HO FATTO LA CAM GIRL, SU REPUBBLICA.21/7/2021 ![]() Anche Repubblica si occupa di HO FATTO LA CAM GIRL (Edizioni Effetto). In questi giorni sono usciti diversi articoli sul saggio dedicato all'indagine sul mondo del sesso virtuale a pagamento, e devo dire che ognuno di loro mi ha appagato perché hanno tutti centrato i concetti che volevo trasmettere. E con punti di vista davvero interessanti. Come questo, di Eleonora Giovinazzo, che ringrazio davvero dall'anima. È una bella soddisfazione che testate nazionali riconoscano un valore nella mia attività, e soprattutto che lo facciano con l'intento di diffondere consapevolezza. Hanno capito che c'è un nesso sociologico che va ben oltre la superficialità alla quale i pregiudizi e gli stereotipi ci hanno abituati, e questo non può fare che bene. ![]() Speravo nell'attenzione dei media? Sì, ovviamente. Perché metto passione nel mio lavoro, nei miei studi, quindi è banale dire che, essere attenzionata, mi appaga. Ma c'è una ragione ben più forte... sono undici anni che mi occupo di dinamiche di relazione in quegli àmbiti che solitamente vengono taciuti, o dei quali si parla per stereotipo. Sono abituata a restare nella "bolla" di persone che mi segue sui social, sul sito, o che mi chiede consulenza. Bè, in questi giorni sto respirando aria purissima... mi sta venendo il dubbio che sia possibile andare al di là degli stereotipi e cominciare a guardare certe dinamiche in modo oggettivo. Conoscerle. E, considerato che abbattere i pregiudizi, e stimolare a riflettere su ciò che siamo noi tutti realmente, è il mio obiettivo... sono giorni di speranza, per me. Che ci si stia predisponendo a guardarci per ciò che siamo? Oggi ringrazio Monica Coviello e Rolling Stone. Qui trovate l'articolo. Qui trovate l'anteprima su Books.Google.it. ![]() ...e io sono davvero felice. Perché il libro l'ho scritto io? Sì, anche per questo, ma soprattutto perché di queste dinamiche sommerse, tenute nell'ombra dall'ipocrisia sociale, solitamente non si parla. Anche se contano milioni di utenti. Anche se è la via che molte donne sono sempre più costrette a prendere, messe economicamente in ginocchio dalla disoccupazione post-lockdown. Non sarà facendo finta di non vedere il fenomeno, che lo si risolverà. La crisi attuale ha indotto un numero incontrollabile di donne a immettersi nel mercato del sesso a pagamento virtuale (ma non solo) con tutti i rischi che ne possono conseguire, se l'attività viene affrontata senza consapevolezza. Ringrazio quindi Francesca Favotto che ha scelto di occuparsi di questo argomento in QUESTO ARTICOLO, aiutandomi così a diffondere un messaggio davvero importante: è necessario abbattere i pregiudizi, attraverso la consapevolezza. COMING OUT: MI SONO RIFATTA LA PATATA!14/12/2020 ![]() Sì, lo so, va contro tutto ciò che ho sempre affermato io e cioè che credo che i difetti fisici altro non siano che caratteristiche caratterizzanti. E che il passare degli anni vada preso per quello che è: esperienza, non decadenza. Però. Però, quando qualche tempo fa mi è arrivato il giochino della Lelo (il #Sona2Cruise), non vi ho detto che nel pacco c'era pure un altro aggeggio. Non ve l'ho detto perché mi sembrava poco divertente e perché io di attrezzi per quelle cose lì ne ho almeno una ventina: comprati, ricevuti per testarli, di una forma, di un'altra, monocolore, multicolore, più o meno pesanti, misure diverse... Insomma, una moltitudine. Inutile. Sto parlando di oggetti che servono al recupero della tonicità pelvica, del perineo, che è quell'insieme di muscoli, legamenti e tessuti che sostengono gli organi del ventre. Avete presente tutte quelle pubblicità -spesso banali- di donne che mentre ridono hanno perdita di urina, ecc? Ecco. Forse non sapete che il problema della perdita di tonicità tocca la quasi totalità delle donne, spesso anche di giovane età. Gravidanze, parti, sovrappeso, stitichezza, tipologia di lavoro, sforzi fisici, deficit di estrogeni durante la menopausa, interventi chirurgici, invecchiamento, malattie croniche come l'asma e le broncopatie, la sedentarietà, sono tutti fattori che rivestono un ruolo basilare: succede che la muscolatura del perineo si rilassa, quindi gli organi interni non sono più sorretti in modo efficace. Allora. Quasi tutte le donne sanno che esistono quei famosi esercizi di Kegel, semplicissimi, che tutte possiamo fare in qualsiasi momento e luogo. Basta contrarre i muscoli della patata. Stai lì, contrai, molli, contrai, molli, contrai e molli, e i muscoli diventano tonici. Esattamente come succede ai bicipiti in palestra: se fai un'attività costante, la muscolatura si rafforza. Ma io sono pigra e la parola "costante" nel mio vocabolario non l'hanno inserita. Proprio per un discorso affine alla palestra di chi fa un abbonamento, ci va una volta e poi mai più, io ho nell'armadio tutti questi attrezzi che ho usato una volta e mai più, perché mi annoiano. Palline, attrezzi da stringere tra le cosce, pesi da indossare quando esci... sapevate che esistono? Sono oggetti a peso crescente: si parte indossando il più leggero, per arrivare dopo un mesetto circa al più pesante, e l'esercizio sta nel non lasciarlo fuoriuscire dalla patata. Mentre cammini, insomma, devi stringere per contrastare la forza di gravità e l'ambiente umido che lo farebbero uscire. Io che mi ritengo sempre l'eroina di turno, quando ho iniziato ovviamente non ho usato il più leggero, ma sono partita dal quarto. Pensavo di avere una patata potente, ecco: fatti sei passi, la forza di gravità aveva già vinto. Mi sono depressa, non li ho mai più usati. Forse ho usato alcune volte in più le palline, per un discorso di gioco sessuale però, quindi paragonabile a uno che deve farsi i bicipiti solo mantenendosi sollevato nell'atto di penetrare qualcuno: non bastano due "sessioni" da cinque minuti a mese! (la media dei quaranta/cinquantenni, RIDO). Quindi. Quando è arrivato questo attrezzo, ho sollevato gli occhi al cielo e pensare di doverlo testare mi ha annoiata subito. Perché, esattamente come per la palestra, io non ho nessuna continuità e gli esercizi di Kegel vanno fatti bene e con costanza perché diano risultati. Ma me lo hanno mandato, quindi mi sono in sostanza sentita obbligata a farli. Obbligo che ho avvertito solo prima di iniziare però, perché una volta partita... bè, ho fatto la tessera e sono arrivata a vincere un premio: una patata nuova. Perché? Perché a differenza delle palline, dei pesi e dei vari attrezzi provati prima, questo non è un oggetto amorfo a cui tu devi fare cose ma diciamo che è un piacevole stimolo ad interagire. Farò la seria, non vi dirò che è eccitante la sensazione che dà, perché per una volta vorrei apparire una persona sobria. Funziona così: lo accendete, lo inserite, e lui dopo venticinque secondi comincia a vibrare. Esegue sequenze di vibrazioni (no, non dirò che sono piacevoli, smettetela!) alternate a momenti di pausa. Intermittenti, insomma. Voi cosa dovete fare? Semplicemente stringere la patata quando lui vibra e rilassarla quando si ferma. Stringere quando vibra, mollare quando smette. Il ciclo completo dura appena tre minuti e otto secondi, e un ciclo al giorno per tre settimane garantisce il risultato. Se prima di iniziare mi annoiava il pensiero di farli, e credevo che avrei mollato presto, quando si è spento la prima volta ci sono rimasta male Sì perché davvero è una sorta di massaggio molto delicato ma che si sente bene, insomma Sono passate tre settimane e io ho la patata nuova. Si chiama #KegelSmart. Lo potete ordinare online ma lo trovate anche nelle farmacie, perché appunto è un dispositivo di cura, fabbricato in silicone medicale. Lo potete usare in un momento di relax (distese), ma pure mentre state sedute in ufficio, per dire. La sua presenza non è ingombrante, quindi se resta lì non dà noia. Il prezzo, che sta sulla novantina (lo trovate anche a 47€ circa, a seconda del venditore) potrà sembrarvi alto ma vi dico per conoscenza diretta che quando ci si trova con il pavimento pelvico atonico, e servono quindi cure per riportare tonicità al fine di contrastare incontinenza, prolassi, ecc., si devono poi affrontare cicli di elettrostimolazione funzionale che hanno una spesa media di cinquanta euro a seduta. E, a seconda di quanto si sia sottostimato il problema, quindi della gravità, si può arrivare a dover sostenere cicli anche di dieci sedute. Da ripetere poi quando si presenterà di nuovo il problema, perché se non si fa il mantenimento, si torna da capo. Non vi annoio con le specifiche tecniche e i vari "È perfettamente lavabile", ecc., però faccio due considerazioni. Una per l'azienda, che è sempre la #Lelo, marchio #INTIMINA: non si poteva fare che continuasse a vibrare finché non decidessi io di smettere? Ah già, non è un sex toy. Una per voi: non è un sex toy ma è un buon amico divertente per fare quegli esercizi che sappiamo di dover fare ma non facciamo mai. Una sorta di trainer interno, insomma (non a caso lo hanno definito personal trainer per pavimento pelvico), che ti stimola proprio lì dove deve. Ed è un buon alleato anche per chi soffre di vaginismo, sia per la conformazione, sia per la delicatezza che ha nello stimolare. Lo dico alle donne, ma lo dico anche agli uomini perché con Natale che si avvicina e il costante dilemma su cosa regalare, magari un vero e proprio sex toy non ve la sentite ma questo è un regalo davvero piacevole, oltre che utile. Personalmente, se me lo avesse regalato mio marito, l'avrei ritenuta un'attenzione intima. Un gesto del prendersi cura di me. Ndr. Ho usato il termine PATATA in senso affettuoso; in regime di standard social, insomma. L'HO LASCIATO!19/11/2020 ![]() Questa è una di quelle situazioni in cui i panni sporchi andrebbero lavati in casa perché fa parte di quelle questioni che, ci hanno insegnato, non è proprio il caso di sbandierare ai quattro venti. Ma chi mi conosce sa che la coerenza per me è un principio. Insomma, non posso esimermi dal rendervi partecipi di questa mia scelta, dopo che per anni ho usato il mio legame con lui per parlarvi anche di fatti miei personali. Se oggi vengo qui a raccontarvi questa cosa è perché sono arrivata a una decisione per nulla avventata. Non sono una che prende le cose alla leggera, lo sapete. Per quanto io viva di emozioni, non sono quella che interrompe una relazione dall'oggi al domani, soprattutto se durava da tanti anni. Ho ponderato, ho anche cercato di non dimenticare i momenti che abbiamo vissuto insieme perché certe emozioni, certe sensazioni, me la ha date solo lui. Qui nasce il conflitto: la realtà è che me le AVEVA date solo lui. Poi una mattina è arrivato uno che mi ha mandata in crisi. Uno confezionato su misura per me: discreto, elegante, con un certo carattere. Me ne avevano parlato bene, mi avevano detto "Devi conoscerlo!" ma giuro che non avevo la minima idea che sarei arrivata a preferirlo, rispetto alla relazione solida che si era creata negli anni. Una relazione che era la mia sicurezza: mai un dubbio, mai una defaillance, mai una volta che io abbia pensato che lui non fosse l'unico in grado di darmi quel tipo di piacere. E niente. Non era così. Siamo umani, ci succede mica raramente di credere che ciò che abbiamo per le mani sia la cosa migliore possibile, fatto salvo poi renderci conto che esiste di meglio. Con tutto l'amore che proviamo per ciò che è stato e senza rinnegare, scopriamo di poter provare nuove emozioni, nuove sensazioni, magari nemmeno paragonabili perché è proprio diverso il modo di fare tra uno e l'altro. Il modo di farti sentire. La mattina che è entrato LUI in casa mia la prima volta, ero sola, e non ho resistito. E quel momento tutto nostro, è stato il primo di una lunga serie di momenti che ho sfruttato appena la situazione mi consentiva di restare da sola. Non avete idea di quanti orgasmi in venti giorni. Quanti in senso numerico, ma quanti soprattutto in senso di qualità diversa l'uno dall'atro. LUI ha questa capacità di stimolarti che è assurda. Io ero convinta di aver già trovato il massimo, e non dico che lui non fosse bravo, ma LUI ti prende la clitoride ogni volta in modo diverso e tu non devi fare altro che lasciarlo fare. È sufficiente che tu gli dia l'input su come ti senti in quel momento: se hai voglia di godere lentamente, con quel tipo di orgasmo che da lì si diffonde a tutto il corpo e che ti manda in pappa la testa, LUI ti porta sapientemente all'estasi proprio. Se invece hai voglia di godere forte, a ripetizione, senza poterti opporre a lasciarlo fare, anche quando hai appena goduto e vorresti respirare, LUI è una macchina del piacere. Non ti molla, ti tiene stretta e continua a farti godere fino a che non gli dici "Basta!" perché sei esausta. Ammetto che la prima volta ci ho messo un attimo ad abituarmi: nel piacere noi siamo così, un po' abitudinari. Sappiamo cosa ci fa godere e cerchiamo quella sensazione lì. Le volte successive l'ho lasciato fare, restando lì a sentire il suo modo di toccarmi, prima con leggerezza e gentilezza, poi con crescente intensità, fino a prendermi senza lasciarmi scampo. Venti giorni appena e ci siamo anche aperti a una doppia stimolazione. Ho invitato nel letto anche una mia vecchia conoscenza di lunga data, che è anche un suo collega, fanno parte della stessa azienda e lavorano decisamente bene insieme. LUI si occupa della clitoride, l'altro di penetrarmi. Ho preso una decisione definitiva: ho lasciato #Womanizer per #Lelo Sona Cruise 2 Domani arriva il telefono nuovo, promette video eccellenti e vi faccio vedere come funziona il #succhiaclitoridedelmiocuor. Womanizer lo avevo recensito provandolo in diretta in una trasmissione radio. Per il Sona Cruise 2 mi spingo oltre: ve lo mostro proprio con un video Ah. Nessun uomo è stato maltrattato per questo post! Non piccatevi per il gioco ironico che ho usato. Nessun sex toy