilimento balneare che, vista l’ora tarda, era deserto. Scesero dalla moto e lei tolse le scarpe. Lui la prese per mano. “Hai paura Marta?” “Dovrei?” Lui scostò i capelli che le coprivano gli occhi a causa del lieve vento che si era alzato. Avvicinò il viso al suo e Marta credette che lui stesse per baciarla. E invece annusò l’odore della sua pelle, scendendo verso il collo. Le si accapponò la pelle. Quest’uomo era deciso e gentile ad ugual modo, capì in quel momento che lui avrebbe potuto farle fare qualsiasi cosa. Sempre tenendole la mano, insinuò l’altra sotto il suo abito, continuando ad annusarla e poggiando le labbra sulla sua pelle, senza mai baciarla. “Volevo proprio trovarti così qui sotto, bagnata, per me.” Le accarezzò le grandi labbra e si incamminò verso la spiaggia, sempre senza perdere il contatto con la sua mano. Camminarono in silenzio fino a bagnarsi i piedi nell’acqua. C’era una luna non piena ma piuttosto luminosa, che permetteva di distinguere perfettamente anche i particolari. Lui si girò verso di lei e le sollevò l’abito fino a sfilarlo. Rimase immobile, con solo il reggiseno addosso, lui la guardava, le accarezzò una spalla scostando i capelli. Marta sembrava aver perso la capacità di parlare ma semplicemente non chiedeva perché non pensava. Sentiva. Sentiva lo sguardo di lui addosso, sentiva il desiderio che lui provava per lei, sentiva la brezza accarezzarle il corpo, sentiva la luna illuminarle la pelle. Si avvicinò e cominciò a baciarle il collo, scendendo verso i seni. Liberò prima un capezzolo poi l’altro abbassando la stoffa del reggiseno. Erano turgidi, eccitati. Iniziò a leccarli e succhiarli. Quando la sua bocca ne lasciava uno per dedicarsi all’altro, lei si eccitava ancora di più per la carezza della brezza sul capezzolo lasciato umido. Marta prese a sbottonare la camicia, desiderava che lui fosse nudo, sentire il contatto della sua pelle, sfiorare il suo torace con i capezzoli così eccitati. Lui le carezzava e stringeva dolcemente i seni abbondanti, ne era chiaramente molto attratto, non smetteva di toccarli, guardarli, succhiarli. Si fermò solo per continuare ciò che Marta aveva iniziato: si spogliò in un attimo, rimase solo con i boxer. Marta fece il resto: si inginocchiò davanti a lui e, mentre con le mani abbassava i boxer, con la bocca gli baciava e leccava il ventre, scendendo fino a sentire che l’odore della pelle cambiava, diventava più intenso, più intimo. Era molto eccitato e Marta rimase piacevolmente soddisfatta delle dimensioni del pene che si ergeva davanti al suo viso. Prese ad accarezzarlo e leccarlo, stringendolo nella mano per scoprirne le zone più sensibili e raggiungerle con la lingua. Poi dischiuse la bocca e anche se non riusciva ad accoglierlo tutto, iniziò a stimolarlo con labbra e lingua e a succhiarlo fino a sentirlo irrigidire ulteriormente. Marta trasalì un momento pensando a quanto avesse sempre ritenuto una convinzione giustificativa e consolatoria l’affermazione sociale dilagante che le dimensioni del pene non contano e che sia importante solo la capacità amatoria di un uomo. “Sarà pur vero,” pensò” ma preferisco così.” Poi non è che una qualità debba per forza escludere l’altra. Le piaceva il contatto delle labbra e dell’interno delle guance con questa carne dalla pelle tesa e dalla consistenza forte. Se non avesse temuto di non poterne poi godere in altre sensazioni, lo avrebbe leccato e succhiato fino a farlo godere così, tra le sue mani e le sue labbra. Si alzò, togliendosi il reggiseno. Voleva sentirsi completamente libera, lui la fece stendere sulla sabbia umida, si stese sopra di lei e prendendole il viso tra le mani, iniziò a leccarle le labbra scendendo al collo per poi risalire e baciarla sulla bocca con un’intensità tale da trasmetterle il desiderio che sentiva di entrarle dentro. Ma non adesso, non ancora. Il peso di lui la faceva sentire piacevolmente dominata. Adesso stava percorrendole il corpo con la bocca, sentiva la sua lingua giocare appena sotto l’ombelico. Lo stava desiderando da impazzire. Muoveva il bacino quasi a invitarlo a scendere perché desiderava la sua bocca. Allargò le gambe e lui colse l’invito. Le aprì delicatamente le grandi labbra e Marta sentì il fresco delicato della brezza marina subito seguito dal caldo e morbido tocco della sua lingua. Lui prese a leccarla intensamente, di un’intensità tale che Marta si sentiva allagare, e lui raccoglieva con la lingua ciò che il corpo di Marta sembrava donargli. Godette di un piacere fortissimo, tale che per un attimo le sembrò di uscire dal sonno, quasi non capisse cosa le fosse successo. Accarezzò i capelli di lui che la guardava sorridendole mentre ancora stava tra le sue gambe. Lui si alzò, la sua erezione sembrava forse ancora più imponente di prima. Le prese una mano e la fece alzare. “Vieni.” Entrarono in acqua, camminarono fino a raggiungere un punto dove la bassa marea lasciava una zona sabbiosa scoperta, che illuminata dalla luna pareva un’isola. Più in là qualche masso dolcemente levigato sembrava fare da spalla. Lui sedette a terra, lei si sedette su di lui. Era eccitatissima sentendolo premere contro di lei, presero a baciarsi voracemente, lui le stringeva il viso intanto che muoveva il bacino contro il suo. Marta sentiva il pene premere contro il clitoride,reso libere dalle cosce spalancate; era sicura che il suo umore stesse colando su di lui. Si adagiò in modo che potesse entrare dentro lei e provò un piacere intensissimo sentendosi riempire. Cominciarono a muoversi insieme mentre continuavano a baciarsi, mordersi, leccarsi, stringersi. Marta aveva la sensazione di essere diventata un tutt’uno con lui. I loro corpi premevano l’uno contro l’altro quasi fosse una danza. Non si trattennero, godettero uno dentro l’altra come se fossero amanti da sempre. Forse si sarebbero amati per sempre. Forse sarebbe stata l’unica volta. ![]() “Terzo piano”. La voce registrata dall’interfono dell’ascensore sta dicendo che mancano ancora 5 piani. Non mi guardo nello specchio, non ne ho bisogno. Mi sento bene. Ho il cuore in gola che batte di un’eccitazione strana, mista tra il desiderio di guardarti negli occhi e quello di non dirti nulla. Ci sono altre due persone in ascensore, una donna che trasporta documenti, una segretaria direi. Poi un uomo sulla cinquantina, forse cinquantacinque, che mi ha chiesto a quale piano vado e, quando ho risposto che scenderò all’ottavo, sembra essersi chiesto cosa ci vado a fare. Infatti, cosa ci sto andando a fare? “Sesto piano”. …ancora due. Mi accarezzo i capelli spostandoli dalla fronte, intanto che stringo il manico della borsa. Chiederò del tuo ufficio uscita dall’ascensore, ci sarà una segretaria o una reception. Giro lo sguardo e l’uomo mi sta guardando il seno. Del resto come biasimarlo… ho messo una camicia bianca apposta che lascia intravedere il reggiseno, bianco anche quello, che da l’idea di candido ma lascia trasparire la pelle scura dei capezzoli che, non so se siano turgidi per il freddo che fa oggi a Milano o se sia per la situazione. Chiudo leggermente il giubbino di pelle e il signore assume l’aria di bambino sgridato. “Ottavo piano.” Finalmente. Scendo solo io. Quando la porta si apre saluto ed esco. Davanti a me in effetti trovo un bancone, una sorta di reception, come mi aspettavo. Chiedo di Marco e la signorina, gentilmente, mi chiede di accomodarmi indicandomi una saletta a lato. L’assecondo e la osservo mentre si incammina lungo il corridoio alle sue spalle. Quando si gira scorgo la sua figura alta e magra ancheggiare in modo sicuro ma forse un po’ esagerato… chissà quante volte hai immaginato di guardarla camminare nuda. In sala d’attesa sono sola, nelle foto alle pareti scorgo qualche immagine che ti somiglia ma potresti anche non essere tu, ho solo quella stampa sul pc… “Prego signora, terza porta a destra”. Mi porge di nuovo il fondoschiena ed ancheggia di nuovo per prendere posizione dietro al bancone. Mi inoltro nel corridoio, la tua porta è chiusa. Non busso, non ho bisogno di chiedere il permesso di entrare con te. Abbasso la maniglia ed entro. “Anna”. “Buongiorno”. Mi avvicino alla tua scrivania intanto che tu ti alzi. Ti porgo la mano e tu la stringi tra le tue poi la porti al viso per annusarne l’odore. Mi viene spontaneo girarla, aprire il palmo per racchiudervi il tuo viso, quasi a volerlo catturare. Mi avvicino senza spostare la mano e appoggio il viso al dorso della mia mano. Solo lei ci divide. Vorrei baciarti, vorrei sentire il sapore della tua bocca ma vorrei che questo momento non finisse. Tolgo la mano e ti sorrido, i tuoi occhi mi stanno accarezzando, così come la tua mano calda ed accogliente. Appoggio la borsa sulla scrivania e tolgo il giubbino… voglio che i tuoi occhi possano poggiarsi sul mio corpo, immaginando di oltrepassare i vestiti. Sposto i lunghi capelli dietro le spalle perché voglio sentire libero il collo e che tu ti senta libero di baciarlo appena ne avrai desiderio. Non una parola. La tua mano ancora mi accarezza il viso, e adesso il collo. Mi abbandono al calore della tua mano, vorrei che la tua mano potesse avvolgere tutto il mio corpo. Mi giro a guardare la porta quasi a chiederti se c’è rischio che entri qualcuno e tu abbandoni il mio collo per andarla a chiudere. Un giro di chiave. Un altro mondo. Ti avvicini di nuovo. Guardo le tue labbra e non resisto. Le sto leccando e baciando come se le conoscessi da sempre e sto già desiderando di sentirmi la tua bocca calda addosso. Prendo il viso tra le mani e lo accompagno mentre si sposta a baciarmi il collo, mentre mi sfiora le orecchie… è la cosa che più mi eccita in assoluto sentirti respirare nelle mie orecchie… “La tua pelle ha un profumo buonissimo”… Mi perdo nella tua bocca che adesso sta scendendo lungo il collo e sento uscire dalle mie grandi labbra liquido caldissimo, mentre i capezzoli inturgidiscono ancora di più perché le tue mani stanno sbottonando la camicetta. Con un dito mi accarezzi lentamente il solco trai due seni, con l’altra mano continui a sbottonare la camicetta. Prendo la tua mano e la infilo dentro ai miei jeans perché voglio che tu senta subito quanto mi eccita la tua vicinanza. Sbottono i jeans ed abbasso la lampo per darti più spazio. Le tue dita scivolano tra le mie grandi labbra e ricominci a baciarmi più intensamente mentre il mio umore ti bagna completamente la mano. Sto muovendo il bacino per sfregare il clitoride sul palmo della tua mano. Mi sembra di impazzire dal desiderio. Ma voglio giocare adesso… Tolgo la tua mano e la lecco piano prima di portarla al tuo naso… ti piace il mio odore, lo vedo dai tuoi occhi. Adesso ho iniziato a sbottonare la tua camicia, te la tolgo e infilo le mani sotto la maglietta per alzarla. Mi chino davanti a te per annusare l’odore della tua pelle… i miei neuroni sono impazziti di desiderio per la tua pelle… lecco piano il tuo torace, i tuoi capezzoli… non sai quanto vorrei spogliarti completamente e chiederti di entrarmi dentro… il clitoride deve essere gonfio all’inverosimile perché lo sento battere come il cuore prima batteva in ascensore. Ma voglio giocare un po’ prima. Mi allontano da te spingendoti a sedere sulla poltrona. Resto in piedi davanti a te e finisco di sbottonarmi la camicia. La tolgo e rimango con i jeans aperti e il reggiseno. Mi accarezzo i capezzoli sfiorando il pizzo del reggiseno, sono sensibili al punto che sento un brivido alla schiena. Abbasso il reggiseno per scoprire un capezzolo, porto un dito alla bocca per inumidirlo ed inizio ad accarezzare il capezzolo scoperto. Ti guardo sorridere mentre ti accarezzi piano la stoffa dei jeans in prossimità dell’inguine. Sei evidentemente eccitato, posso vedere il rigonfiamento trattenuto dai jeans. “Vuoi farmi vedere se c’è qualche reazione per me?”. Te lo chiedo piano, gentilmente. Tu sorridi e sbottoni i jeans e abbassi i boxer liberando un’erezione già imponente. Il primo pensiero è che vorrei inginocchiarmi davanti a te e accoglierti nella mia bocca, ma non ancora… Tu inizi ad accarezzarti stringendo l’asta con una mano e facendola scorrere per scoprire la cappella, già lucida… tu non sai quanto desideri leccarti… Sfilo i jeans mentre i tuoi occhi mi guardano e sembri stupito quando ti accorgi che sotto non indosso nulla… mi piace sentire la cucitura dei jeans che mi stimola mentre cammino… sposto le carte che stanno sulla tua scrivania e mi siedo, davanti ai tuoi occhi… sono talmente eccitata che sto bagnando il piano della scrivania. Appoggio le gambe sui braccioli della tua poltrona per sistemarmi davanti ai tuoi occhi completamente aperta… tu allunghi una mano per toccarmi, ma io la fermo… la lecco e te la restituisco… voglio toccarmi mentre i tuoi occhi mi guardano e mentre guardo la tua mano che continua a masturbarti… Infilo un dito dentro me poi inizio ad accarezzare piano il clitoride, girandoci intorno ed infilando le dita di tanto in tanto per toccarmi dentro… guardarti mentre ti masturbi è un piacere infinito per me… sento che sto per godere e rallento un po’ il tocco perché voglio che tu mi guardi bene… “Ti piace guardarmi mentre mi tocco…” Il tuo sì è un respiro appena, mi piaci… stai godendo di ogni piccolo momento, la tua mano stringe decisa ma si muove piano… sei bellissimo… “…e posso godere adesso… devo godere trattenendomi o posso godere come mi piace…” “..puoi godere come preferisci… fuori nessuno sente niente, tranquilla…” “…non intendevo questo… posso lasciarmi andare fino in fondo?” Il tuo viso si fa interrogativo ma rispondi di sì. Con una mano stringo il capezzolo mentre aumento la pressione sul clitoride spingendo dentro di me quasi tutta l’altra mano per andare a toccarmi dove la carne si fa più morbida… sento il bagnato colare sullo sfintere più in basso e penso che vorrei che tu ti alzassi in piedi ed appoggiassi la cappella spingendo per entrarci… al pensiero non resisto… sto spingendo in basso i muscoli del ventre per godere a pieno e, mentre sento scorrere lungo la mia schiena la scossa del massimo dell’eccitazione, da me esce una quantità di liquido tale che arriva a bagnare le tue gambe e non solo… solo un attimo di stordimento poi mi inginocchio davanti a te. “Mi dispiace di averti bagnato tutto”. Lo dico ma sai benissimo che non lo penso ed il tuo sorriso mi rassicura. Appoggio piano la mia lingua su di te ed inizio a leccarti dove il mio liquido ti ha bagnato… la tua cappella e le tue mani bagnate di me mi hanno di nuovo eccitata… sono a gambe aperte, inginocchiata per terra e mi sento bagnare di nuovo intanto che con la lingua ti lecco lentamente tutta l’asta. La mia mano prende il posto della tua e ti sento abbandonare completamente alla mia bocca che ti ha preso tutto e adesso ti sta succhiando la cappella mentre la faccio entrare ed uscire dalle labbra. Ti sento sussultare ogni volta che lecco delicatamente il filo che lega la pelle alla cappella. Ti sto succhiando e leccando come mi piace sentirlo fare ai miei capezzoli. Potrei stare ore a sentirti così duro tra le mie labbra, portarti al limite e rallentare per protrarre il tuo e il mio piacere. Lo tolgo dalla mia bocca per accarezzarmi un attimo il viso con la cappella… la passo