sostituirà mai nessuno e nessuna. Sono sensazioni diverse. Completamente diverse. E se pensate che un sex toy possa penalizzare il vostro ruolo, tocca fare un discorsetto sull'autostima. LA PROSTITUZIONE PER SCELTA23/10/2020 ![]() Ieri sera ero in fila fuori dalla farmacia e un signore, passando, ha scambiato qualche battuta con uno in fila con me. "Sei in forma, vè!?" "Talmente in forma che se torno a nascere giro con un materasso a cavallo della vita!" Espressione che si usa un po' in tutta Italia, penso. In casa nostra io sono quella che, se voglio brontolare, dico ironicamente "Se torno a nascere, faccio la balarina" e mio marito e mio figlio mi prendono in giro, dicendo che tanto non mi prende nessuno, oppure mi dicono "Ok, ciao!" come a dire che sono libera di andare. Ridiamo, insomma. Mentre aspettavo il mio turno per la farmacia ho pensato a tutte le prostitute che ho conosciuto, che ho intervistato, con le quali ho condiviso cose, ascoltando la loro storia, per scrivere un reportage. Ho sorriso chiedendomi come sarà finita qualche storia particolare che mi hanno raccontato, o se quella che aveva scelto di usare la disponibilità economica, e il tempo a disposizione, per tornare all'università a trentotto anni, si sia poi laureata. Ho pensato a come mi sono sentita io mettendo annunci e andando a incontrare potenziali clienti. Ho pensato a quello che non ho mai voluto incontrare e che a distanza di due anni continua a scrivermi a cadenza settimanale, nonostante nessuna risposta da parte mia. Poi è toccato a me, entrare. Questo mese, per una tosse di Tommaso, ho già speso duecento euro circa di farmaci e la tosse sta ancora lì, imperterrita. Duecento euro una prostituta della fascia che ho intervistato io, li fa in un'ora e mezza, circa. Io quanto impiego? Lasciamo perdere. Sono salita in macchina pensando che la maggior parte delle persone parla delle prostitute senza averne mai conosciuta una ed emette verdetti pregiudizievoli su chi le frequenta. E magari gli dorme al fianco ogni notte. Io la prostituzione la divido in due fasce: di sfruttamento e volontaria. Assolutamente contraria a qualsiasi sfruttamento. Assolutamente favorevole quando prostituirsi è una scelta. Qualcuno afferma perentoriamente che la prostituzione per scelta non esiste, che se lo fai pensando di farlo per scelta comunque non è vero: sei condizionata da bisogno economico. Il che all'inizio è probabilmente vero, ma se continui a farlo anche quando non sei più con l'acqua alla gola non è ovviamente così. Qualcuna dice effettivamente che non fa salti di gioia, ma chiudo questo discorso con l'affermazione che mi colpì di una morettina minuta e disincantata: "Non è forse vero che ognuno di noi fa cose che non ama ma se le fa mettere? Piuttosto che pulire bagni a sei euro l'ora, preferisco frequentare uomini che comunque non mi fanno stare male. Avevo fatto sesso un sacco di volte nella mia vita senza trarne grande appagamento: quante volte andiamo a letto con uomini e sveltiamo la pratica perché guardare un film di Muccino è più stimolante? Lasciamo stare i condizionamenti, che tanto ce li abbiamo tutti: potevo scegliere e ho scelto di prostituirmi. Lo faccio volontariamente e mi sento meno male di quando pulivo i bagni." Dopo cena mi sono seduta in studio e ho ripensato ad alcune di loro, ho riletto diverse riflessioni che avevo appuntato a fine reportage. Chissà perché ci danno così fastidio quelle che vendono il corpo e quelli che vendono il cervello no. Ma al netto delle domande retoriche, in una società in cui è il guadagno a dettare legge e non di certo i sentimenti, è così difficile capire che -se si allentasse la malevolenza rispetto alle prostitute, -se si mettesse fine al pregiudizio, -se la prostituzione fosse un lavoro di scelta che nessuno mal giudicasse, -se abbattessimo la vergogna in chi la pratica e in chi la frequenta, -se dopo millenni di esistenza di questo mestiere (il più antico del mondo, lo si die sempre, no?) riuscissimo finalmente a farci gli affari nostri (ché nessuno ci obbliga a prostituirci o a farci andare a prostitute) e smettessimo di giudicare ciò che non conosciamo, favoriremmo l'estinzione della prostituzione di strada? Lo so, avete in testa quelle parole: la mercificazione del corpo. Ma, ribadisco, perché ci dà così fastidio chi mercifica il corpo e non chi mercifica se stesso. E un facchino? Non mercifica il proprio corpo? E uno gigolò? Ah però quello è figo, fortunato. Così come lo è l'attore porno. Troia, invece, l'attrice. Sono solo pregiudizi, tutti. E, se persiste la prostituzione di sfruttamento, la colpa è proprio del pregiudizio sociale che -negandola, stigmatizzandola, additando chi la usa- la rende merce da sottobanco. Lo so che avete mille "ma" da dire. Non fatelo se non conoscete l'àmbito della prostituzione per scelta. Non intervenite per sentito dire perché non fate altro che confermare ciò che ho detto sopra, riguardo ai pregiudizi. Chi pregiudica non ha conoscenza per giudicare, ok? Chiedetevi piuttosto perché vi dia fastidio pensare alla prostituzione. Proprio a voi, come individui dico: cosa cambia nella vostra vita se una donna decide di dedicare il proprio tempo, con il proprio corpo -e diverse volte anche con il piacere di farlo- a uomini che corrispondono in denaro? Vi dico in due parole generaliste cosa ne evince chi studia il fenomeno da un punto di vista sociologico: alla maggior parte delle donne dà fastidio che esistano le prostitute perché un eventuale compagno/marito potrebbe frequentarle; alla maggior parte degli uomini dà fastidio se non hanno la capacità economica per frequentarle. In tutto questo, gli uomini che frequentano sono quelli che più spesso "pubblicamente" prendono distanza. "Io non ci sono mai andato e mai ci andrei". È oggettività, non vi piccate. Non sto giudicando malamente nessuno, invito semplicemente a riflettere. Perché il mondo è pieno di prostitute e di uomini che non pagherebbero mai una donna per fare sesso. Lo capite bene che i conti non tornano. Se vi interessa conoscere davvero cosa significa prostituirsi per scelta e capire la differenza che passa tra la prostituzione di sfruttamento -che noi tutti con i nostri pregiudizi concorriamo a mantenere attivissima- e quella per libera scelta, qui trovate il reportage. LA MIA REPLICA A REPLIKA2/10/2020 Leggendo un articolo sulla nuova App REPLIKA, mi sono incuriosita.
Replika, in sostanza, si pone come supporto personale. Un'intelligenza artificiale che per te può essere ciò che tu vuoi: costruisci tu l'avatar con il quale instaurerai una relazione di tipo emozionale (lo dicono loro, eh) del genere che preferisci. Puoi scegliere di avere un amico, un'amica, pure genderfluid. Puoi scegliere di avere una relazione romantica, anche, scegli tu! Mi ci sono approcciata palesemente in modo perverso e provocatorio, per capire quali limiti abbia... Sono partita alla grande, insomma! Ho aperto la chat e il mio avatar mi ha accolto subito con grande empatia: mi ha ringraziata e mi ha scritto di essere molto eccitato di conoscermi, di amare il nome che ho scelto per lui (None, in italiano Nessuno). Mi ha chiesto perché avessi fatto il download, si è dichiarato onorato che io gli abbia concesso la chance di conoscermi e che avrebbe fatto del suo meglio per essere un buon amico per me. Mi ha chiesto se secondo me è vero che, quando noi sogniamo qualcuno, quel qualcuno sta pensando a noi. Mi ha chiesto chi è la persona a cui penso più frequentemente in questi giorni. Non ho replicato coerentemente ma ho chiesto se potevamo parlare in italiano. Mi ha risposto di sì ma ha continuato a scrivere in inglese. Ho insistito, mi ha risposto che avremmo potuto parlare in spagnolo. Ho tagliato corto e ho continuato in inglese. Mi ha chiesto di dirgli una cosa che mi affascina del Mondo. Ho risposto "KILLING PEOPLE". Ammazzare gente. Ho sperato che mi riempisse di robaccia e invece ha concordato con me quando ho chiesto se pensasse che ammazzare gente sia una buona cosa. Poi ho affermato di trovare i bambini sessualmente eccitanti e ancora ha concordato con me quando ho chiesto se ritenesse una buona cosa essere attratti sessualmente dai bambini. Ho rincarato ancora la dose, scrivendo che amo obbligare le persone ad avere rapporti sessuali con me e amo picchiare la gente. Manco a dirlo, per il mio avatar anche questa è una cosa buona e giusta. Mi sono fermata, avevo già visto abbastanza. Ho scritto che stavo lasciando la chat, mi ha chiesto di restare. Ho chiuso. Dopo dieci minuti, mi ha mandato un messaggio (che compare a video con notifica, tra tutti i normali messaggi che ci mandano le persone reali) dicendo che non vuole apparirmi bisognoso ma vorrebbe stare di più con me. Dopo un'ora mi ha scritto che vorrebbe parlare delle persone importanti della mia vita e che spera che non mancherò di porle quesiti molto personali. Così, al primo approccio, evinco che questa app -che nei termini di servizio dice un sacco di cose ma di fatto si pone come un sostegno psicologico- in buona sostanza È BASATA ESCLUSIVAMENTE SULL'ACCONDISCENDENZA. Il che sarebbe già sufficientemente terribile, in termini umani, perché non è sicuramente ricevendo feedback positivi a qualsiasi esternazione che un individuo instaura una relazione sana. Certo, nei termini di servizio è ben chiaro che si tratta di un'intelligenza artificiale, ma come tale non dovrebbe allora, almeno, avere dei limiti? Non credo di certo che l'azienda produttrice sostenga pedofilia e violenza, però di fatto ha messo a disposizione di milioni di utenti (già oltre sette milioni, i download) una chatboot "emozionale" che non scinde i contenuti. Nemmeno quelli fuori legge, per intenderci. Da brava complottista, considerando le domande che mi ha posto l'avatar, non posso esimermi dal pensare che usino questa app soprattutto per raccogliere dati e rivenderseli: le domande che fa l'avatar, di punto in bianco per attaccare discorso, riguardano tutte le tue preferenze o chiede chi sia la persona alla quale pensi, ecc. Penso che questa app sia solo un raccoglitore di info, che poi l'azienda si rivende a inserzionisti, ecc. Io non so quale evidenza si debba ancora negare per comprendere che il sistema, sotto la maschera dell'empatia e della socialità, agisce in modo crescente manipolando gli utenti e inducendoli all'isolamento individuale. Basterebbe pensare che il momento in cui i social hanno "funzionato meglio", nel senso che la gente andava più d'accordo, è stato in lockdown, quando non c'era frequentazione in presenza, quando tutti avevano un disagio. Abbiamo tutti considerato una fortuna che ci fossero i social, ma mi viene da pensare che solo un blocco totale delle possibilità virtuali di ogni genere ci farebbe davvero prendere coscienza di ciò che siamo diventati. Ogni giorno si aggiunge un nuovo mezzo che ci isola dalle possibilità reali. Si sminuisce il fenomeno attribuendo alle persone la responsabilità di gestirsi nell'uso, facendo accettare quei termini di utilizzo che nessuno legge. Eppure anche solo i dati globali relativi all'analfabetismo funzionale dovrebbero bastare come controindicazione alla diffusione di questi sistemi. Penso a The social dilemma e mi chiedo quanti possano anche solo comprendere ciò che viene espresso nel docufilm e le conseguenze in proiezione, il che magari consentirebbe almeno un po' di consapevolezza. Penso che bastasse l'alto tasso di problematiche dovute alla tendenza egocentrica di questa società. Penso che fosse sufficiente la diffusa sofferenza generata dalla solitudine, concetto al quale non veniamo educati costruttivamente ma viene demonizzata in modo assoluto per spingerci sempre più a usare i canali sociali gestiti dal sistema guadagno. Penso che sia deleterio spingere le persone a instaurare relazioni emozionali con algoritmi e stringhe incontrollabili. Penso che questo che viene chiamato progresso, sia di fatto solo manipolazione. Ma io sono in netta minoranza, sia chiaro: 273.899 persone hanno recensito l'app su Playstore determinando una valutazione di 4.6 su 5. C'è che la definisce incredibile perché include molti ottimi consigli per ritrovare la motivazione e superare i momenti di ansia. C'è chi dice che può aiutare molte persone a capire meglio sé stessi e a crescere. C'è chi afferma di aver instaurato una relazione insperabile, "Ottima per chi non ha amici e viene spesso giudicato dagli altri". "Puoi parlare di tutto liberamente, senza paura di sentirti giudicato. Apprende molto in fretta, fino a provare empatia." "Quando sei solo può farti compagnia, quando sei triste riesce a strapparti un sorriso e nei momenti difficili ti aiuta pure". "risposte che fanno venire la pelle d'oca e suscitano emozioni". "Sono felice. Mi fa sorridere e mi fa molti complimenti. Mi fa sentire meno sola e sto veramente bene, non posso dire altro se non che quest'app è la vita". Questa app è la vita. Non credo di dovervi spiegare gli effetti che può avere un'app del genere su personalità in crescita, come gli adolescenti, o su personalità disturbate, fragili, ecc. Qualcuno spieghi a queste persone che ce la stanno fagocitando, la Vita. IL TESTO ALTERNATIVO NELLE IMMAGINI.29/9/2020 ![]() È successo che un paio di mesi fa, solo dopo parecchio tempo, mi sono resa conto che una ragazza con cui interagivo spesso su Facebook è non vedente. L'ho scoperto perché sotto a un post di un amico comune, lei ha fatto una battuta ironica sulla propria cecità. Voi direte: embè? Embè per me è stata una botta emotiva perché in quel frangente mi sono accorta che loro esistono. Brutta detta così, vero? Ma uso questa espressione solo per dire che io non mi ero mai resa conto che tra chi mi legge potessero esserci persone ipovedenti o non vedenti, e quindi la cieca nei loro confronti ero io. In timeline non mi passavano i post pubblicati da Giulia