delicatamente su una guancia, sugli occhi, poi scendo sul collo fino a portarlo a sfiorare il capezzolo libero. Abbasso anche l’altra parte di reggiseno per stringerti in mezzo a tutti e due i seni e quando la cappella esce dall’incavo dei seni, la mia bocca la aspetta per succhiarla. Vorrei guardarti godere tra i miei seni, vorrei sentire il tuo sperma schizzare caldo sui miei seni ma ho voglia di averti dentro… te lo succhio un’ultima volta poi mi alzo in piedi e mi siedo di nuovo sulla scrivania. Capisci l’invito, ti alzi dalla poltrona stringendo l’asta tra le mani… ti sto desiderando dentro da impazzire. Non ti togli nemmeno i jeans, mi prendi il viso, mi infili la lingua in bocca e mi baci quasi volessi entrarmi da lì. Chiudo gli occhi e ti sento scivolare dentro di me… sentirmi allargare è un piacere indescrivibile… lo spingi subito tutto in fondo ed inizio ad ansimare senza accorgermene. Mi fai stendere sul piano della scrivania ed inizi a scoparmi, prima piano poi io ti chiedo di spingere di più. Voglio sentirti tutto,voglio che tu mi sbatta come se fossi la prima donna che scopi. Ti sto guardando negli occhi adesso, mentre con una mano mi tocco un capezzolo e con l’altra inizio a masturbarmi di nuovo. Mi stai facendo impazzire, sono talmente bagnata che il tuo cazzo entra ed esce senza creare attrito. Il mio bagnato sta colando sullo sfintere sotto, che bagnato è diventato estremamente sensibile. Sto desiderando di sentirti entrare anche lì ed arrivo a godere, una volta, due, tre… non le conto e non mi trattengo. Tu devi avere capito visto che stai iniziando a toccarmelo e così bagnato il tuo dito quasi scivola dentro provocandomi un nuovo orgasmo. “Vorresti entrarci? Hai voglia di sentirti stringere dal mio culetto?”. Non me lo fai ripetere, lo togli e ti appoggi subito allo sfintere intanto che io continuo a masturbarmi. Appena spingi un attimo ti lascio entrare perché sono eccitatissima e voglio sentirlo sfondare. Ti chiedo di entrare piano.. no, non mi stai facendo male, voglio solo sentire tutto, prima la cappella che lo allarga, poi che entra e tutta l’asta che scorre fino a riempirmi. “Non fermarti, ti prego… spingilo dentro tutto” Mi stai facendo impazzire di piacere e mentre mi tocco, infili anche una mano dentro di me. Sentirmi così piena mi porta al punto di chiederti di incularmi più forte che puoi, di sborrarmi dentro perché voglio sentirmi riempire di te. Io aumento la pressione sul clitoride e tu inizi a spingere con più vigore fino a godermi dentro mentre arrivo ad un orgasmo tale da perdere quasi i sensi. Restiamo lì qualche secondo, qualche minuto forse… le tue mani appoggiate sul mio ventre... tu dentro di me. Resta lì, ti prego, qualche minuto ancora. ![]() Sto guardando i tuoi occhi chiusi. Le pupille sembrano non trovare pace sotto le palpebre che riposano. Sono sicura. Ansia e insicurezza stasera sono stati sminuiti dalla presenza degli altri ma ancora ti morde dentro il fastidio degli obiettivi che l’hanno presa. Non era l’unico, il tuo obiettivo. L’avresti voluta solo per te. I tuoi sogni adesso sono fatti di lei perché lei è stata l’ultimo pensiero prima di abbandonarti al sonno. C’era il desiderio di lei nelle tue parole, mentre fumavi. Un desiderio talmente intenso da farmi desiderare di essere lei e abbandonare la mia pelle alle tue mani.. Non è sesso e non è niente. Solo sensazioni. Ti ho immaginato appoggiare il pacchetto di sigarette sul tavolo, passarti le mani tra i capelli mentre il pensiero di lei oltre l’obiettivo non ti lascia andare. Ti stai chiedendo se quello che la sua pelle ti dice è solo una tua impressione… e vorresti sentirne l’odore, adesso, mentre stai desiderando di accarezzarle i capelli, di sfiorarle le spalle per sfilarle la felpa e appoggiare il tuo naso sulla sua schiena nuda per sentirne il caldo profumo. Dio quanto la desideri. Vorresti sederti dietro di lei, tenerla tra le tue gambe mentre le accarezzi piano la pelle, scendendo lungo il solco che delinea la colonna vertebrale. La senti abbandonarsi alle tue mani e reclinando all’indietro la testa cerca il contatto con il tuo corpo. Ti togli la maglietta perché vuoi sentire il contatto con la sua pelle. Si appoggia a te e gira il viso cercando le tue labbra con una guancia. Si strofina contro la tua bocca, vuole respirare il tuo desiderio. Le prendi prima dolcemente i fianchi per attirarla ancora più vicina, quasi volessi entrarle dentro. Appoggi la tua bocca al suo collo, mamma che odore caldo… vorresti baciarla subito, vorresti mangiarla per tanto che sa di buono ma la sfiori solo con le labbra. Le tue mani fremono, la accarezzi piano, sfiori i suoi seni ancora trattenuti dal reggiseno. Senti i capezzoli inturgidirsi per il contatto con la tua mano, oltre la stoffa. E adesso è tua. L’hai desiderata e adesso quelli che senti indurire nei palmi delle tue mani sono il segnale che il suo corpo si sta lasciando andare, nelle tue mani. I suoi pensieri si stanno lasciando andare, nei tuoi. Puoi farne quello che vuoi. Liberi piano i suoi seni dal reggiseno mentre la guardi socchiudere gli occhi. Vuole sentirti sfiorare ogni cm della sua pelle, averti dietro la eccita da impazzire. Sente il tuo respiro farsi intenso sulla sua spalla, sul suo collo. Non sta più pensando cosa sia giusto fare o no, o quali conseguenze avrà questo momento. Vuole solo godere di te, di tutto quello che sei. Si gira verso di te, rimane seduta sulle tue gambe. È bellissima. Non bella di bellezza, bella di odore, bella di sapore. La stai baciando e non te ne sei nemmeno accorto. La tua lingua sta accarezzando la sua, sempre più intensamente, ti senti quasi impotente perché vorresti spingerti più dentro, entrarle in bocca. Ha un sapore buonissimo. Ti sta desiderando sai, sente il clitoride battere, gonfiarsi, bagnarsi, chiamarti. Muove il bacino contro il tuo perché vuole farti sentire che sta aspettando di sentirti entrare dentro di lei. Non resisti, la fai alzare. Tu rimani seduto e lei in piedi davanti al tuo viso ti fa star male da quanto è bella. La guardi negli occhi mentre le sfiori il ventre e le slacci il bottone dei jeans. Fai scendere la lampo mentre continui a guardarla. Lei socchiude gli occhi ma non perché vuole nascondersi, perché sta gustando il tocco delle tue dita. Sapessi che piacere sentirle infilarsi dentro ai jeans per aprirli. È talmente eccitata che sente bagnare la stoffa degli slip. Le abbracci i fianchi con le mani per far scendere i jeans, lei ti aiuta a toglierli, alzando prima una poi l’altra gamba. Appoggi la bocca al suo ventre, scendi piano, respiri il suo odore. Lei prende la tua testa fra le sue mani per accompagnarti mentre la baci, mentre la cerchi. Vorrebbe che tu sentissi subito quanto è eccitata. Sta pensando alla tua bocca sul suo clitoride e si eccita ancora di più. Le abbassi piano lo slip e ti alzi mentre lei se lo sfila. Toglie anche il reggiseno che era rimasto abbassato sotto i seni. Le prendi il viso tra le mani, la baci, la baci intensamente, la vuoi. Lei slaccia i tuoi jeans ed entra nei boxer con tutte e due le mani abbassandoli. Tu li sfili e lei si inginocchia davanti a te. Non te l’aspettavi eh?! La credevi più timorosa. Ti accarezza piano, la pancia, le cosce, appoggia il naso nell’inguine perché vuole sentire il tuo odore. Sei evidentemente eccitato e il tuo pene si appoggia alla sua guancia. Lei gira il viso e, prendendolo tra le mani, inizia a leccarti piano. Ti sembra di impazzire. La sua lingua è calda e premurosa. Le sue labbra si chiudono intorno al tuo glande, la sua bocca ti accoglie calda mentre la sua mano segue regolarmente il movimento del tuo bacino, leggero, quasi impercettibile. Come ti senti dentro di lei? Ti sembra di non resistere, sentire la sua lingua muoversi all’interno della bocca ti fa impazzire. Vorresti godere, godere adesso perché il piacere della sua bocca che ti succhia è troppo intenso. Le prendi la testa tra le mani, delicatamente le stringi i capelli per rallentare il ritmo: non vuoi godere, non vuoi che tutto finisca. Lei alza gli occhi e ti guarda. Continua a succhiarti e leccarti ancora per qualche minuto poi si alza e si stende sul letto. Tu rimani lì a guardarla, così, mentre apre le gambe davanti ai tuoi occhi. Sposta i capelli e se li accarezza piano, ti guarda dritta negli occhi. Inizia ad accarezzarsi piano, tutto il corpo. Si sofferma sui capezzoli, si stringe delicatamente un seno con una mano mentre l’altra scende fino al basso ventre. Vorresti stenderti su di lei, averla subito. Ma lei si sta toccando e vuole che tu resti a guardarla. Ha spalancato le gambe davanti ai tuoi, si sta accarezzando. Le piace che tu la guardi, le piace sentirsi i tuoi occhi addosso. Sta facendo quello che ha pensato l’altra sera, mentre la guardavi attraverso l‘obiettivo. Si nascondeva dietro alla distanza fisica tra te e lei, ma per farti desiderare di esserle dentro. Tu ti abbandoni sulla poltrona alle tue spalle e prendi ad accarezzarti a tua volta. Ti piace toccarti, e davanti a lei è mille volte più intenso. Il suo sguardo sembra invitarti a entrarle dentro così come il dito che entra ed esce da lei. È bagnatissima e il suo dito scivola mentre accarezza il clitoride. Ti avvicini, ti stendi piano su di lei. Il contatto della tua eccitazione sul suo pube stimola entrambi al pensiero di penetrarsi ma lecchi le sue labbra e scendi a baciarle prima un capezzolo poi l’altro. Lei ti chiede di succhiarglielo, la stai eccitando da impazzire. Il suo capezzolo nella tua bocca sembra diventare ancora più turgido. Lo lecchi, lo succhi e quando ti stacchi, il contatto dell’aria con l’umidità che la tua bocca ha lasciato le provoca una sensazione piacevolissima. La guardi, le sorridi e affondi il tuo viso tra le sue gambe. Ha un sapore buonissimo, hai voglia di farla godere. Sente la tua lingua accarezzarle il clitoride come se fosse la cosa più buona del mondo. Lo sente abbracciare dalle tue papille, le tue labbra che si chiudono contro la sua pelle sembrano isolare un mondo. Di tanto in tanto la tua lingua entra dentro di lei e le fa desiderare di sentirti entrare dentro, fino in fondo. Non resiste. Non vuole resistere. Senti il suo respiro cambiare, sta gemendo mentre dice il tuo nome. Arriva a godere. Ti stendi accanto a lei, ha ancora gli occhi chiusi e il respiro si sta leggermente calmando. Le accarezzi un seno e lei apre gli occhi. Si gira verso di te, ti bacia, piano. Poi si gira ed appoggia le natiche al tuo bacino, comincia a muovere il suo contro il tuo. Al contatto del tuo pene con le sue natiche è di nuovo eccitata. Inarca la schiena e si appoggia a te. È talmente bagnata che ti basta una leggera pressione per scivolare dentro di lei. È calda, stretta, accogliente. Ti viene voglia di spingere subito più forte, fino in fondo. Ti chiede di muoverti piano, vuole sentire ogni piccola sensazione. Sentirti entrare e sentirsi allargare da te le da un piacere che non saprebbe mai spiegarti a parole. Accavalla una gamba sulla tua per darti la possibilità di entrarle ancora più dentro. Tenendoti dentro si gira, facendoti rotolare su di lei, appoggia la pancia sul letto poi spalanca le gambe ed alza il bacino offrendosi a te completamente. In ginocchio dietro di lei, puoi affondare in lei, fin quanto possibile. E ti sembra che lei ti dia sempre più spazio. Lei. Lei che si nascondeva dietro un velo. Lei che ti guardava dritto negli occhi solo dietro l’obiettivo. Lei che adesso sta respirando allo stesso ritmo del tuo respiro. Lei che adesso sta godendo insieme a te. ![]() C’è stato un momento in cui ho pensato che tutto potesse ricominciare. Mi sbagliavo. Le emozioni non tornano. Ti restano dentro. E’ agosto, il più caldo che io mi ricordi. Ferma ad un semaforo abbasso il finestrino nonostante il caldo, voglio fumare. Cerco l’accendino sul fondo della borsa appoggiata sul sedile del passeggero. Possibile che non lo trovi mai? Ce ne saranno almeno 6 nella borsa, sono sicura, rovisto e sento le gocce di sudore imperlare il mio viso, nonostante l’aria condizionata. Eccolo. Mentre accendo la sigaretta alzo lo sguardo sulla macchina ferma al fianco della mia, mi sento osservata. No! Un palpito. Oddio, non ci credo. E’ lui? Mi sorride, con quel sorriso che conosco bene. Un attimo infinito. Che faccio? Sorrido ma devo avere una faccia da ebete, il cuore mi sta soffocando: batte così intensamente che non lascia passare l’aria e sento la carenza di ossigeno in tutto il corpo. Il sudore caldo del viso diventa improvvisamente freddo. Brividi. Mi trema la mano, mi cade la sigaretta. Mi affanno a cercarla. Proprio dentro la borsa, cazzo!? Non ho il coraggio di alzare lo sguardo, mi sento morire, ma voglio morire con gli occhi dentro la borsa, non nel suo sguardo. Trovo la sigaretta, sta bruciando la plastica del pacchetto dei fazzolettini di carta. Lo tolgo dalla borsa. E’ inutile che continui a guardarmi, non ci cado! Un clacson suona alle mie spalle. Sì Sì, hai ragione, scusa! Metto la prima e parto guardando dritta la strada che deve portarmi lontana. Lontano. Il cuore uscirà, ne sono sicura. Non ha più lo spazio necessario per restare nel petto, lo sento in gola, sto di nuovo sudando. Dio ti prego, fa che abbia svoltato! Non ce la faccio a guardare, se lo trovo lì di nuovo che faccio? E che cazzo ci fa a Ferrara? Altro semaforo rosso… No, ti prego!! Mi fermo ma vorrei accelerare. Chiudo gli occhi, non voglio guardarlo. Fingo di essere distratta, alzo il finestrino, alzo il volume della radio. Vai, vai!! Diventa verde, per favore!! Niente, tocca ai pedoni passare. Che faccio? Accendo una sigaretta? Se fumo ora muoio, di sicuro, già mi manca l’aria così! Chiudo gli occhi, di nuovo e di nuovo la macchina alle mie spalle suona. Sì sì, vado! Svolto a sinistra, se era sulla destra lui andrà dritto o svolterà a destra, no?! Mi immetto sulla via delle Poste e solo quando mi fermo alle strisce pedonali di via Garibaldi trovo il coraggio di guardare nello specchietto retrovisore. Un’auto scura, come la sua. Cazzo!! Riparto e guido fino in fondo alla via senza più guardare nello specchio, penso a dove potrei infilarmi con la macchina perché non ci sia la possibilità che si accosti alla mia. Via Ripagrande, sì! Mi immetto sperando che il mio cuore si calmi perché rischio di non capire più nulla. Alla rotonda non resisto, alzo lo sguardo sul retrovisore attenta a non muovere la testa, non voglio che lui se ne accorga. Alzo solo gli occhi e la macchina scura è lì, ferma a meno di un metro dalla mia. Guardo dentro, capelli biondi lunghissimi! E’ una donna, ma la tensione ancora non si allenta. Giro a destra, entro nella via di casa e l’auto blu prosegue. Non è lui, è una donna, vuoi calmarti? Parcheggio e resto seduta, guardando negli specchietti. Nessuno in vista. Chiudo gli occhi, appoggio la testa sul volante, il cuore sembra rallentare, cerca pace. I pensieri, no. Si rincorrono, mille immagini. Quella porta di legno scuro, la chiave di ottone, il vestito che scivola lungo il mio corpo, lasciandolo completamente nudo. Riapro gli occhi, alzo la testa dal volante. Il mio corpo sembra intorpidito, sento i muscoli rigidi come se avessi corso per ore e ore. Sono fradicia