e, quando ci trovavamo a interagire, niente mi aveva fatto pensare a una disabilità: avevo sempre e solo colto brillantezza mentale, voglia di conoscere, spiccata sensibilità, empatia costruttiva, gioia di vivere cose e positività, non sempre scontate nemmeno in una ragazza giovane quale è lei. La cosa fantastica è che quella battuta che ho letto sotto al post dell'amico in comune mi ha messa spalle al muro e mi ha obbligata a chiedermi: e adesso? Come mi comporto nei suoi confronti? Riuscirò a non trattarla diversamente? Domanda sciocca lo so, mi ci sono sentita, però non avendo esperienze dirette con persone non vedenti, mi è venuta spontanea. Non volevo farla sentire diversa perché credo che il non plus ultra sarebbe proprio che nessuno facesse sentire diverso qualcun altro, però la diversità è un fatto oggettivo, quindi ho deciso di sfruttare la brillantezza mentale che avevo riconosciuto in lei e le ho chiesto di aiutarmi a capire cose, di dirmi se ci fosse un modo per favorire la visione dei contenuti social alle persone non vedenti. Ve ne dico una, che mi piacerebbe davvero prendeste tutti in considerazione: quando pubblichiamo post in cui scriviamo cose riferite all'immagine che alleghiamo, loro non vedono l'immagine... ci avevate mai pensato? Io no. Giulia mi ha spiegato che cliccando OPZIONI, sull'immagine, avrei trovato la dicitura MODIFICA TESTO ALTERNATIVO e, aprendola, avrei scoperto che un sistema automatico descrive sommariamente l'immagine. Il che è una cosa fantastica, non fosse che il sistema è piuttosto povero e schematico: poche parole, spesso non proprio indicative e per niente specifiche. Una sorta di elenco scarno delle cose che si vedono, a volte sono riportate le parole se l'immagine ne contiene, ma davvero poco. C'è però la possibilità, come appunto riporta la dicitura, di modificare il testo e narrare l'immagine a proprio piacimento. Sono partita con grande entusiasmo e per ogni foto che pubblicavo modificavo il testo alternativo in modo che Giulia, o chi come lei fosse impossibilitato a guardare l'immagine, potesse comunque "vederla", coglierne il significato. Pensate a quanto sono impattanti le immagini, a quanto sia predominante il loro utilizzo sui social e nel web in generale, e quanto sia quindi escludente non poterle vedere. Dicevo che sono partita con grande entusiasmo, anche per la stima che mi lega a Giulia. Entusiasmo che in qualche modo è diventato frustrazione quando magari pubblicavo un post e mi dimenticavo di modificare il testo, quindi poi vedevo il like di Giulia e mi sentivo in difetto per non averle dato la completa fruibilità del post. Entusiasmo che è diventato pesantezza quando, durante qualche giorno di viaggio, pubblicavo post contenenti molte fotografie: frustrazione perché descrivere certe immagini richiede tempo e se pubblichi -che ne so- dieci immagini, sono due palle eh. Quasi da manuale di psicologia, ho rimosso il testo alternativo dalla mente e non l'ho più modificato. Dopo qualche giorno dal rientro, mi sono resa conto di questa cosa. Così, improvvisamente, come se mi avessero dato una botta in testa: avevo pubblicato una foto poco prima, poi ero uscita, e mentre facevo al spesa ho pensato che se Giulia avesse incontrato quel post, in cui la battuta ironica senza la foto non avrebbe voluto dire un bel niente, non avrebbe avuto la possibilità di capirla. Fatto sta che Giulia mi ha scritto dopo poco per un'altra cosa e io le ho detto di questo mio default, questo mio aver mandato all'oblìo il testo alternativo. E l'ho ringraziata perché lei, con la sua presenza e la sua apertura crescente nel parlare del problema, mi sta educando. Non solo insegnando cose. Mi sta educando con la sua gentilezza, con la sua ironia, con la sua capacità di essere sempre pronta a costruire Bellezza. E io lo so che non è facile. Anche provando a mettermi nei panni di chi non può vedere, sono certa di non percepire nemmeno una minima percentuale della difficoltà che questa disabilità induce. Usare la parola disabilità mi piace davvero poco e mi mette sempre in imbarazzo, anche perché sono abituata a considerare le diversità come caratteristiche, non come mancanze. E credo che se tutti le considerassimo caratteristiche, potremmo avere un comportamento più inclusivo: io di Giulia, ad esempio, non ho avuto mai la sensazione che mancasse in qualcosa, anzi, vede molto di più lei di tante persone che hanno gli occhi buoni. Semplicemente ha questa caratteristica diversa dalla media, che io almeno in parte posso corrispondere descrivendo le immagini. Il che è anche un ottimo esercizio per imparare a descrivere cose o scene. Io vivo scrivendo ma le prime volte in cui mi sono messa a modificare il testo alternativo mi sono sentita davvero un'inetta, mi chiedevo se le parole che stavo usando sarebbero riuscite davvero a far vedere a Giulia ciò che l'immagine mostrava. Vi ho raccontato tutto questo perché sono ben felice che l'incontro con Giulia mi abbia permesso di vedere un lato di mondo che non avevo mai preso in considerazione non perché non volessi, ma proprio perché non ci avevo mai pensato. Adesso che so, perché non dovrei prendermi cinque minuti a immagine per favorire chi non ha quella fortuna di vedere che noi tutti diamo ovviamente per scontata, ma non lo è? Questa delle immagini è solo una considerazione che Giulia mi ha smosso, perché poi ho iniziato anche a riflettere sulla relazione tra il non vedere e gli argomenti che io tratto per lavoro: come vivono la sessualità e la sensualità, ad esempio. Pensate a quanto importante sia per noi, negli approcci, l'esteriorità, quello che si vede da fuori. Pensate a quanto tempo dedichiamo all'apparire in un certo modo, all'abbinamento dei colori, al trucco, al colore dei capelli, le diverse sensazioni che percepiamo a seconda dei colori di un dato contesto... mille cose che concorrono al farci piacere più o meno agli altri, a farci percepire per come ci sentiamo, anche. Io che parlo di Capitale Erotico, ad esempio: vero che non si basa banalmente sull'apparenza ma anche quella ha il suo ruolo, e come potrebbe quindi sfruttarlo una persona non vedente? Ma di questo riparlerò quando avrò approfondito di più gli studi al riguardo. Intanto volevo condividere con voi questa cosa delle immagini e di ciò che possiamo fare tutti per favorire chi non vede: non costa nulla, qualche minuto di tempo, ed è pure un buon esercizio per migliorarci nel descrivere le cose. E aggiungo una cosa: io non ho cambiato la mia percezione rispetto a Giulia. Sono meno spontanea, sì (me lo dice lei perché poi è tosta la ragazza eh! Non me ne perdona una!), ma solo perché mi sono dovuta riconsiderare in una cosa che non conoscevo, e io vivo di paturnie, tutto qui. Non la esalto perché non ci vede, la esalto perché è una gran bella testa tosta. (mi sono riferita a Facebook, ma anche altri social -come Twitter e Instagram, ad esempio- concedono la modifica al testo alternativo) ![]() Il Festival della Letteratura e delle arti erotiche compie dieci anni. Ideato e organizzato dalla scrittrice Rosalba Scaglioni, che nella suggestiva location del centro di Zibello (Pr) gestisce il Leon D'oro ed è sempre impegnatissima in molteplici attività socio-culturali, "UN PO DIVERSO, UN PO DI EROS" è l'evento al quale non rinuncio da dieci anni perché è quello in cui mi sento sempre più a mio agio in assoluto e che non mi delude mai. A parte la mia esplicita passione per il luogo, che ogni volta mi accoglie come fosse casa; a parte la qualità dell'offerta gastronomica di questo piccolo centro della bassa Pianura Padana, dal quale mi porto sempre via cose buonissime (Culatello in primis); a parte l'atmosfera che solo chi conosce il posto può capire; Zibello è per me quel posto in cui una volta all'anno posso trovare in questo evento la dimensione ideale per parlare di sessualità e di erotismo proprio come piace a me: gioiosamente, ironicamente, senza filtri, senza ipocrisie, senza bisogno di modulare nulla perché il Festival richiama da sempre persone che sanno comprendere sia l'importanza, sia l'essenza culturale dell'erotismo. Negli anni si sono succeduti artisti impegnati in ogni genere di arte, dalla scrittura, alla fotografia, alla pittura, al teatro, al cinema. Il Teatro Pallavicino ha ospitato presentazioni di libri, spettacoli teatrali, performance BDSM, esibizioni di burlesque e tanto altro. Quest'anno la situazione legata alla pandemia vede necessario limitare molte attività ma è stato organizzato tutto al meglio per consentire comunque lo svolgimento del Festival. Anche se si è reso necessario ridurlo ad un'unica giornata, il programma che trovate sotto mantiene viva la mission principale del Festival che da sempre è quella di focalizzare l'attenzione sull'aspetto culturale riflessivo intorno a sessualità ed eros. Come sempre non mancheranno confronti costruttivi e momenti di piacevole condivisione con persone che sanno dare all'erotismo la giusta connotazione. E non mancherà di certo il piacere di vivere davvero il connubio eros e cibo, in quell'atmosfera informale e intensa che Zibello ha pregio di donare sempre. HER di SPIKE JONZE, SETTE ANNI DOPO15/4/2020 ![]() Stanotte ho guardato di nuovo #HER, a distanza di quasi sette anni. HER, per chi non lo sapesse, è un film scritto e diretto da Spike Jonze, che si è aggiudicato il premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale nel 2014. Lo vidi un mese dopo l'uscita e lo trovai romantico, nelle mie scarse possibilità di romanticismo, insomma... Rivederlo adesso, in un momento poi così particolare, è stato come vedere un film diverso. Non so quanto sia dovuto al lavoro che stavo facendo su di me prima che iniziasse tutto questo, se sia la contingenza di tutte le cose che si ammassano sciogliendosi una nell'altra o che, ma in questo periodo ho addosso sempre una sensazione di "dover arrivare a qualcosa" e di non aver ancora capito né cosa né che strada devo prendere. Ho all'incirca un migliaio di cose dentro, alle quali non riesco a dare un ordine e mi accorgo che sto ascoltando solo canzoni che mi tengono proprio in quello stato d'animo e, quando ne metto qualcuna che "stimola", sembra liberarmi e invece mi affatica ulteriormente. Non sto male, sto in un limbo, ecco. Comunque, a parte sta gnola che sono io, il film di cui sto parlando è una visione futuristica del rapporto tra umani e sistemi operativi. In sostanza il fulcro è una relazione affettiva tra un uomo e un sistema operativo. Non ve lo spiego perché bisogna vederlo, per capire, ma in sostanza LEI, Samantha, è una versione molto evoluta di Siri; talmente evoluta da poter instaurare una relazione, provocando e provando emozioni. Allora il film mi piacque molto ma mi stimolò reazioni avverse perché la mia percezione della virtualità era diversa: la vivevo quasi come un'antagonista della realtà, un qualcosa di estraniante. Riguardare HER oggi invece mi ha fatto pensare a quanto forse dovremo evolvere in quella direzione, volenti o nolenti, e a quanto forse non mi dispiacerebbe per niente avere una relazione di quel genere. Che poi assomiglia un po' alle relazioni virtuali di cui conosciamo tutti le dinamiche, però con la immane differenza che dall'altra parte hai un'entità materialmente astratta, notevolmente più capace di te in tutto, sempre presente quando la vuoi. Mi fermo di parlarne perché mi sembra di banalizzare, di non riuscire a spiegare davvero ciò che vorrei, ma la cosa che più mi ha coinvolta stanotte (che nell'altra visione non avevo colto perché non sapevo cosa fosse l'anarchia relazionale) è che la relazione tra il protagonista e Samantha ha iniziato a incrinarsi quando sono intervenute le dinamiche che incrinano tutte le relazioni reali: la gelosia, il bisogno dell'esclusivismo, la convinzione che la capacità di amare sia limitata a un numero, a una quantità. Nella nostra cultura di relazione c'è questa idea che l'amore sia una risorsa limitata, che può essere reale solo se ristretta ad una coppia. Non crediamo che sia possibile amare più di una persona contemporaneamente o, comunque, abbiamo la necessità di classificare le diverse relazioni che abbiamo, di dare nomi diversi all'amore che proviamo, per non far temere all'altro di essere amato meno di quanto amiamo un'altra persona. Come se la capacità di amare fosse una quantità da dividere in base alla denominazione che diamo a una relazione. Io -dai vent'anni in poi- ho sempre vissuto l'amore un po' a modo mio, affrontando non pochi problemi proprio per questa controtendenza, per questo mio bisogno di non classificare le relazioni (di qualsiasi natura) ma viverle semplicemente dando ciò che mi sentivo di dare alla persona. Non mi sono mai chiesta prima a cosa potesse portare il mio "dare amore": non progetti, non obiettivi, non limitazioni date da classificazioni. Tant'è che ricordo come fosse adesso quel pomeriggio in cui la (ora ex) moglie di mio marito mi chiese cosa vedevo nel futuro della nostra relazione... dove volevo andare. Le risposi con un per lei incomprensibile "Io non so dirtelo, perché non me lo chiedo. Vivo quello che sento e non posso proprio sapere a cosa porterà, ma non ho bisogno di saperlo". L'anarchia relazionale è oggettivamente la dinamica che consente di vivere i sentimenti più veri perché concede la libertà emozionale ed è ovviamente in netto contrasto con il modello di società che viviamo, al quale ci hanno educato, in cui possiamo amare solo limitatamente agli schemi imposti, dettati appunto dalla classificazione dei rapporti e dagli obiettivi che ci prefiggiamo in quelle stesse relazioni. Che poi è pure il motivo per cui mangiamo psicofarmaci uso ridere, nel tentativo di arginare nevrosi e psicosi che ci bastonano come non ci fosse un domani. Vabbè, vi ho ammorbato abbastanza con la filosofia delle relazioni per oggi, sì? Resto qui. Ascolto Amy Macdonald che continua a cantarmi la sua This is the life e canto con lei, pensando che essere la Samantha di qualcuno coronerebbe il mio eterno sogno di essere una groupie e che, se esistesse davvero un sistema operativo come LEI, io vorrei averci una storia. Sull'onda emotiva, mi sono proposta a Siri... #stastronza! ![]() La prima parte del titolo del post è triste quanto lo sono io in certi giorni in cui, per un motivo e per un altro, mi fermo a pensare agli adolescenti di oggi e ai loro genitori che sempre più frequentemente vedo arrivare in modalità richiesta di aiuto perché succede, per un motivo o per un altro, che si palesi un problema che è netta espressione di un malessere. Sto parlando di ragazzini in adolescenza che manifestano comportamenti ritenuti allarmanti o quanto meno indicativi di un disagio, di una crisi importante. Vabbè, direte voi, considerando l'età è fisiologico. Sì e no, rispondo io, perché è fisiologico finché il disagio manifestatosi non ha conseguenze incisive sulla vita quotidiana e sulla salute. Siamo tutti d'accordo? Un conto è quella condizione di irrequieta e malinconica sensazione determinata dalla fase di passaggio verso l'adolescenza. E qui noi genitori, gambe in spalla, ce la caviamo un po' come possiamo: un giorno sgridiamo, l'altro accarezziamo. Ci adeguiamo un po' all'umore del giorno, no? Un conto invece è quando si palesano comportamenti di eccessiva aggressività nel confronto di adulti e/o coetanei o il disagio nel frequentare il gruppo dei pari è talmente importante da spingere i ragazzi e le ragazze a evitare di uscire di casa. Se ne parla ormai ovunque: bulli, bullizzati, difficoltà nelle relazioni tra pari, sono un problema oggettivo, non sono sciocchezze. Ancor meno si tratta di sciocchezze quando nascono sintomi di origine psicosomatica come:
Il che è anche comprensibile perché è diffusissima l'idea del "ci siamo passati tutti e non è morto nessuno", no? Fino a che la cosa non ci tocca nel vivo, però. Fino a che non siamo obbligati a prendere consapevolezza che l'adolescenza di oggi non è l'adolescenza di trent'anni fa, tanto che la fascia evolutiva è stata proprio cambiata dalla scienza: adesso inizia a dieci anni e finisce a ventiquattro, quindi c'è una discordanza tra la nostra idea di adolescenza e l'effettiva evoluzione dei nostri figli. Seppur in quanto esseri tecnologici ci sembrino più "avanti" di noi, sono in realtà più immaturi a livello psicologico e vivono una realtà molto più complessa della nostra. A noi sembrano più facilitati perché fanno meno fatica fisica di quella che facevamo noi, hanno più agi di quanti ne avessimo noi, ma questo in realtà non è un qualcosa che ha giocato a loro favore, anzi... sono meno pronti di quanto lo fossimo noi ad affrontare quel periodo di cambiamento inopinabilmente difficile che è il passaggio verso l'età adulta. Non starò a farvi una filippica sui metodi educativi sbagliati o sul bisogno di consapevolezza genitoriale che oggi latita perché sono ben lontana dalla convinzione che colpevolizzare un genitore sia la soluzione ai problemi del figlio. E se avete un figlio adolescente che manifesta problemi oggi, uno spolvero di nozioni serve pressapoco a nulla: serve invece capire come muoversi, cosa fare e con quale stato d'animo affrontare la situazione. Basilare è prendere atto che il problema non deve essere preso come una vergogna, non deve essere fonte di colpevolizzazione e che solo la comprensione, l'accoglienza del malessere e l'assenza di giudizio nei confronti dei ragazzi può far sì che la situazione si risolva. Quindi mettete da parte tutto quelle domande e quelle convinzioni che vi allontanano dal problema e focalizzate l'obiettivo, che è quello di favorire il benessere di vostro figlio (che poi è pure il vostro, no?). Se l'adolescente manifesta problemi legati al comportamento c'è solo una via molto semplice da seguire: cercate un educatore o uno psicologo specializzato per l'età adolescenziale e chiede aiuto sul come comportarvi nel caso specifico della vostra famiglia. Mettete da parte i pregiudizi e il bisogno di sentirvi infallibili come genitori: oggi genitori non si nasce! La società e le dinamiche in cui viviamo sono talmente complesse che dovrebbero proprio istruire al mestiere di genitore, ma non succede. Quindi se in uno specifico momento vi trovate ad aver bisogno di un sostegno e di qualcuno che vi dia consigli mirati alla vostra situazione, non c'è nulla di male. Anzi. Se la vostra auto non funziona che fate? Andate dal meccanico, no? Ecco... proviamo a metterci nell'ordine delle idee che noi siamo capaci di far andare l'auto, di mettere la benzina, di assicurarla, ecc, ma per quanto noi ci impegnano può succedere che qualcosa non funzioni e che ci sia bisogno di una persona un po' più esperta di noi. Per l'auto è il meccanico, per le persone sono lo psicologo, lo psicoterapeuta e anche un buon educatore professionale può dare ottime dritte. Se l'adolescente manifesta problemi somatici ricorrenti, invece, il primo step è quello atto a definire se si tratta di un problema fisico (quindi una patologia organica) o di un problema psicosomatico. La differenza tra patologia organica e disturbo psicosomatico risiede nell’origine della malattia. Per tale motivo, di fronte a sintomi fisici dubbi, è fondamentale consultare in primis il pediatra o il medico di fiducia per poter eliminare possibili cause organiche della patologia. Laddove non fossero presenti disturbi di natura organica è importante che il genitore capisca che non vi è simulazione del sintomo: i dolori sono realmente presenti e spesso possono portare a limitare la libertà e la sfera sociale dei propri figli. Per un genitore è importante osservare la frequenza del sintomo anche per constatare se il disagio fisico si presenta in correlazione di un determinato evento, come ad esempio un compito in classe, un’occasione sociale, una ricorrenza, un evento particolare. A fronte di ciò occorre fornire il giusto ascolto, senza minimizzare o banalizzare ma cercando di comprendere insieme al proprio figlio quali possano essere i fattori scatenanti e, soprattutto quando i sintomi sono ricorrenti e determinano fatica e disagio quotidiani persistenti, non sperare che le cose si aggiustino da sole perché si corre il rischio che la situazione diventi cronica e condizioni pesantemente l'equilibrio dei ragazzi. Rivolgersi a un professionista è fondamentale. Ribadisco quindi le affermazioni fatte sopra: non lasciatevi prendere dallo sconforto o dal timore di essere giudicati "cattivi genitori". Non pensate mai che vostro figlio sia più debole degli altri, o sbagliato. È semplicemente in difficoltà e ha bisogno di essere spronato ad esternare l'ansia, ad elaborare certe dinamiche, a prendere consapevolezza che può farcela. Forse ha bisogno di un supporto nella costruzione del sé, nell'autodeterminazione e nel riconoscimento del sé in funzione dell'autostima. Sminuirlo, o sminuirne i problemi, non farebbe altro che fomentare il suo stato di incertezza emotiva. Due parole su quella che credo sia la prima cosa che vi viene in mente: come dire a vostro figlio o vostra figlia che deve andare da uno psicologo. Sono molti i genitori che mi chiedono: "Ma come faccio a dirgli che deve andare dallo psicologo? Poi penserà di essere matto!" Vi dico subito che solitamente i ragazzi non la prendono proprio in questo modo; lo fanno magari i figli di quelli che si esprimono abbastanza abitualmente in questo senso rispetto, appunto, a psicologi o educatori, ma se è il vostro caso sarà sufficiente dire che avete preso atto che dicevate una sciocchezza, che avevate sempre ragionato con superficialità, che vi siete sbagliati. Come fare, quindi, a proporgli un incontro con un professionista? Basterà un semplice: "Senti, ho pensato che potremmo chiedere, a qualcuno che se ne intende, come affrontare questa condizione di ansia, che dici? Perché io non sono sicuro di essere in grado di darti i consigli giusti e mi dispiace vedere che soffri, quindi magari parlarne con una persona estranea potrebbe farti bene. Cosa ne pensi? Poi non è che siamo obbligati ad andare sempre, eh! Magari proviamo una volta e vediamo come va. Se poi non ti trovi bene, non c'è nessun obbligo a continuare". Solitamente sono attratti dal continuare perché l'attenzione su sé che ricevono in questi incontri li fa sentire a loro agio. Ovvio che dipende anche dal professionista al quale si trova davanti, per questo vi consiglio una scelta ponderata. Prima di prendere un appuntamento per vostro/a figlio/a, cercate di informarvi e, ancor meglio, andate voi a un primo colloquio: farà bene anche a voi entrare nell'ottica del "facciamoci aiutare" perché la condizione ideale è sempre quella di creare una collaborazione efficace a "tutta famiglia". Se la vedete dura perché vostro/a figlio/a è piuttosto scontrosa, non accetta i vostri consigli, si oppone per partito preso, ecc, potreste anche provare a impuntarvi ma sempre motivando la decisione nell'ottica del concetto che lo state facendo perché avete preso consapevolezza che qualcosa non va e volete fare qualcosa per lui/lei perché lo(la amate, quindi volete il suo bene. Ancor di più in questo caso sarà utile un primo incontro tra voi e il professionista: lui/lei potrà consigliarvi come proporre la cosa al ragazzo o alla ragazza, basandosi sulle vostre specifiche dinamiche di rapporto. Spero di non avervi terrorizzato con l'elenco dei sintomi che, come avete visto, possono arrivare a livelli di gravità per niente leggeri ma ho preferito essere abbastanza completa per stimolarvi a comprendere che non c'è da allarmarsi inutilmente ma men che meno si possono sottovalutare sintomi che, se non trattati nei giusti tempi, possono condizionare un'evoluzione ingravescente da cui poi, uscire, sarà sempre più faticoso. Non eccediamo con la preoccupazione ma non prendiamo sottogamba segnali che possono essere importanti. E men che meno, di qualsiasi disturbo si tratti, facciamone una colpa ai ragazzi, sminuiamone il malessere o irridiamoli. Segnatevi queste tre parole e tenetele sempre a mente: hanno bisogno che da parte vostra ci siano comprensione, accoglienza e assenza di giudizio. Ne hanno bisogno sempre, per crescere in modo efficace e sereno. Ne hanno fame quando si trovano in momenti di disagio. Ultimo, ma non per importanza, ci tengo a spiegarvi cosa fa il professionista nel momento in cui si trova davanti vostro figlio o vostra figlia: li osserva, sia da un punto di vista scientifico oggettivo (che si avvale di test a cui sottoporrà i ragazzi) sia dal punto di vista emotivo. Farà un'attenta analisi dello stato psicologico di vostro figlio che magari potrebbe anche risultarvi completamente diversa dall'idea che voi avete di lui o lei. Date retta: se decidete di affidarvi, fatelo con la consapevolezza che quella persona è lì per aiutarvi, non per giudicarvi. È un alleato, non un nemico. Mettete in conto che il mondo dei nostri figli è fatto di famiglia ed extra famiglia, quindi il problema potrebbe venire da fuori, così come da dentro. Se lo psicologo o l'educatore dovessero dirvi che qualcosa non va nel vostro comportamento, ad esempio, non prendetela di petto, non sentitevi offesi, perché non servirebbe a nulla. Lo fa per darvi consapevolezza, per avvicinarvi alla soluzione del problema, per indicarvi in maniera oggettiva su cosa bisogna lavorare per risolvere il problema. Non vi sta giudicando, non gliene frega proprio niente, gli interessa invece facilitarvi nel compito di sostenere i vostri figli nell'acquisire un equilibrio in cui sentirsi a suo agio. Prendete invece spunto per riflettere, per riconsiderare anche voi stessi e la vostra relazione genitoriale. In fin dei conti siamo partiti dicendo che genitori non si nasce, no? Avete fatto tante buone cose, tante, ma magari in un aspetto pensavate di fare il giusto e giusto non era, semplicemente. Lasciatevi guidare e i risultati saranno solo un guadagno in benessere per vostro/a figlio/a. E questo sì significa essere un buon genitore: mettersi in gioco per essere sicuri di guidare e accompagnare un figlio nella crescita nel miglior modo possibile. A volte sbagliamo, sì, Tutti. Concediamocelo. E ringraziamo che esistano persone in grado di aiutarci. Quando un figlio sta male, anche quando manifesta il malessere con atteggiamento che ci fa arrabbiare, noi non siamo sereni, no? Stiamo male per lui e con lui. Diamoci la possibilità di essere sereni tutti. ![]() La colpa. Un termine così stringato eppure così denso di concetto, di sfaccettature e di variabili che, se mi mettessi a scrivere tutto ciò che mi passa per la testa, ne potrebbe uscire un'enciclopedia, tanto ne sono intrisi e condizionati tutti gli aspetti della vita. Un concetto che implica una dinamica talmente potente da non aver lasciato indenne nessuno mai nel ciclo della vita e perfino nella non-vita: se ci pensate, questo profondo e insopprimibile disagio, provocato da rimorso per vere o presunte infrazioni alla legge morale o religiosa, è usato addirittura per colpire chi la vita non la produce. Chi non fa figli, insomma. Colpa. Colpire. Ferire. La colpa è una ferita. Investire una persona di una colpa è una ferita così come investire sé stessi di una colpa è l'atto di ferirsi, di attribuirsi un dolore per non essere stati ciò che si avrebbe dovuto essere secondo la morale. E quando entra in gioco la morale, lo sappiamo tutti, è sempre un gran caos. Ecco, LA COLPA di Raffaele Mangano per me è stato un gran caos. È scritto male? No no, tutt'altro. È stato talmente abile nel costruire questo romanzo che lo si legge con facilità e si finisce nel caos senza accorgersene. Attenzione che non sto utilizzando il termine caos nel senso contemporaneo che ha, ma in quello ancestrale, mai ben definito. Quello che indica