di sudore. Prendo la borsa e le chiavi, voglio solo entrare in casa. Uno sguardo agli specchietti, non c’è nessuno. Scendo dall’auto e mi incammino verso il portone dell’atrio del palazzo, mi gira la testa, mi sento stranita come quella mattina a Venezia, attraversando il Ponte di Rialto. Mentre sto infilando la chiave nella toppa, la porta batte il colpo del tiro dall’interno. Sussulto. “Ciao Livia!” “Ah sei tu Angela! Mi sono spaventata, ero sovrappensiero... come stai tutto ok? Non ti vedo da un po’!” “Vero, esco presto la mattina, ho cambiato lavoro da poco e sto correndo come una pazza. …ma meglio lavorare, considerato il periodo… Dimmi di te!” “Tutto nella norma, solite cose… lavoro, studio, impegni. Sono tornata dalle vacanze una settimana fa e nemmeno me le ricordo!” “Ah sì, nemmeno me ne ero accorta che eri partita… ormai siamo diventati automi!” “Senti Livia, vediamoci una di queste sere a cena, che dici? Anche stasera se vuoi!” “Sì, volentieri… facciamo che preparo e ti aspetto, a che ora torni?” “Alle 20 sono a casa, ma non preparare chissà che!” “Tranquilla, ti aspetto da me!” “ A dopo allora!” Angela mi sorride mentre si allontana e fa un cenno di saluto. Sorrido. Per un attimo mi ero quasi scordata di lui, quasi. Entro, chiudo il portone e mi ci appoggio con la schiena. Penso che lui era lì, a qualche metro da me, e mi mancano le forze. Guardo le scale e l’ascensore… ascensore, decisamente. Appena si chiude la porta mi sento addosso odori, calore, sensazioni di mani, percezioni di labbra. Il piacere, il dolore. Mi sento svenire. Entro in casa. Lascio le borse e scivolo a terra, spalle alla porta. Il cuore sembra impazzire di nuovo. Resto immobile, la testa reclinata all’indietro contro la porta. Meno male che avevo lasciato acceso il condizionatore, l’aria fresca sulla pelle accaldata sembra darmi sollievo. Sembra. Mi alzo e accendo il pc. Scrivo il suo nome nel motore di ricerca, con il cuore in gola. Ecco perché è a Ferrara… una mostra dei suoi dipinti, per due settimane. Mi sento impazzire. Sapevo che prima o poi sarebbe tornato dentro me, non se ne era mai andato. Lo avevo conosciuto una sera di Ottobre, l’anno prima; una cena a casa di un amico musicista di Venezia. Una decina di persone, non ricordo di preciso, anche perché non conoscevo nessuno tranne Marco, il musicista. Ero arrivata in ritardo, come al solito e quando Marco mi aveva aperto e fatta accomodare in sala da pranzo dove tutti erano già a tavola, mi aveva presentata a tutti come “l’amica giornalista di cui vi parlo sempre”. Avevo sorriso, non sapevo parlasse di me agli altri, la nostra era un’amicizia piuttosto superficiale, ci conoscevamo da tre o quattro anni ma ci frequentavamo di rado. Sedetti nel posto libero accanto a Marco e, dopo qualche battuta di circostanza si instaurò un piacevole clima allegro e piuttosto confidenziale. Tra gli amici di Marco c’erano qualche fotografo, due bassisti, un venditore di auto, un medico e due pittori. Una ragazza di Berlino e lui: Fulvio. Un uomo sui cinquantacinque anni, non tanto alto, robusto, vestito in jeans e Lacoste blu. Dal momento in cui mi sono seduta, non aveva mai tolto gli occhi di dosso. Mi guardava assiduamente, intensamente, quasi mi imbarazzava. La cena trascorse tuttavia piacevolmente, anche se il suo sguardo in qualche modo mi metteva tensione. Finito di cenare, ci spostammo tutti nello studio di Marco, che voleva farci sentire un pezzo nuovo scritto per un concerto che si sarebbe tenuto a poche settimane di distanza. Mentre la musica di Marco suonava, Fulvio si avvicinò e disse: “Quando tornerai a Venezia?” “Non so, ogni tanto ci capito per lavoro, ma sicuramente verrò per il prossimo concerto di Marco.” Sorrise guardandomi negli occhi ed ebbi la sensazione che mi scavasse dentro. Non aggiunse altro, si allontanò. La serata proseguì tra musica, discorsi inerenti le varie attività, qualche chiacchiera sull’attualità e fu davvero piacevole. Cercavo spesso di incontrare lo sguardo di Fulvio, che dopo quella domanda non si era più curato di me, facendomi salire una leggera ed incomprensibile rabbia. Mi aveva guardata per tutta la cena e ora sembrava che io non esistessi. Si aspettava forse che io facessi o dicessi qualcosa di diverso quando si era avvicinato? Una delle ragazze, una fotografa, si congedò e io feci altrettanto. Non era tardi per me ma lo feci quasi per punire Fulvio di non avere continuato ciò che aveva iniziato. Una volta uscita, mentre rientravo in auto, mi sentivo strana. Quello sguardo mi aveva presa, nonostante Fulvio non fosse di certo il tipo d’uomo che di solito mi colpisce. Fisicamente non mi piaceva proprio e durante la cena non c’era stato alcun scambio particolare tra me e lui, giusto qualche battuta. Quella notte, non riuscivo ad addormentarmi, così mi misi al pc, cercando informazioni su di lui. Noto e stimato pittore contemporaneo, notizie varie, le sue opere erano ritratti di donne nude o seminude, molto sensuali. Alle quattro della mattina, mentre stavo decidendo se provare a stendermi nell’intento di dormire, arrivò un messaggio di posta elettronica. Era lui. Solo una parola:“Vieni!”.In allegato una foto dall’alto di una parte di Venezia, lungo un canale che non sapevo riconoscere, con una freccia che indicava un palazzo. Risposi subito: “…è un gioco? Devo indovinare tipo “caccia al tesoro”?” Sentivo dentro una strana eccitazione nascere. Lui non mi piaceva eppure sentivo dentro il desiderio di giocare con lui, di lasciarmi andare subito a questo coinvolgimento senza nemmeno sapere chi fosse e cosa volesse da me. Avevo la sensazione che lui si stesse prendendo la mia testa per eccitarla, nonostante nessuna sua parola lo lasciasse intendere tranne questo “Vieni!”. Pochi istanti dopo, la sua risposta:”Vieni ora! Sotto trovi l’indirizzo. Suona il campanello, abito solo io qui. Sali le scale, secondo piano. Quando arrivi davanti alla porta, trovi una benda rossa. Indossala, spogliati completamente e aspetta.” Panico. “Ma tu sei matto! Devo ancora dormire da quando sono rientrata e non so neanche chi sei!!”. Eppure quella che prima era blanda tensione adesso si era fatta eccitazione vera. Non sapevo da cosa venisse ma sapevo che c’era, mi aveva presa. Rispose di nuovo con quella parola: “Vieni!” Mille pensieri cominciarono a vagare nella mia mente, dal rifiuto totale al desiderio di prendere la macchina e partire. Guardai i vestiti appoggiati malamente sulla poltrona. Mi alzai, li indossai, presi le chiavi e uscii. Non c’era nessuno per strada e, mentre guidavo e fumavo una sigaretta dietro l’altra, alternavo momenti di eccitazione a momenti di razionalizzazione. Ma più pensavo che fosse una pazzia e di dover tornare a casa, più spingevo sull’acceleratore. Arrivai a Venezia che ormai cominciava ad albeggiare. Dopo aver parcheggiato, mentre camminavo in direzione della casa di Fulvio, mi assalivano pensieri discordanti. Mi fermai in un bar che aveva appena aperto, il barista ancora assonnato mi fece il caffè e avrei voluto dirgli cosa stavo facendo. Mentre pagavo pensai “Devo essere pazza!”. Uscii. Camminai velocemente, con la sensazione di essere in ritardo, con il timore che non mi aspettasse, che credesse che non sarei andata. Arrivai in breve davanti al numero 18. Un sospiro e suonai. La porta si aprì in un attimo: mi stava aspettando. Salii le scale con il cuore in gola. Ero lì, davanti alla porta. Nessuno spioncino, quindi non mi stava guardando. Chiusi gli occhi un attimo dopo avere preso tra le mani la benda rossa che era legata alla maniglia. La indossai, mi spogliai. Tenni solo le calze, senza le autoreggenti mi sentivo a disagio. Sentii la porta aprirsi, tremavo. Mi prese una mano per guidarmi, non disse nulla. Mi sentii all’interno di un ambiente caldo, avevo la sensazione di uno spazio ampio. “Devo essere impazzita…” sussurrai. “Ssssstt…”, non disse altro. Chiuse la porta e mi lasciò la mano. Ero nuda e lo sentivo alle mie spalle, mi sentivo il suo sguardo addosso. Mi sfiorò la schiena, con un dito credo, da farmi rabbrividire. Prese di nuovo la mia mano e mi accompagnò per qualche passo. Mi fece sedere su un tavolino, basso, imbottito di pelle. Si allontanò. Ero in un vortice di ansia, paura, eccitazione. Sentii spostare i capelli dal mio collo e una bocca accarezzarmi il collo, poi baciarlo. Labbra calde, lingua delicata scorrere sulla mia pelle. Abbandonai la testa all’indietro e prese a baciarmi e leccarmi con più audacia, scendendo sui capezzoli turgidi ed eccitati. Non potevo nascondere l’eccitazione e non volevo. Era la sua bocca che volevo. Succhiò e leccò i miei seni come nessuno aveva mai fatto, alternando carezze con la lingua a piccoli morsi con denti affamati. Stendendomi, piegai e spalancai le gambe appoggiando i piedi sul tavolino. Entrò dentro di me subito con la mano, due dita, forse tre. Ebbi un sussulto sentendo le sue dita affondare dentro di me, entrare senza nessuna resistenza, scivolare fino in fondo, bagnato dalla mia eccitazione. Le sue dita mi massaggiavano dentro, spingendo con forza mentre la sua bocca si faceva sempre più aggressiva sui miei capezzoli. Mi accarezzava un seno e mangiava l’altro. Ero talmente eccitata che non riuscii a trattenere il primo orgasmo. Mi sentii bagnare ancora di più. Non smise. Continuò a toccarmi dentro e la sua bocca non si staccava dal capezzolo del seno destro. Sembrava avere mille mani: con una mi penetrava ancora con forza, come se non si fosse accorto del mio orgasmo, senza cambiare ritmo. Con l’altra mi toccava ovunque. Ero persa, completamente abbandonata alla sensazioni da non capire più cosa mi stesse facendo. “Entrami dentro, ti prego” avevo voglia di essere scopata. “Ssssstt…” senza staccare la bocca dal capezzolo. Prese la mia mano e la portò al mio clitoride. Non aspettavo altro: cominciai a masturbarmi mentre sentivo stimolare ogni cm del mio corpo, di nuovo pareva avere mille mani. Arrivai a godere di nuovo. Ero stremata. Abbandonata sul tavolo e tolse la mano e si staccò completamente da me. Sentii avvicinare qualcosa alla bocca mentre delicatamente una mano mi alzava la testa. Un bicchiere. Vino rosso. Bevvi. Mentre deglutivo lo sentii prendere i miei polsi, contemporaneamente e legarli, fissarli al tavolo. Ebbi un attimo di smarrimento ma prese a baciarmi in bocca, affamato di me. La sua bocca calda, bagnata e aggressiva mi eccitava da impazzire e sussultai di nuovo sentendomi prendere le caviglie. Legate al tavolo, anche quelle, con le gambe piegate e spalancate. Ero sua. Completamente. Non potevo muovermi. Mi leccava le labbra, mi penetrava la bocca con lingua decisa e arrogante. Entrò dentro di me in un colpo. Doveva essere molto dotato perché lo sentii farsi spazio dentro me come fosse enorme. Una sensazione piacevolissima, mi sentivo piena e legata a quel modo ero ancora più eccitata. Mi sbatteva come fossi sua proprietà, come se volesse rompermi. Desideravo masturbarmi ma le stringhe ai polsi me lo impedivano. Continuava a penetrarmi la bocca con la lingua e stavo per godere di nuovo, quando sentii una bocca appoggiarsi su un capezzolo ed iniziare a succhiare. Nello stesso momento una mano prese ad accarezzarmi intensamente il clitoride. Ero stordita di eccitazione. Due bocche erano sul mio corpo e due mani, forse tre, mi accarezzavano mentre assorbivo i colpi desiderando di allargarmi ancora di più. Un orgasmo, e poi un altro subito, mentre non capivo più quante mani e quante bocche avessi addosso. Continuava a scoparmi, con forza, durissimo. Sentivo più voci ansimare, senza mai parlare. Allontanò la bocca dalla mia e subito la sentii un pene riempirla. Era caldo, duro come quello che mi stava scopando. Emanava odore di sesso, di donna direi, anche se non era quello che mi stava penetrando, non era mai uscito. Cominciai a succhiarlo e leccarlo, assecondando i suoi movimenti, bagnandolo di saliva per sentirlo scorrere sulla lingua. Lo volevo fino in gola e parve capirlo perché iniziò a spingere, sbattendo contro la gola fino a togliermi il respiro. Non mi chiesi più niente, non sapevo quante persone ci fossero, vivevo semplicemente le sensazioni che sentivo. Godetti più volte, tra mani che mi accarezzavano, peni che mi penetravano, bocche che mi succhiavano. D’improvviso tutto finì. Si staccarono tutti simultaneamente, lasciandomi sull’orlo di un orgasmo che stava arrivando molto intenso. Ebbi un attimo di panico. Sapevo che mi stavano guardando. Sentii avvicinare qualcuno alla bocca, una gamba, liscia. La leccai, alzando la testa per raggiungere l’inguine anche se non capivo se stessi leccando l’interno o l’esterno. Si appoggiò sulla mia bocca e, spostando il viso verso quello che capivo essere l’interno di una coscia, la mia lingua si bagnò appoggiandosi a quelle che capii subito essere grandi labbra. Una donna. Continuai a leccare e lei si abbandonò alla mia bocca, mentre una bocca si appoggiava su di me leccandomi a sua volta. Pensai che fosse un uomo. Con la lingua accarezzavo il clitoride come fosse il mio, lo leccavo con la lingua larga ed accogliente, raccogliendo i suoi umori che continuavano a scendere tra le grandi labbra. Ebbe un orgasmo e la sua eccitazione, eccitò me ancora di più. Mi prese la testa tra le mani, spingendola verso di sé, il mio viso era completamente bagnato di lei. Si spostò dopo aver goduto sul mio viso e sentii una lingua leccarmi la faccia, raccogliendo gli umori rimasti ai lati della mia bocca. Sentii sciogliere le stringhe ai polsi e alle caviglie e qualcuno mi fece alzare, delicatamente. Mi fece inginocchiare sul tavolino e, in un attimo appena mi sentii penetrare con forza da dietro. Con colpo deciso entrò in me, non era lo stesso di prima, ne ero sicura. Iniziò a sbattermi con violenza ma non sentivo dolore. Desideravo che lo facesse con ancora più forza. La donna prese a baciarmi, delicatamente, leccandomi le labbra e la lingua con intensità e calore. Alzandosi lentamente, si fece scorrere la mia bocca sul collo fino a mettere un capezzolo nella mia bocca, che cominciai a leccare e succhiare con avidità. Sentivo colare liquido caldo tra le mie gambe e non capivo se avesse goduto l’uomo che mi stava penetrando o se fosse frutto della mia intensa eccitazione. Una mano cominciò ad accarezzarmi le natiche e stimolarmi l’orifizio anale, bagnandosi le dita tra le mie cosce. D’improvviso un colpo deciso, uno schiaffo su una natica, che mi eccitò ancora di più. Sentii qualcuno accovacciarsi su di me, sulla mia schiena e spingere sul buco. L’uomo che mi stava scopando rallentò un attimo mentre il secondo uomo spinse ed entrò in me, provocandomi un forte dolore. Gridai, togliendo la bocca dal seno della donna, ma lei mi prese per i capelli e premette la mia testa contro il suo capezzolo. Qualcuno schiaffeggiò di nuovo la mia natica mentre i due uomini presero a penetrarmi insieme con forza. Il dolore si trasformò in un attimo, divenne subito eccitazione incredibile. Mi sentivo sfondare, non capivo più da che parte arrivasse il piacere, mentre una mano prese anche a masturbarmi. Arrivò un orgasmo fortissimo, credevo di morire e dalla mia vagina uscì liquido copioso. Una mano prese a massaggiare il