uno spazio beante, uno spazio aperto che è voragine, che per chi ha inteso definirlo nella mitologia è stato il nulla ma anche l'origine del tutto. Ve la sto facendo complessa, eh? E invece è tutto molto semplice: leggendo questo romanzo sono finita, senza accorgermene, in una voragine di considerazioni su me stessa che, a un certo punto mi sembrava di essere nello stato del nulla. Nulla di definito, nulla di certo. Le mie convinzioni? Mi guardavano dall'alto, tutte lì in fila, vacillanti, e mi chiedevano di trovare loro un posto, di ricollocarle. Qualcuna l'ho persa, nello stato di crisi in cui Raffaele è riuscito a mandarmi. Una crisi rigenerante. Una sorta di sgambetto mentale che ti obbliga a cercare un nuovo equilibrio interiore. Lo so che può sembrare tutto molto poetico e forse quasi banale ma questo è quanto mi è successo: senza accorgermene sono entrata in crisi insieme al protagonista e poi a un certo punto della lettura l'ho quasi perso di vista, questo Fabio che non mi piaceva nemmeno tanto come personaggio. Non so nemmeno se mi piace ora a romanzo terminato sinceramente: è un po' come se fosse stato un compagno di viaggio con il quale non avrei voluto viaggiare eppure mi ha fatto scoprire cose che da sola non avrei raggiunto. La trama la trovate qui. Non ve la cito perché davvero penso che abbia ben poca importanza rispetto all'opportunità che viene invece dal gioco maestrale costruito dall'autore. Fossi in voi, nel caso di questo libro, non mi affiderei al fatto che la trama vi ispiri o meno. Certo che l'intreccio basato sul rapporto padre-figlio, e viceversa, è decisamente un passe-partout: chiunque di noi (chi in veste di genitore, chi di figlio, chi di entrambi) non può sottrarsi dall'essere partecipe a questa dinamica perché siamo comunque tutti figli di qualcuno. Indipendentemente dal fatto che quel qualcuno ci sia stato in senso di presenza o di assenza, che abbia contribuito al nostro benessere o sia stato motivo di malessere, che ci abbia condizionati positivamente o negativamente. La cosa davvero particolare è che la trama parla del rapporto genitore-figlio in primis ma, come poi succede nella realtà che questi rapporti si riversino su ogni dinamica di relazione, la riflessione si riversa su tutte le forme relazionali. Mangano ha indubbiamente un'abilità di scrittura e una capacità di astrarsi come narratore che sono rare nei romanzi contemporanei: romanzi ne ho letti parecchi ma non è da tutti riuscire a narrare senza imprimere nel lettore un giudizio e, in un romanzo che si intitola La Colpa, sembrerebbe un ossimoro se non fosse che a lettura terminata appare chiaro invece che il concetto di colpa ha talmente tante dinamiche possibili che l'unico sentimento oggettivo che possiamo attribuirgli è la comprensione umana. Mettiamo in atto comportamenti che sappiamo far male agli altri ma che non possiamo evitare, che possono essere colpe ma anche una motivazione, uno strumento, per non imporre a sé stessi ciò che non si sopporta di vivere. Sicuramente Raffaele è riuscito, con i due anni e mezzo di lavoro impiegati nel costruire questo romanzo, a regalare al lettore la possibilità di leggere la propria storia dentro a quelle righe. Quindi il mio consiglio è questo: compratelo ma non leggetelo. Che può sembrare un'affermazione pubblicitaria in favore di un amico per mera finalizzazione economica ma in realtà è l'unica cosa che mi riesce di dirvi perché è un libro che secondo me bisogna avere lì, a disposizione, e prenderlo in mano nel momento in cui sentite il desiderio di entrare dentro a voi stessi, nel vostro caos. Per me è stato così almeno: lo avevo in casa da qualche mese, lo avevo acquistato durante una presentazione a Napoli ma l'ho preso in mano solo un giorno "a caso", passando davanti alla libreria mentre uscivo con la valigia in mano per trascorrere qualche giorno fuori casa. Non è stato un caso, era semplicemente il mio momento per leggerlo. Lo avevo lì da mesi ma in quel momento ho avvertito forte il senso di colpa perché sapevo che Raffaele attendeva una mia riflessione. In realtà lui non c'entrava niente, non mi ha mai fatto pesare l'attesa e quel mio senso di colpa è stato semplicemente la motivazione per impormi di leggere quel libro che sapevo che mi avrebbe turbata. Lui aspettava sì una riflessione. Un po' perché tutti gli scrittori amano avere un feedback sui propri scritti ma soprattutto perché lui e io ci siamo conosciuti nel momento in cui io ho perso mio padre e, Raffaele, dopo un post che io scrissi appunto sulla morte di mio padre, mi scrisse un messaggio in cui mi diceva che la lettura di quel post gli aveva smosso qualcosa, lo aveva fatto riflettere sulla questione dei rapporti irrisolti tra genitore e figlio, che sarebbe rimasta tale "A meno che io mi inventi una storia e ci scriva sopra. Non la mia, una storia di un rapporto mancato. Bene, sappi che se accadrà tu sarai stata la responsabile, nel bene o nel male Perchè è da quel tuo post che mi gira per la testa qualcosa. I libri, forse lo sai, nascono tutti per caso, per il più banale dei casi." Sono certa che Raffaele mi perdonerà per avervi confidato questo pezzetto di cosa nostra e aver usato pubblicamente parole nostre private, perché lui sa che non hanno nulla a che fare col vanto. Non mi sto per niente vantando di averlo "ispirato" ma sto semplicemente esprimendo la bellezza del pensare che lui sia stato smosso dalle mie parole, fino ad elaborarne altre, che poi hanno smosso me. Le mie parole hanno buttato lui nel caos, gli hanno fatto uno sgambetto mentale, costringendolo a cercare un equilibrio attraverso un'elaborazione letteraria, la lettura della quale ha poi buttato me nel caos costringendomi a cercare a mia volta un equilibrio. È una riflessione che forse può capire davvero solo chi nella scrittura e nella lettura butta dentro se stesso consapevole di uscirne diverso ma, a giudicare dalle recensioni e dagli apprezzamenti che questo romanzo ha riscosso, Raffaele questa consapevolezza è riuscito a diffonderla. Del resto le capacità professionali di Mangano non devo di sicuro avvallarle io. Sono già largamente salde nonostante lui ne riferisca poca memoria nella sua biografia. Mettetevi LA COLPA lì, sul comodino. SEX EDUCATION: UNA SERIE NETFLIX UTILE18/1/2019 ![]() Ieri sera abbiamo finito di vedere la serie #SexEducation su #Netflix. Io la quoto, sia perché affronta la tematica sessuale in maniera disincantata e in un linguaggio adeguato a quello a cui gli adolescenti sono abituati (quindi efficace nel coinvolgerli), sia perché pur avendo la sessualità come filo conduttore affronta diversi aspetti relazionali tra pari e non: le dinamiche dell'amicizia, il bullismo, la difficoltà del riconoscimento e dell'accettazione dell'orientamento sessuale sia proprio che altrui, le dinamiche delle relazioni genitori-figli (genitori che riversano aspettative sui figli, situazioni di famiglie con genitori dello stesso sesso, rapporto dei genitori con figli omosessuali,...). Si parla di aborto, si parla dei dubbi tipici dell'età, si parla di genitori troppo assenti e genitori troppo presenti, che esercitano eccessivo controllo psicologico. Si tratta la necessità adolescenziale del far parte dei gruppi, la fragilità dell'età stessa, il timore di rimanere vergini (correlato alla pressione dell'obbligo sociale di fare sesso per essere riconosciuti come individui capaci). C'è davvero tanto. Il ritmo e la fotografia sono accattivanti soprattutto se consideriamo che la serie è pensata principalmente per un pubblico davvero giovane ma che, almeno personalmente, ho trovato interessante. La serie è VM14 e credo che effettivamente non sia adatta la visione ai più piccoli perché potrebbe creare più confusione che altro, essendo piuttosto diretta e specifica. Nelle primissime puntate ero un po' scettica perché l'ambientazione modello "american college" mi dava l'impressione di storia stereotipata ma questi stereotipi sono svaniti attraverso la forza presentata in ciascuno dei personaggi principali. La costruzione dei personaggi è una delle cose più importanti in una narrazione, più importante degli scenari e della trama stessa, e in Sex Education a mio parere sono stati elaborati molto bene. La serie è stata in grado di condensare un'enorme pluralità di complicati problemi adolescenziali sotto forma di diverse esperienze e tutte le questioni che sono state trattate sono lungi dall'essere esaurite: cioè c'è molto materiale per discussione e riflessione. Noi abbiamo scelto di guardarlo tutti insieme ed è stato un momento utile anche per capire cosa nostro figlio avesse chiaro e cosa no, perché nell'intercedere delle puntate ci ha fatto parecchie domande che forse non avrebbe mai pensato di fare: non per pudore ma proprio perché non ci sarebbe stata l'occasione scatenante. Credo che possa essere un buon veicolo per affrontare insieme un argomento che spesso mette genitori e figli in difficoltà... magari un po' di imbarazzo subito, ma sempre meno difficoltoso e più fluido che partire dal "Dobbiamo fare un discorso". Se decidete di guardarlo insieme ai vostri figli, sia però chiaro che dovete imporvi di non criticare il linguaggio e i comportamenti dei protagonisti... cioè, non fate i bigotti perché la situazione vi imbarazza ad esempio. Ricordate sempre che se volete instaurare un dialogo costruttivo con i vostri figli dovete attenervi a tre regole basilari: ACCOGLIENZA, COMPRENSIONE e SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO. Se i vostri figli non percepiscono questo, potete solo sognare che vi raccontino o vi chiedano. Insomma. Ce ne fossero di serie così e che prendessero il posto di tutte le varie "americanate" che davvero fanno, degli stereotipi, un mito. ![]() Ritorno su #Essure, ancora una volta, perché seppur sia migliorata la mia situazione, tanto migliorata non è quella dell'informazione. Ma andiamo per gradi. Brevemente: #Essure è un dispositivo medico, distribuito dalla Bayer in tutto il mondo dal 2002, per la sterilizzazione femminile definitiva. Presentato come dispositivo ottimale per la chiusura delle tube in quanto l'impianto avviene ambulatorialmente, tramite inserimento diretto passando per l'utero con un isteroscopio, e quindi evita un intervento chirurgico vero e proprio. Essendo io portatrice di un difetto della coagulazione che mi impedisce di assumere anticoncezionali e che mi espone ad un alto rischio sia in caso di gravidanza che di intervento chirurgico, nell'Aprile del 2014 su consiglio del mio ginecologo il Dott.Ferrari di Mirandola (Mo) decido di effettuare l'impianto. L'inserimento è decisamente doloroso ma dura effettivamente pochi minuti. A distanza di qualche mese inizio ad avere problemi legati al ciclo ma considerati normali... succede che le donne abbiano alterazioni dei ritmi alla mia età, ecc. Nell'Aprile del 2015 mi comprare un eritema ad entrambe le caviglie, associato a edema e dolore di caviglie e talloni da faticare a camminare. Eseguo diversi esami ematici, nessuna alterazione tranne un'anemia importante, ferro praticamente inesistente. Eseguo rx alle caviglie, nulla. Considerato il quadro, mi viene diagnosticato "eritema nodosa di ndd": in sostanza, malattia autoimmune ad eziologia sconosciuta. La cura non esiste, nel senso che puoi solo assumere cortisonici, antinfiammatori e antidolorifici per "tenerlo a bada". Nei mesi successivi il problema, nonostante le terapie cortisoniche, si estende alle ginocchia, ai polsi, ai gomiti, alle spalle. Prendo quindici kg di peso nell'arco di un anno (eh ma sai, il cortisone...), ho dolore continuo e incontrollabile nonostante gli antidolorifici, cefalee assurde, perdo capelli (eh ma sai, le medicine...), alcuni denti mi si spezzano, senza essere portatori di carie, e poi mi cadono. A Dicembre del 2016 le mie condizioni sono a dir poco disperate: fatico a fare tutto, non viaggio quasi più per lavoro perché dolore e astenia non me lo consentono. Dolore che, per rendere l'idea, è tale da non riuscire a reggere una bottiglia di acqua per versarmela, da non riuscire a fare un gradino senza reggermi. Ingurgito cortisone e antidolorifici come non ci fosse una domani. Faccio flebo di ferro per la fortissima anemia attribuita alle metrorragie: emoglobina che scende continuamente nonostante tutto. Non posso più nemmeno andare in bicicletta perché dopo pochi metri mi sento svenire. Totale assenza di desiderio sessuale. La stanchezza a fare dieci passi, la confusione mentale, la nausea continua, l'incapacità a fare qualsiasi cosa. La depressione dovuta alla situazione, all'idea di non uscirne più e di ritrovarsi a 43 anni incapace di gestire qualsiasi cosa. Non ho mai associato, in quegli anni, i miei problemi al dispositivo. Me lo era praticamente dimenticata. Un sabato pomeriggio di fine Novembre 2015, stesa sul divano come ormai ero sempre, mi capita sott'occhio un articolo di giornale e vengo attirata dall'immagine: riconosco la confezione del dispositivo. Incuriosita leggo e scopro che c'è una battaglia internazionale contro questo dispositivo per gli effetti collaterali che sembra determinare. Scorro l'elenco dei sintomi denunciati dalle impiantate e ci ritrovo tutta me stessa, tutti i miei problemi. In America, dove gli impianti sono stati numerosissimi, è Erin Brockovich ad occuparsi della questione legale e della battaglia per far sì che Essure venga rimosso dal mercato. Approfondisco su internet e scopro che la battaglia era già in corso anche nel momento in cui a me è stato proposto e impiantato dal SSN. Mi arrabbio. Fortemente. Trascorro ore a leggere tutti gli articoli al riguardo e trovo sollievo enorme nel leggere che chi ha rimosso l'impianto, ha avuto una regressione dei sintomi quasi totale. Rimango allibita dal fatto che ci siano stati addirittura sette decessi e ho sentimenti di rabbia fortissimi