mio liquido sulle mie gambe mentre i due continuavano ad affondare nel mio corpo, completamente abbandonato e disposto ad accettare qualsiasi stimolo. La donna si spostò e un altro pene riempì la mia bocca. Tre uomini quindi. Ero su quel tavolo, in ginocchio, riempita in ogni orifizio possibile e mi eccitava da impazzire essere usata in quel modo. Qualcuno continuava a schiaffeggiarmi le natiche di tanto in tanto e, questo improvviso distrarmi dalle sensazioni della penetrazione, era piacevole ed eccitante. Orgasmi ripetuti, li sentivo uscire e rientrare in me, mentre le mani delicate della donna accarezzavano la mia schiena. Godemmo, godettero anche loro, tutti dentro di me, uscendo subito dopo. Presero a leccarmi ovunque, raccogliendolo sperma del loro piacere e del mio. Mi fecero girare e mi ritrovai di nuovo stesa sul tavolo. Lei mi mise il suo pube sul viso, era bagnatissima, volevo vederla penetrata ma non chiesi di togliere la benda, volevo stare nel mio mondo, temevo che mi sarei frenata se li avessi guardati negli occhi. Infilai due dita dentro di lei mentre con la lingua larga accarezzavo il suo clitoride. Nessuno mi stava più toccando, sentivo che mi stavano guardando. La penetrai con forza e presi a massaggiarla dentro. Volevo il suo piacere e la leccai e succhiai finché la sentii fremere ed ansimare. Spinsi più intensamente dentro di lei, e lei gridò stringendo le gambe e contraendosi, mentre dalla sua vagina spruzzò un caldo liquido sul mio viso. Mi accarezzò il viso bagnato e mi baciò prima dolcemente, poi mi morse lievemente un labbro. Sussurrò: “Brava bambina…”. Le prime parole che sentii in quella stanza da quando ero entrata. Mi fece alzare e mi accompagnò per qualche passo. Mi fece abbassare come a farmi sedere e sentii il contatto con le gambe di uno degli uomini. Cercai di sistemarmi sedendomi in braccio a lui, dandogli le spalle. Era seduto su un divano e mi guidò. Sedetti su di lui lasciandolo scivolare dentro di me, tra le mie natiche, nell’orifizio ancora aperto. Mi appoggiai a lui con la schiena contro il suo busto e subito qualcuno davanti a me prese a leccarmi il clitoride, intanto che mi muovevo sull’uomo che mi stava penetrando. Pensavo agli altri che mi stavano guardando e stringevo i miei capezzoli, sempre più forte, avrei voluto strapparli. La bocca si staccò dal mio clitoride e qualcuno entrò dentro me, stavano di nuovo scopandomi in due. Godetti dopo pochi minuti, il tempo orami non esisteva più. Mi fecero sedere sul divano, mi lasciarono lì. Mi stesi. Non mi importava più nulla, ero appagata e soddisfatta, volevo vivere di queste sensazioni. Dopo qualche minuto, forse decine di minuti, lei si avvicinò a me e prese ad accarezzarmi il viso, dolcemente, a baciarmi, a leccarmi le orecchie, il collo e di nuovo i capezzoli. Mise una mano tra le mie gambe, ero sicura fossero le sue. La delicatezza era inconfondibile. Mi lasciai coccolare, toccare, entrare dentro. Ormai mi sentivo senza tono, i miei pertugi erano aperti e non opponevano alcuna resistenza. Mi baciava e mi toccava. E io mi stavo bagnando ancora. Spinse dentro due dita, poi tre, poi sentii la mano intera oltrepassare le ossa del pube ed ebbi la sensazione di inghiottirla. Arrivò un orgasmo lento e intenso, mentre la baciavo in bocca come con un uomo non avevo mai fatto. Si allontanò da me, sentivo voci provenire da una stanza a fianco, senza poter distinguere quante persone potessero essere e nemmeno le loro parole. Dovevano aver chiuso la porta. Rimasi immobile, senza chiedermi niente. Per un attimo pensai che avrei voluto alzarmi ed andarmene, ero sfinita. Ma non lo feci. Mi addormentai. A risvegliarmi fu il contatto di mani che mi aprivano le gambe. Senza una parola, ancora. Stavano usando il mio corpo per il loro piacere, provocando piacere a me. Era una situazione strana, diversa, forse pericolosa ma non la avvertivo come tale, anche se ogni stimolo diverso che sopraggiungeva senza che io me lo aspettassi era una provocazione, un’invasione, un cambiamento ma sempre incontrollato ed inaspettato. Mi sentivo completamente abbandonata al loro volere e, contrariamente a quanto la logica avrebbe previsto, mi sentivo al sicuro. Una mano stava accarezzando il mio clitoride che rispose immediatamente allo stimolo. Era eccitato, gonfio, lo sentivo pulsare, desideravo che me lo succhiassero. Era abile la mano che mi stava masturbando, piacevole, calda, lenta. Pochi attimi dopo una sensazione di freddo intercalata alla carezza delle dita: ghiaccio. Chi mi stava toccando alternava carezze e pressioni con le dita a carezze e pressioni con un cubetto di ghiaccio. La mia pelle rabbrividiva in risposta all’alternanza ma non era il ghiaccio a provocarla, era eccitazione, ancora. Non sapevo se fosse un uomo o una donna, le carezze erano gentili ed intense. Faceva scivolare il ghiaccio dal clitoride alla vagina e con la lingua lo spingeva dentro per andare poi a cercarlo. Sentivo il ghiaccio sciogliersi dentro di me e quella bocca che andava a recuperarlo mi dava sensazioni sconosciute. Durò a lungo questo gioco, in cui sfioravo continuamente l’orgasmo senza mai raggiungerlo. Dentro di me pregavo che non si fermasse, avrei voluto che continuasse all’infinito. Continuò a baciarmi il clitoride tenendo un cubetto di ghiaccio in bocca. Me lo baciava alternando sapientemente la lingua al ghiaccio, poi portava il cubetto nella mia vagina con la bocca e lo spingeva dentro con la lingua. Mi stava riempiendo di ghiaccio, che sentivo sciogliersi e mescolarsi ai miei umori. D’improvviso, persa in queste sensazioni, sentii stringere un capezzolo da una cosa fredda: una pinza pensai. Faceva male. Mi eccitava. Anche l’altro fu presto stretto in quella morsa di metallo. La bocca si era fermata, allontanata. Ero piena di ghiaccio e i capezzoli stretti. Allungai le mani per toccarmi ma qualcuno me le prese e mi girò, facendomi sporgere il bacino dal divano, alzandomi le gambe. Sentivo l’acqua colare, uscire dalla mia vagina e una bocca si chinò a leccarmi per asciugarla. Sentivo ancora ghiaccio dentro e qualcuno iniziò a scoparmi, con forza. Il cazzo durissimo spingeva il ghiaccio fino in fondo. Lo sentivo premere e ogni volta che usciva desideravo impaziente che rientrasse, spingendo più forte. Mi girò, mi fece inginocchiare con il busto sul divano e mentre ancora liquido freddo colava dalla mia vagina, si appoggiò e affondò tra le mie natiche. Il dolore fu intenso e gridai, ma mi mise una mano sulla bocca continuando a spingere e tirandomi la testa verso di sé, stringendomi per i capelli. Sentivo il suo respiro affannato sul mio collo, i capezzoli indurirsi nonostante la presa, la vagina pulsare, calda, ancora più gonfia forse per la reazione al ghiaccio, desiderosa di essere riempita. Godetti di nuovo mentre lui, dopo qualche colpo molto violento, uscì per sborrarmi sulla schiena. Mi abbandonai esausta, restando così, in ginocchio, mentre una bocca stava leccando lo sperma sulla mia schiena. Quella stessa bocca venne a leccarmi le labbra, bagnandole di saliva e sperma, quasi fosse un dono di ricompensa. Rimasi così, inerte, quando mi presero in due e mi fecero scivolare prona a terra. Le morse ai capezzoli ora facevano male. Schiacciati sul pavimento sembravano bruciare. D’improvviso una sensazione di calore intenso sulla schiena, piccoli tocchi di caldo bruciavano la mia pelle intanto che qualcuno aveva preso a leccarmi le natiche. Mi alzò il bacino mettendomi in ginocchio. Ero completamente aperta davanti ai loro occhi e continuavano ad intervalli a farmi qualcosa che mi dava la sensazione di scottature, cera forse, che colava sulla mia pelle. Entrarono dentro di me, ancora una volta. Un uomo mi scopava mentre un vibratore spingeva contro il mio muscolo anale cercando di allargarlo. Doveva essere enorme, al punto che il pene di chi mi stava scopando sembrava piccolissimo. I capezzoli che si inturgidivano stretti nelle morse sembravano scoppiare. Urlai di piacere, mentre la mano sapiente riuscì a far entrare il vibratore spingendolo subito fino in fondo. Mi lasciarono lì. Esanime. Ero arrivata a pensare che forse sarei morta, lì, nelle loro mani, ad uso del loro piacere. Ma non me ne importava niente. Mi addormentai di nuovo. Riaprii gli occhi solo dopo ore. Non avevo più la benda. Ero stesa su un letto, la stanza era semibuia, la porta chiusa. Ero sola. Mi alzai a fatica dal letto, ero ancora nuda e sul mio corpo piccole tumefazioni, soprattutto sui seni e sul ventre. I capezzoli mi facevano male solo a sfiorarli. Respirai profondamente e aprii la porta che dava su una sala molto ampia e luminosa. Era un loft, elegante e raffinato. Non c’era nessuno. Nessun rumore. Sul divano erano distesi i miei vestiti e le mie calze, che qualcuno doveva avermi tolto. Mi avvicinai all’unica porta che c’era, a fianco di quella d’entrata. Aprii la porta ed entrai in bagno, quasi sollevata di non trovarci nessuno dentro. Feci una doccia, c’era un solo accappatoio piegato sul mobile da bagno, fresco di bucato e un asciugamani. Tornai nella sala, mi vestii e solo dopo qualche minuto mi accorsi che c’era un biglietto accanto alle calze. “Sei stata brava. Domani torni. Alle 22 devi essere qui”. Mi buttai sul divano, quasi sconvolta da quelle parole. Rimasi lì, non saprei per quanto tempo, forse speravo che arrivasse qualcuno. Mi guardai un po’ in giro per capire se quella fosse davvero casa di Fulvio. Ma non c’era nulla che facesse pensare a lui: non una foto, non un indumento in giro, nulla di nulla. Un appartamento asettico. Mi alzai, presi la mia borsa che avevano appoggiato sul tavolo basso di fronte al divano, doveva essere quello su cui mi ero stesa io poche ore prima. Guardai l’orologio, le 19: avevo dormito un sacco di tempo. Uscii, chiudendo quella porta alle spalle con una sola certezza: non sarei tornata. Mi affrettai lungo le scale e anche durante il tragitto per riprendere la macchina. Volevo solo tornare a casa. Durante il viaggio ripensai alle ore trascorse, al piacere provato, all’intensità delle sensazioni. E man mano che scorrevano i km sembrava allontanarsi la realtà di quanto avevo vissuto. Rientrai a casa. Fulvio non mi cercò né quel giorno né mai più. Quella stessa sera uscii a cena con qualche amico e guardando l’orologio alle 22 sorrisi. Era stata un’esperienza intensamente piacevole. Non l’avrei ripetuta. Oggi rivederlo per caso mi riporta alle mille domande che mi sono posta nei giorni seguenti. Non era stato facile razionalizzare quello che era successo, più che altro perché mi ero assoggettata a lui al punto di lasciarmi usare in qualsiasi modo ma senza mai sapere, in effetti, se anche lui fosse stato tra quelle persone, se mi avesse toccata, se mi avesse penetrata o se mi avesse solo guardata. Ma adesso basta pensare a Fulvio, devo preparare la cena per Angela!! Entro in doccia e mentre mi insapono, sfiorarmi i capezzoli mi ricorda le morse di quella sera. Il ricordo di quel turbinio di sensazioni, la bocca e la mano di quella donna… mi abbandono alle mie mani con il desiderio di sentire le sue sul mio corpo, mentre Fulvio guarda, attento. Mi accarezzo piano, mentre l’acqua scorre sulla mia pelle, fino a godere, pensando alla mano di quella donna che sprofondava in me, affondando oltre le ossa pubiche. Esco dalla doccia, indosso una maglietta e un paio di slip. Accendo la musica intanto che inizio a preparare qualcosa per cena. Mancano ancora un paio d’ore, posso fare con calma. Preparo carne e verdure, le metto a cuocere in forno e mi dedico a leggere un libro che ho comprato la settimana scorsa. Mi addormento, senza rendermene conto e a svegliarmi è il trillo del campanello. “Chi è?” chiedo al citofono. “Sono io Livia, Angela!” Caspita, sono le 20… ho dormito come un sasso! “Entra Angela, vieni. Scusami se sono così, ma ho fatto la doccia e mi sono addormentata mentre leggevo un libro.” “ Non preoccuparti Livia, per me fa nulla, vai benissimo così!” L’odore nell’aria è intenso ma non di bruciato, deve essermi andata bene. Angela mi segue in cucina, appoggiando la borsa sulla panca e una bottiglia di vino rosso sul piano della cucina. Apparecchio la tavola intanto che Angela mi racconta delle sue vacanze e mentre levo la teglia dal forno distrattamente mi scotto il palmo della mano. Sono sempre la solita! La serata trascorre piacevole, parliamo di mille cose. Dopo cena ci sediamo nel mio studio, faccio vedere ad Angela qualche foto scattata di recente a Oslo. “Ti va un goccio di whisky Angela?” “Si dai… magari con un po’ di ghiaccio…” Il pensiero del ghiaccio mi riporta a Fulvio. Mi sento di nuovo girare la testa al pensiero che sia qui e che potrei incontrarlo di nuovo in qualsiasi momento. Vado in cucina e torno nello studio con la vaschetta del ghiaccio e i bicchieri . Ne porgo uno ad Angela e mi siedo accanto a lei sul divano. Metto ghiaccio nel bicchiere di Angela e anche nel mio, ma faccio per infilarmi un cubetto in bocca quando mi scivola dalle mani e si infila nella maglietta. “Non toglierlo!” mi dice Angela. La guardo con aria interrogativa. Angela si avventa su di me e infila una mano tra i miei seni a cercare il ghiaccio mentre appoggia le sue labbra alle mie e infila la lingua a baciarmi, come se stesse aspettando questo momento da sempre. La lascio fare, rispondo al bacio con tutta la passione che ho addosso dopo aver rivisto Fulvio. Prende il cubetto di ghiaccio e tenendolo tra le dita mi sfiora delicatamente un capezzolo, rendendolo turgido, e poi se lo mette in bocca. Continuiamo a baciarci, passando il cubetto dalla mia bocca alla sua finché si scioglie completamente, mentre Angela mi accarezza un seno, sopra la maglietta. La sua bocca scende, baciandomi il collo e leccandomi, fino a poggiarsi su un capezzolo. Lo lecca e lo succhia intanto che sento l’eccitazione crescere. Infilo una mano sotto la sua gonna, accarezzandole un coscia e salendo verso l’inguine. E’ calda la sua pelle, liscia e delicata. La desidero, la voglio. Mi alzo e mi inginocchio davanti a lei, la prendo per le natiche per farla scivolare attirandola verso il mio viso. E’ eccitata Angela, mi guarda dritto negli occhi aspettando che io la tocchi. Le alzo la gonna sui fianchi, la tiro verso di me e mentre la guardo negli occhi appoggio la mia bocca sulla sua coscia. Inizio a leccarla e baciarla lentamente, salendo verso l’inguine. Sposto delicatamente lo slip, è bagnatissima. Appoggio la bocca sul suo clitoride, abbracciandolo con le labbra e succhiandolo, dandole piacere immediato tanto è che la sento fremere e godere subito. “Eri eccitata eh?! …avevi voglia della mia bocca…” Angela annuisce con gli occhi, sorridendomi maliziosa. Infilo di nuovo la testa fra le sue gambe assaporando il suo piacere e infilo due dita dentro di lei… Voglio farla godere, con tutta la passione che mi è tornata a pelle dopo aver visto Fulvio. Le emozioni non tornano. Ti restano dentro. Questo racconto è stato tradotto e pubblicato in UK nell'antologia: http://www.deastore.com/book/la-dolce-vita-maxim-jakubowski-perseus-books/9780762448487.html |
Grazia ScanaviniClick here to edit. Archives
Dicembre 2016
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