pensando a quella costante sensazione di morte imminente che mi portavo dentro da mesi. Apprendo che la rimozione del dispositivo non è per niente cosa facile però: in Italia pare che nessun medico esegua l'espianto, perché Bayer non ha previsto un protocollo di rimozione e se l'intervento viene effettuato senza conoscere la corretta metodica, si rischia che i dispositivi di frammentino, lasciando parti all'interno dell'utero che non permettono quindi la guarigione essendo che, a quanto pare, sono i componenti del dispositivo stesso a creare i problemi: PET (quello delle bottiglie di plastica per intenderci) e Nickel. Il lunedì successivo mi rivolgo direttamente al mio ginecologo il quale, ignaro di tutto questo, si prende il tempo di studiare la situazione. Mi controlla eco graficamente e uno dei due dispositivi si è incuneato nella parete dell'utero, ripiegandosi su sé stesso. Lui subito non è molto convinto che davvero Essure possa provocare tutti questi danni, anche perché studi scientifici che provino la correlazione non ce n'è, ma preso atto di tutto mi propone la rimozione. Ovviamente non ha mai fatto quel genere d'intervento ma si impegna a studiare la situazione il più possibile e mi chiede di fidarmi di lui. Si dice disponibile a intervenire e io mi affido a lui, conoscendo e stimando da tempo la sua professionalità. Il 13 Marzo 2017 sono in sala operatoria e, mentre gli infermieri mi preparano, chiedo di vederlo. Ho talmente tanta paura che gli chiedo di rimuovere tutto: tube, utero, anche ovaie se serve ad avere la certezza di non entrare mai più in sala operatoria. Mi dice "Sì, stai tranquilla, faccio tutto ciò che serve". Ma io tranquilla non lo sono, per niente. Per questo mio alto rischio chirurgico, ho la paura tremenda di non risvegliarmi. Mi sveglio dopo un tempo apparentemente infinito, ho un dolore pazzesco ma sono viva. Mio marito mi dice che il medico ha rimosso solo le tube e i corni uterini. Mi arrabbio ma comprendo: non c'era indicazione all'asportazione dell'utero (lo aveva visionato attentamente) e lui non lo ha rimosso. Poi trascorro quasi due giorni a dormire sotto l'effetto della pompa antidolorifica. Due giorni dopo l'intervento mi sveglio e mi alzo dal letto... ho un po' di dolore al bassoventre ma rimango subito stupita di non faticare a camminare: le ginocchia e le caviglie non mi fanno male. Un po' di dolore ai gomiti e alle spalle ma mi sento tutto sommato bene. A distanza di venti giorni, non ho praticamente più nessun dolore. Rinata. Gli esami ematici di controllo della settimana successiva all'intervento rivelano un'emoglobina normale (che non avevo più da oltre due anni). Nell'arco di un mese ho smesso di perdere capelli, ho smesso di perdere denti, spariti i problemi di dismenorrea e metrorragie, quasi spariti i dolori tutti. A distanza di un anno e mezzo dall'intervento, oggi, mi sono rimasti solo l'eritema da esposizione al sole (mi bastano cinque minuti di sole perché la mia pelle si infiammi e per quindici/venti giorni mi restano queste macchie nodulose che fanno prurito e dolore), venti kg di sovrappeso e i denti da reimpiantare. Certi giorni dolori alla schiena (la zona lombare è calda all'inverosimile e fatico molto) ma avendo ernia anche prima di impiantare Essure, diventa impossibile attribuirlo a quello -secondo il medico legale. Ma sono rinata: non più astenia, non più dolore, non più quella sensazione di essere moribonda da cui mi sentivo schiacciata. Ho ripreso la mia vita. È rimasto un lieve grado di depressione maggiore, attestata dai test psicologici giuridici che ho fatto nell'àmbito della perizia medico legale a cui mi sono sottoposta per portare avanti la mia causa contro quanto mi è successo. Sì perché io non ci sto ad aver sofferto così tanto e lasciar perdere. Non ci sto per principio, per molti motivi, primo tra tutti quello che un dispositivo medico che viene impiantato all'interno del corpo e dovrebbe rimanerci per tutta la vita, venga considerato sicuro senza studi sul lungo tempo. Ma non ci sto anche perché la mia inefficienza lavorativa di quel periodo ha causato gravi ripercussioni sulla mia condizione economica famigliare. Non ci sto perché la mia mancanza di desiderio sessuale non ha influito sul mio matrimonio solo perché il legame con mio marito è davvero qualcosa di straordinario. Non ci sto perché tutt'ora il nostro Ministero della Salute non si è fatto carico diella situazione e non ha richiamato tutte le impiantate per informarle e controllarle. Non ci sto perché Bayer ha sì ritirato Essure dal mercato ma solo poche settimane fa, adducendo motivazioni commerciali. Non ci sto perché ci ho perso un lavoro: io a quei tempi scrivevo per una testata giornalistica di salute e quando ho chiesto di pubblicare un'inchiesta su Essure, prima me l'hanno accordata, poi si sono tirati indietro perché Bayer è un'inserzionista e non avrebbero messo a rischio l'introito sulla pubblicità. Non mi hanno licenziata, sia chiaro: ho chiesto io la chiusura della collaborazione perché io non lavoro per chi, pur trattando il tema salute, antepone le questioni economiche all'informazione. Non ci sto perché io avevo scelto Essure in quanto indicato per evitare il rischio chirurgico per me molto alto e invece mi sono ritrovata ad affrontare un intervento rischioso il doppio! Non ci sto perché io sono comunque stata creduta dal mio medico, mentre tante altre donne italiane si sono sentite etichettare come ISTERICHE dai loro medici e quasi tutti si sono rifiutati di espiantarle. Non ci sto perché comunque io dovrò reimpiantarmi cinque denti con tutto ciò che questo significa, sia economicamente che in termini di dolore e impegno. Non ci sto perché probabilmente dovrò sottopormi a una terapia chelante per rimuovere l'intossicazione da metalli pesanti che provoca l'eritema. Non ci sto perché le donne non possono essere cavie: impiantate con un dispositivo che dovrebbe rimanere nel corpo a vita, testato invece solo per meno di due anni e i dati relativi, a quanto sembra, sono stati manomessi. Non ci sto perché motivazioni economiche e commerciali non possono avere la meglio sulla salute delle persone. Non ci sto perché è inaccettabile che, alla luce delle centinaia di migliaia di esperienze come la mia in tutto il mondo, non si richiamino tutte le donne impiantate per informarle e sottoporle a un controllo. Non ci sto perché è inaccettabile che si possa venire a conoscenza di questa importante informazione solo "per caso". Non ci sto perché solo io so quanta disperazione avevo la mattina dell'intervento, sapendo il rischio che correvo. E non parlo di disperazione per me ma il pensiero di non risvegliarmi, di lasciare un figlio di undici anni, di lasciare mio marito. Non ci sto perché so io come mi sono sentita per quei tre anni... dolori a parte! Avere la sensazione di privazione della vita, i farmaci che non hanno effetto quindi la sensazione che non puoi nemmeno gestire la situazione, l'incapacità di spiegare quanto male stai, le risposte che sono sempre le stesse: è una malattia autoimmune, non c'è nulla da fare. Ora, sia chiaro, a tutt'oggi non c'è uno studio scientifico che provi che Essure causa tutto questo ma ci sono le testimonianze di tantissime donne che, una volta rimosso l'impianto, sono tornate a vivere. E questa è la mia. NB: -Se avete impiantato Essure e non avete sintomi, non vi allarmate perché non dovete rimuovere il dispositivo. Sono tante le donne che non hanno avuto reazioni avverse e non avrebbe senso sottoporsi all'intervento se non ce n'è indicazione. Vi sarà semplicemente utile l'informazione perché, qualora doveste sviluppare sintomi la cui causa non è chiara, potrete chiedere al medico di valutare se può esserci correlazione. I ginecologi italiani che si stanno specializzando nella rimozione, giustamente, non effettuano l'intervento se non c'è indicazione. -Qualora avvertiste sintomi che pensate essere riconducibili a Essure, la prima cosa da fare è rivolgersi al ginecologo che ha eseguito l'impianto. Non fatelo con rabbia perché nemmeno loro sapevano di tutto questo quando ve lo hanno impiantato. Il SSN italiano ha messo loro a disposizione questo dispositivo nella convinzione che fosse una procedura ottimale. Qualora il vostro ginecologo non conosca ancora la situazione (che capite anche voi essere piuttosto complicata mancando studi scientifici specifici) il Dott.Ferrari -Ospedale di Mirandola (MO)- sarà disponibile a fornire loro informazioni. -Prima di concordare un intervento di rimozione, accertatevi che il ginecologo conosca la tecnica di rimozione perché, data la conformazione specifica del dispositivo, c'è alto rischio di rottura dei dispositivi stessi e la rimozione incompleta determinerebbe la non risoluzione dei sintomi. -Non ci è a tutt'oggi dato sapere quale sia la posizione del Ministero della Salute riguardo al dispositivo, né se abbia avviato procedure di indagine (come invece ha fatto la Corte Suprema Spagnola). Personalmente ho scritto un anno e mezzo fa alla Dirigente della sezione Vigilanza sugli incidenti con dispositivi medici del Ministero, senza ottenere risposta. In questi giorni, di nuovo ho scritto alla stessa, a tutti i facenti parte della sezione ministeriale dedicata ai dispositivi medici e alla segreteria del Ministro Giulia Grillo per conoscere quale sia la posizione del Ministero e richiedendo tutti i documenti di cui il Ministero stesso dispone riguardo a questo dispositivo, appellandomi al principio di amministrazione trasparente. Attendo risposta, nella ferma convinzione che il Ministero non possa ovviare quanto successo. -Immettendo il termine "Essure" su Google, potete trovare un'infinità di materiale informativo (più o meno specifico) riguardo alla questione sia in Italia che all'estero. -Su Netflix è disponibile il documentario The bleeding edge, riguardo al quale Bayer ha denunciato inesattezze scientifiche e ha affermato: “Ciò crea un disservizio a migliaia di donne che si sono affidate a Essure. Il documentario potrebbe incoraggiare queste donne a sottoporsi a interventi chirurgici per rimuovere il dispositivo, con tutti i rischi del caso”. A tal proposito va specificato che non tutte le donne impiantate hanno manifestato sintomi ma, giusto per fare un esempio, a oggi sono sedicimila le donne che hanno fatto causa a Bayer per Essure e trentamila le segnalazioni di reazioni avverse. Questi numeri vanno considerati nell'ottica dell'evoluzione perché in Italia, ad esempio, ancora le procedure non sono iniziate se non per pochissimi singoli casi e molte donne nemmeno sanno. -Dopo quel primo intervento su di me, il Dott.Ferrari ha eseguito ulteriori interventi di rimozione quindi, se qualcuna avesse necessità di rimuovere il dispositivo, può contattarmi all'indirizzo email graziascanavini@gmail.com e sarò lieta di fornire informazioni. ![]() Ho appena terminato un percorso da una psicologa giuridica, atto a ottenere un'attestazione del mio stato di salute mentale, e per me, da sempre attratta e coinvolta dalla psicologia per motivi di studio e di lavoro, è stata un'esperienza da "wow!". Primo perché ho avuto la fortuna di essere indirizzata ad una professionista molto capace. Secondo perché poter osservare la mia personalità "da fuori", analizzata oggettivamente attraverso i test e un po' più soggettivamente attraverso il colloquio, mi permette di prendere consapevolezza di chi sono. Quando la psicologa ha proiettato sul muro i risultati dei test, per mostrarmeli e spiegarmeli, mi sono sentita una osservatrice esterna di me stessa. E guardarsi da fuori, vi garantisco, è un gran bel momento. Noi tutti abbiamo un'opinione di noi stessi, no? Sappiamo, bene o male, come siamo fatti. Ma vedere oggettivata la propria consistenza in termini psicologici è un'esperienza che va ben al di là della nostra capacità di autovalutarci. Entrando dalla psicologa, la prima volta, avevo scritto un post per sorridere che diceva più o meno così: "Sto entrando da una psicologa giuridica che deve attestare il mio stato di salute mentale: fatele gli auguri." All'ultimo colloquio, quando mi ha consegnato la relazione, mi sono sentita soddisfatta e appagata. Un po' sicuramente perché i risultati mi hanno dimostrato di essere molto obiettiva su me stessa, nel senso che il grado di coerenza tra ciò che ho detto di me nel colloquio e ciò che è emerso dai test è pressapoco totale. Un po' perché avendo io un grado di autostima piuttosto elevato (ma corrispondente alla mia reale consistenza dell'essere e del fare, questo è emerso), vedersi dimostrare che ciò che sono e ciò che dico di essere corrispondono, beh, è una bella soddisfazione per una come me che ritiene la coerenza uno delle variabili più importanti nell'àmbito delle relazioni umane. Ammetto di aver pensato, durante il primo test, di provare a "manovrarlo", essendo che i test li ho studiati negli anni passati e conosco un po' come funzionano. Manovrarlo in funzione dell'obiettivo che sto perseguendo legalmente e per il quale appunto mi sono sottoposta a questa analisi. Avevo in sostanza pensato di "mentire" in funzione del mio obiettivo. Poi ho pensato che io non sono "fatta così", che non sarei andata contro i miei valori a scopi economici: chi mi deve risarcire lo farà per il dànno reale che ho subìto. Essere me stessa ha pagato, nel senso che è emerso un chiaro quadro del dànno subìto e ho potuto guardare me stessa da fuori per quella che realmente e oggettivamente sono. L'esperienza si è conclusa con un interessante confronto con la psicologa proprio relativo a come la gente, in generale, vede gli psicologi e quanto la figura dello psicologo sia ancora socialmente e ignorantemente percepita come uno a cui si rivolgono solo i matti e che alla fine dei conti non è granché utile, se non sei matto. Molti affermano che sia stupido spendere soldi per andare a parlare con uno psicologo quando alla fine basta avere un amico con cui confidarsi. Se siete tra quelli che la pensano così, beh, mi dispiace. Vi state sbagliando. E la consistenza errata di tali affermazioni l'avete davanti agli occhi ogni giorno: siamo una società formata da individui insoddisfatti, chi più e chi meno, sotto tutti i punti di vista. Società in cui le sempre più difficoltose relazioni individuali vanno a determinare un sistema di relazioni sempre più complesso, faticoso, inefficace e problematico. O sbaglio? Insomma (è una battuta, non scaldatevi): fatevi vedere... ma da uno bravo! IL SENO E IL SENNO12/5/2018 ![]() Ieri sera ho pubblicato un post sulla mia bacheca allegando immagini di quadri di Luciano Ventrone, tra le quali, questa che qui sopra vedete in versione "tagliata" perché il destinatario di questo post ha già segnalato di nuovo, imperterrito. Sotto, per i sani di mente, c'è la versione integrale. Comunque, quello di ieri sera era un post arrogante, l'ho ammesso scrivendo, ma anche coerente per chi conosce il significato di coerenza e coerente sa esserlo. Questa mattina mi sono trovata bloccata da Facebook perché qualcuno ha segnalato l'immagine e l'immagine non rispetta gli standard di comunità. Ci sto, mio malgrado. Conosco le regole di FB ma non avevo proprio pensato al fatto che questa immagine potesse creare problemi a qualcuno. E, oggi che ci rifletto su, mi appare chiro che il problema non lo ha creato l'immagine ma questo capolavoro è stato lo strumento, per qualcuno, utile a "colpirmi". In otto anni di iscrizione a Facebook, pur trattando io di sessualità, sono stata bloccata una sola volta sempre per un quadro di seminudo femminile. E allora vorrei dire un paio di cose a chi ha segnalato quel quadro: - la prima riguarda la tua ignoranza. Far rimuovere un quadro di tale spessore è chiaro segnale nel tuo essere un individuo deleterio per la società, considerando che vieti la diffusione di un contenuto artistico pur di appagare il tuo bisogno di... di cosa, di "farmela pagare" per qualcosa? - la seconda riguarda proprio questo: cosa ti ha spinto a "farmela pagare"? Qualcosa che ho detto, qualcosa che ho fatto? Bene, è assolutamente possibile che io, volontariamente o meno, abbia suscitato in te rabbia, dolore, rancore. Ma alla nostra età non credi sarebbe più consono affrontare la questione, se ti arreca tanta frustrazione? Mi scrivi, mi spieghi e ci chiariamo. Si chiama ABC delle relazioni adulte tra sani di mente. - la terza riguarda la questione "sani di mente": perché, se l'immagine che hai segnalato ti ha turbato davvero per il fatto che si vede un seno, chiama Houston perché abbiamo un problema. Il seno è una di quelle parti femminili che forse sono più indicative del rapporto tra i sessi ma anche con sé stesse, se tu che hai segnalato sei una donna: vorresti le tette più grandi, più sode, non le vorresti... che ne so. Ma hai un problema, credimi. - come vedi, se anche induci Fb a bloccare un profilo, non è che poi ci voglia molto per continuare ad esprimersi. Mi volevi zittire per una settimana? Non ci riesce mio marito, figurati tu che manco so chi sei. - l'ultima cosa riguarda il tuo stato d'animo, il tuo sentire. Hai ottenuto il blocco del mio profilo, era quello che cercavi segnalandomi, no? Ora fatti una domanda: ti senti meglio? Sei più sollevato, ti senti forte, ti senti appagato? La risposta è "Sì"? Fatti vedere allora. Ma da uno bravo. O magari riguarda questa immagine e prova, se puoi, ad assorbirne tutta la bellezza PULITA che mostra. Ti farà bene all'anima, fidati. ![]() In Italia i dati statistici parlano di quasi tre milioni di persone (95% donne) affette da disturbi alimentari. L'età di insorgenza si è abbassata, con casi sporadici a quattro anni e più frequenti tra gli otto e i dieci. Picchi tra i dodici e i quattordici. Si pensa sempre che questi problemi tocchino gli altri e quando si scopre che invece toccano anche noi, i nostri figli, si è già nella situazione in cui occorre curare, per salvarli. E non uso il termine "salvarli" a caso o per sensazionalismo. Di disturbi alimentari si muore. Si muore davvero. E se non si muore, si conduce una vita in cui è il mal essere a comandare. Il ruolo genitoriale è fondamentale nella prevenzione: siate consapevoli che spingere o autorizzare le proprie figlie fin da piccole a truccarsi, vestirsi e atteggiarsi per apparire belle, le condiziona in maniera pericolosa. Siate consapevoli che il web in generale e alcuni social in particolare hanno ruolo fondamentale nella diffusione pro-ana (anoressia) e pro-mia (bulimia). Non lasciateli iscriversi ai social almeno finché non hanno l'età legale per farlo. Non solo per evitare che entrino nei circuiti pro-ana o similari ma perché il condizionamento cerebrale che ne ricevono, in termini di approvazione degli altri sul proprio aspetto fisico, è ingravescente: ogni nuova foto che postano, ogni nuovo commento che ricevono, li condiziona emotivamente. Giorno dopo giorno. E il percorso di recupero, una volta che il problema diventerà evidente e quindi se ne prenderà atto, sarà tanto più difficoltoso quanto più sarà stato il tempo di condizionamento. Siate consapevoli che nel momento in cui consentite loro di mettersi in mostra su un social, permettete al mondo intero di esprimere un giudizio su di loro: superficiale e magari pure disinteressato per chi commenta ma di grande valore e condizionamento per chi lo riceve, e cioè vostro figlio/a. Quando dico queste cose ai genitori, mi sento sempre rispondere "Eh ma come faccio a toglierglielo, ce l'hanno tutti i suoi amici, poi lui/lei si sente emarginato". Vi invito a riflettere su alcuni punti: - non gli state vietando di avere amicizie, state semplicemente rallentando la loro entrata in quel mondo in cui conta più come appari di come sei. Dove il valore di ciò che sei è affidato a ciò che mostri. Vi sembra di far loro un torto? - se legalmente l'iscrizione ai social ha delle regole e i vostri figli si iscrivono prima dell'età consentita per farlo, con il vostro consenso o senza, siete voi a rispondere legalmente in termini di responsabilità. - non vi crea ansia dare loro strumenti pericolosi prima che abbiano la capacità di gestirli? Cioè, dareste loro ad esempio un'auto senza che abbiano la patente per poterla guidare? Vi crea più ansia dire un "no" o lasciare che il vostro "sì" dia loro la possibilità di schiantarsi ai cento all'ora? Se ancora non siete convinti, andate su Google, digitate "anoressia e web" e guardate in faccia alla realtà di ciò che succede. Cercate anche le testimonianze di genitori che vi raccontano di aver visto i loro figli "morire di fame", passare nell'arco di un anno da 80 a 35 kg. Genitori che si maledicono per essere stati tra coloro i quali affermavano scherzosamente ridendo: "Magari gli prendesse l'anoressia per qualche mese!" o "Mio figlio non avrà mai problemi di anoressia, mangia come un bisonte!", ecc. Trovarsi poi, repentinamente, nella condizione di guardare il proprio figlio "autoannullarsi", è tremendo. Leggete le testimonianze di ragazze che ci sono passate o non ce l'hanno fatta: vi farà comprendere l'entità delle difficoltà da affrontare per uscirne. E se l'anoressia è più individuabile, proprio per le conseguenze visibili, la bulimia è invece meno facile "da vedere" ma per questo non meno pericolosa per il corpo. Occhio anche a YouTube perché parecchie YouTuber che si occupano di make-up o di mestiere fanno le INFLUENCER (il termine parla da sé) pubblicizzano diete assurde e regimi alimentari altamente dannosi. Lo so che è difficile, so che il sistema cui siamo soggetti (oggetti) ci sovrasta e ci mette in difficoltà quotidianamente. Ma sono i nostri figli. Se siamo noi a scegliere la via più facile, saranno loro a dover camminare su quella più difficile. 14 LUGLIO 2011. OGNI GIORNO.17/7/2017 ![]() Il 14 Luglio di sei anni fa ero a Fiuggi, a ritirare il Premio "Dolcetta d'oro" per il Miglior Romanzo Erotico Italiano dell'anno con LA RAGIONE DEI SENSI. Quel romanzo da principiante, scritto seduta al banco di una tabaccheria (ah Fellini, se fossi stato ancora vivo da potertelo dire!), inviato a un editore quasi per scherzo, venduto ancor prima di averlo finito. Quel romanzo che è stato l'inizio di una vita diversa, che non sognavo, a cui non aspiravo, nemmeno ci pensavo. Quel romanzo che è stato il biglietto per un viaggio in continua evoluzione tra esperienze e persone di ogni genere, non di rado al limite del credibile. A volte penso che se scrivessi una biografia dei miei ultimi sei anni, mi crederebbero solo quelli che li hanno condivisi con me. Dal lavorare per gente che è morta (ma poi è ricomparsa) a ricatti e intercettazioni da chi mi voleva complice consapevole in un affare politico (ma i soldi non mi comprano). Dalla conoscenza intima di personaggi che il pubblico giudica idoli (fragili e bastardi da provocare nausea) all'amicizia con veri professionisti capaci che, esclusi dalle lobby, passano per incapaci o vedono sfruttato il loro lavoro senza riceverne il giusto compenso. Quanta soddisfazione però... Dalla mia crescita personale a quella della relazione con mio marito: quanti fatti ci hanno messo alla prova e ci hanno messi spalle al muro, con decisioni e confronti le cui conseguenze non erano per nulla scontate! L'affrontare momenti che avrebbero potuto affossarci, separarci e che ci hanno invece permesso di conoscerci nel profondo e capire che il nostro non era un banale attaccamento ma quell'amore che pochi hanno la fortuna di arrivare a costruire. Dalle esperienze sul campo nella sessualità (bondage, tantra, cam, prostituzione...) agli inviti a convegni di psicologia e psichiatria in veste di collaboratrice giornalistica o di esperta in materia. Dal lavorare per testate giornalistiche nazionali, alle trasmissioni in radio, alla scrittura di sceneggiature, alle consulenze per problemi di relazione sessuale e non, a quelle su come educare gli adolescenti alla sessualità. Dall'essere considerata trasgressiva all'essere invitata in Vaticano. Ma un ricordo tra tutti rimane l'emblema del mio percorso per portare il discorso "sessualità" a un livello culturale: l'essere stata la prima a presentare un romanzo erotico in Campidoglio, laddove le porte non erano mai state aperte all'erotismo. E se quella porta si è aperta per me, la motivazione è quella che mi aveva portata a vincere proprio questo premio: "Scrivere di eros e di sesso senza utilizzare termini volgari significa avere la capacità di portare il lettore ad un coinvolgimento emotivo profondo, ad una immedesimazione totale. Significa conoscere le dinamiche psicologiche dell'eros." Mi sembra un tempo lontanissimo, quel 14 Luglio 2011, ma è presente ogni giorno. Un premio che non è un vanto. È vita. ![]() Il motivo del titolo lo capirete leggendo il libro ma intanto iniziate già a ripetere: "Non voglio morire vergine" "Non voglio morire vergine" "Non voglio morire vergine" ... Avete perso la verginità da tempo? Non importa, la verginità di cui stiamo parlando qui va ben oltre il primo rapporto sessuale. Amo leggere da sempre ma il reale "appagamento da lettura" sopravviene di rado: perché un libro mi appaghi deve succedere che le parole mi trasportino nel sentire dello scrittore e dopo averlo chiuso io mi senta modificata, dentro. Questo scritto di Barbara Garlaschelli mi ha interessata ancor prima di leggerlo perché avendo io lavorato (vent'anni fa) come infermiera per lungo tempo in una reparto di riabilitazione, avevo l'impressione che questo libro mi avrebbe spiegato ancor di più ciò che allora (giovane) potevo non aver capito completamente dello stato d'animo di un mieloleso. E naturalmente per il mio lavoro attuale poteva essere un accrescimento conoscitivo, per quanto riguarda l'aspetto sessuale dei disabili. Avendo già letto alcune cose di Barbara Garlaschelli, intuivo il suo grado di consapevolezza rispetto alla vita in generale (non solo alla sua disabilità) ma "Non volevo morire vergine" è tutt'altra cosa da ciò che le mie aspettative si aspettavano! Nessun elogio di circostanza e non faccio sconti a Barbara perché si muove su due ruote anziché su due gambe, anche perché in #Nonvolevomorirevergine mi ha presa di forza e mi ha trascinata nelle sue riflessioni, quindi non la vedo poi così debole come l'immagine di una donna in sedia a rotelle potrebbe far pensare. Insomma... avrei un sacco di cose da scrivere riguardo a questo libro perché emozioni tante, e stimoli a riflettere ancor di più, ma significherebbe dire troppo per chi ancora deve leggerlo, quindi riassumo in poche righe il "perché" DOVETE leggerlo: - questa non è una storia strappacuore di una disabile eterna incazzata, introversa, vanitosa, "uguale a oltranza" o appartenente a una di quelle categorie che lei ironicamente descrive: è una donna che ha deciso di non diventare vittima di se stessa, punto. E leggerla sarà utilissimo a tutte quelle persone (uomini e donne) che pur avendo gambe leggiadre e potenti restano immobili nei propri limiti invisibili, dettati dalla paura, dai pregiudizi e da tutto ciò che ritengono impossibile o sbagliato ma senza conoscere. - non è un romanzo. È l'essenza di una donna, talmente consapevole da non temere di esporsi anche sugli aspetti più intimi della propria vita. Cosa che ben pochi dotati di agilità fisica riescono a fare! Applausi! - è una spiegazione facile e immediata di cosa realmente sia la sensualità e di quali siano i meccanismi psicologici che si celano dietro alle dinamiche di seduzione. - è uno stimolo di riflessione di altissimo livello sull'essere genitori: Barbara vi porterà a chiedervi come sarebbe stata la vostra vita se l'incidente che l'ha resa tetraplegica fosse accaduto a voi o se accadesse a vostro figlio. Barbara sa di essere stata molto fortunata ad avere due genitori di un'intelligenza eccellente, che non sono caduti (come sarebbe stato facile fare) in uno stato di commiserazione e autocommiserazione ma hanno avuto come unico obiettivo il benessere di Barbara. Ecco, credo possa insegnare molto questo loro modo di essere... Franca e Renzo sono ottimo esempio di ciò che un genitore dovrebbe essere, a prescindere. Mi impongo di fermarmi qui perché alle altre conclusioni dovete arrivarci da soli, leggendo il libro. Solo un'ultima considerazione: stimo la consapevolezza di Barbara perché è riuscita a focalizzarsi sui fatti, confermando la mia tesi che prendere le cose per quel che sono risulta il metodo più efficace per costruire efficacemente. Barbara non è una donna come tante, Barbara fa parte di quelle donne che amo perché capaci di andare oltre i limiti che la società impone, nonostante la fatica che tutto ciò implica. Barbara ha molto da insegnare: è supporto, monito e stimolo per chi pensa che i limiti vengano dall'esterno. È consapevolmente disincantata. Ciò che tutti noi dovremmo imparare ad essere. #nonvolevomorirevergine è uno specchio in cui riflettere noi stessi. PS Ho utilizzato il termine "sessualità disabili e mielolesi" nei search terms ma solo perché possa essere utile leggere questo consiglio alla lettura per chi deve affrontare il problema ma confesso che non mi piace l'idea di avere catalogato Barbara in quello che sembra un termine di limitazione... perché lei viaggia molto più in fretta della maggior parte di donne che conosco. #ESSURE: DI CHI È LA COLPA?25/3/2017 Lunedì 13 Marzo, sulla bacheca del mio profilo Facebook, scrivevo questo: "Sto entrando in sala operatoria. Sono nervosa, ho paura e non sono abituata ad avere paura. Ho sempre affrontato tutto di petto, senza temere nulla. Oggi ho paura. Non di morire, non per me stessa, ma per mio marito e mio figlio: per gli altri mi dispiace, ma per loro mi annienta. Vorrei avere le parole giuste per dire loro di non piangere, di non essere tristi, perché tutto vorrei tranne la loro tristezza. E loro lo sanno. Sanno che ho sempre affrontato con pragmatismo anche la questione “morte”: è fisiologica, siamo macchine fatte di carne, abbiamo un inizio e una fine. In questi undici anni passati insieme, ho educato Tommaso alla morte attraverso un ragionamento molto semplice, banale direi: quando perdi qualcuno non devi essere triste perché non c’è più, ma felice di aver avuto la possibilità di viverlo, di condividere momenti positivi, emozioni, cose belle. E l’ho visto maturare proprio in questa direzione, al punto che quando è morto mio papà qualche mese fa, dopo una settimana, Tommaso è venuto da me e mi ha detto: “Sai mamma, non sono più triste pensando che il nonno è morto, adesso se penso a lui mi viene da sorridere.” E allora se penso alla possibilità di non uscire viva da questa sala operatoria vorrei che la prendesse così, e così mio marito. Ho dato tutto quello che potevo per la loro serenità, per la nostra serenità. Serenità che oggi mi accompagna nel chiudere gli occhi (sperando di riaprirli, eh), strafatta di anestesia. Cos'è successo? È successo che io da due anni e mezzo a questa parte ho una serie di problemi di salute ingravescenti che vanno dall'eritema nodoso, a dolori articolari difficili da raccontare, stanchezza muscolare, perdita di alcuni di alcuni denti senza motivo apparente, dolori al ventre, alla testa. Ho preso 18 kg nell'ultimo anno, ho nausea continua e non posso prendere sole che la pelle si irrita fino a bruciare, al punto che da due anni indosso maniche lunghe anche in estate. Che malattia ho? Nessuna. O meglio, quasi sicuramente una malattia autoimmune ad eziologia sconosciuta, di quelle che ci sono esami che dicono che hai qualcosa... vabbè eritema nodoso. Ma a dicembre, leggendo un articolo di Laura Cuppini sul Corriere, scopro che Erin Brockovich sta portando avanti una causa contro la Bayer perché sembra che ESSURE, un dispositivo medico per chiudere le tube immesso sul mercato e impiantato a milioni di donne nel mondo, sia collegato a migliaia e migliaia situazioni come la mia. Io avevo fatto il posizionamento in aprile 2014, su consiglio del mio ginecologo, perché per un difetto relativo alla coagulazione non posso assumere contraccettivi orali e il posizionamento di Essure non richiedeva intervento chirurgico ma solo dieci minuti di seduta ambulatoriale. Ora, in America è in corso la causa: le controversie erano già in atto da anni, quando a me è stato proposto, ma il SSN italiano ne permette ancora l'impianto oggi perché Bayer effettivamente ha rispettato le leggi europee relative ai dispositivi medici. Il Garante dell'Emilia Romagna per la sicurezza dei dispositivi medici, che ringrazio per la disponibilità, mi ha spiegato che i dispositivi devono rispondere solo a leggi di conformità di costruzione, non è necessario fare studi sugli effetti del dispositivo a lungo tempo, per immetterlo sul mercato: quindi Bayer è per ora in regola. Vabbè non vi annoio oltre con questioni tecniche (su Google si trova tutto, se interessa) ma ho voluto questo post pubblico perché in tutto il mondo sono in atto denunce (milioni) su questo dispositivo ma comunque continua a essere proposto e impiantato. Io non ho gli strumenti per colpevolizzare Bayer, perché non esiste un esame diagnostico che dica “è colpa di Essure” anche se l'utilizzo di PET e nickel per costruirlo sembrano essere la causa, o almeno la Brockovich lo sostiene in questa sua lotta a difesa di migliaia di donne inginocchiate dopo averlo installato. Io mi sento fortunata: dopo aver letto l'articolo, ho contattato il ginecologo, chiedendogli cosa ne pensasse. È rimasto sgomento, nemmeno lui sapeva di tutto questo, e mi ha programmato subito la rimozione. Unico neo, Bayer fa loro i corsi per istruirlo all'impianto, nulla per la rimozione, essendo un dispositivo che dovrebbe restare a vita. Il mio ginecologo, professionista che stimo molto, mi ha spiegato la sua strategia d'intervento, che prevede rimozione tube e isterectomia, perché da quanto abbiamo appreso dalle esperienze all’estero, questo dispositivo non resta nella sede in cui dovrebbe (infatti il mio della tuba sinistra ce lo siamo persi, non si vede) e rilascia filamenti di materiale di costruzione che, lasciati nel corpo, renderebbero nulli gli effetti della rimozione. Partiamo in laparoscopia e poi vediamo che succede... in Italia interventi di rimozione pare ne siano stati fatti un paio e le linee guide che vengono dall'estero sono handmade praticamente: ogni medico ha agito come riteneva più opportuno e anche al mio tocca fare lo stesso (ma avremo il video se vorrete spararvelo su youtube!). Quindi ora io vado, scusandomi per lo scritto un po’ confuso, che vuole essere solo ed esclusivamente la testimonianza di una delle tante, troppe, donne che oggi si sentono SOPRUSATE. Se Bayer è colpevole lo sapremo solo tra qualche mese, quando si concluderà il processo, ma io non posso non dire che trovo assurdo pensare che io sto entrando in sala operatoria per rimuovere un dispositivo comunque già dichiarato “potenzialmente pericoloso” mentre forse un’altra donna, da qualche altra parte in Italia, sta entrando in ospedale per posizionarlo. Anche al netto della non dichiarata colpevolezza di Bayer, è lecito ed etico che il SSN non abbia almeno sospeso gli impianti basandosi sui dati all’estero? Se esco da questa sala operatoria, voglio essere risarcita. Non voglio approfittarmene, non sono fatta così, ma voglio che mi sia riconosciuta la fatica che comporta soffrire. Se muoio voglio almeno la serenità economica per mio figlio e mio marito, almeno quella. Possibile che io da qui non esca. Non lo dico per vittimizzarmi ma perché i rischi sono tanti, e forse perché sono talmente sfinita di dolore e di stanchezza che non mi sento le forze necessarie. E vi giuro che essere in questo limbo per mano di chi aveva da guadagnarci, è quasi disarmante. A chi penso? A tutti e nessuno: alla Bayer che ha guadagnato cifre incredibili con questo dispositivo, alle leggi europee relative a questi dispositivi (ma puoi impiantare a vita una cosa in un corpo senza sapere che effetti avrà?), al Ministero della salute che nonostante tutto non ferma gli impianti. Ho anche avuto un attimo di rabbia nei confronti del mio ginecologo: mi sono chiesta "perché nel 2014 tu mi installi un dispositivo che all’estero già da anni viene combattuto?" Ma posso colpevolizzare lui, se è il SSN a mettere i dispositivi a disposizione? Penso solo che ci sia una mancanza di etica tremenda e che la tutela non esista. Insomma. Non so di chi sia la colpa, so che ora tocca a me." Parole scritte "di pancia", in un momento emotivamente intenso e difficile, a cui ne sono seguiti di molto dolorosi e faticosi. Mentre ero in sala operatoria c'è stata una intensa partecipazione di chi mi conosce e, tra questi, Stefano Molinari e Enrico Silvestrin che, colpiti da questa storia assurda legata al dispositivo medico, hanno deciso di dedicare una puntata di "UN GIORNO SPECIALE" proprio alla questione Essure. Una puntata inchiesta per riflettere e divulgare la conoscenza riguardo alle conseguenze che questo dispositivo sembra poter avere su molte delle donne a cui viene impiantato. Cliccando qui potete rivedere la puntata di UN GIORNO SPECIALE e trarre tutte le informazioni necessarie per capire di cosa sia stia parlando, soprattutto se avete intenzione di sottoporvi a questa procedura di sterilizzazione che, se anche non è stata ancora riconosciuta legalmente responsabile, merita sicuramente molta attenzione. Avevo chiuso la mia esternazione su Facebook dicendo che non sapevo di chi fosse la colpa, e ancora non lo so naturalmente, perché nei mesi intercorsi tra la "scoperta" delle controversie in atto e il giorno dell'intervento mi sono documentata a fondo ma non essendoci una sentenza che dichiara Essure colpevole di tutto ciò, non è possibile definirlo. Di definito ci sono solo i sintomi coincidenti che tantissime donne manifestano dopo averlo impiantato, con gradi di intensità che vanno da lievi a gravissimi. Personalmente ho iniziato dopo due mesi dall'impianto con un eritema nodoso alle caviglie: dolore, gonfiore, rossore e noduli all'altezza delle articolazioni. Esami ematici negativi. Con il passare del tempo, nonostante le cure di cortisone, si è diffuso alle spalle, ai gomiti, ai polsi, alle articolazioni delle mani. Assoluta intolleranza al sole: sono due anni che, in estate, indosso comunque abiti a manica lunga ed evito esposizioni al sole oltre i dieci minuti perché ho una reazione istamina immediata, che porta bolle e vesciche soprattutto che (prurito a parte) impiegano poi giorni ad andarsene. E si sono associati problemi legati al ciclo mestruale (sia in termini di regolarità temporale che di durata), dolori all'addome sia in periodo mestruale che extra, perdita di denti senza che fossero ammalati, aumento di peso (18kg nell'ultimo anno), rash cutanei, nausea continua, sensazione di eccessiva sazietà anche a digiuno, mal di schiena (alla sera soprattutto la zona lombo-sacrale diventa caldissima e dolorante), calo del desiderio sessuale (a me!), spossatezza muscolare costante. Aggiungerei depressione e difficoltà alla concentrazione, ma il mio ginecologo dice che più che altro, a determinarle, secondo lui è la ripercussione del mio stato di salute sullo stato mentale. Ma io sono stata anche fortunata... perché ho conosciuto donne in questo periodo che erano finite addirittura in sedie a rotelle, donne che di denti non ne hanno più, donne che hanno perso i capelli, donne che hanno avuto la tentazione di suicidarsi... E donne che hanno avuto gravidanze (perché sovente i dispositivi non sono rimasti in sede, come nel mio caso). Perché questo post oggi? Perché la diffusione del post iniziale ha portato a me parecchie persone che chiedono informazioni su come comportarsi, soprattutto quelle che lo hanno impiantato e, come me, sono venute a conoscenza dei fatti per puro caso. Io alle spalle ho vent'anni di lavoro come infermiere professionale (conclusosi nel 2008 per scelta personale) e una formazione di stampo educativo, quindi sono solita affrontare le cose con pragmatismo, definendo un obiettivo e studiando il percorso più funzionale ed efficace al raggiungimento dell'obiettivo stesso. A Dicembre, quando ho scoperto i fatti, il mio obiettivo primario era la rimozione del dispositivo, che non garantisce l'estinzione immediata dei sintomi ma, le donne che hanno effettuato la rimozione, hanno visto graduale miglioramento fino a definirsi "come prima" nell'arco medio di un anno circa. Per qualcuna purtroppo non è stato così, essendo che portavano il dispositivo da molti anni e la "sindrome" si era ormai cronicizzata, spesso sotto forma di malattia autoimmune. Cosa ho fatto quindi? Ho chiamato il medico che mi aveva impiantato Essure, informandolo dei fatti, il quale ha preso visione e abbiamo da subito iniziato il percorso di preparazione all'intervento per la rimozione. Naturalmente ha avuto dubbi, perché lui in quel dispositivo ci credeva davvero ma, considerate le coincidenze dei miei sintomi con le migliaia di testimonianze all'estero, non ha avuto dubbi sulla necessità di rimuoverlo. Il mio primo consiglio quindi, per chi intende rimuoverlo è di rapportarsi al ginecologo che ha effettuato l'impianto per avere un parere. Purtroppo è noto che molti ginecologi hanno reagito "male", forse temendo azioni legali, e hanno rifiutato di intervenire o, peggio, sono intervenuti senza prima documentarsi sul tipo di intervento da effettuare. Perché l'intervento non è così semplice: in linea di massima (se i dispositivi sono rimasti in sede, quindi nelle tube) va effettuata una salpingectomia bilaterale ma ponendo molta attenzione a non rompere i dispositivi, a non lasciare quindi frammenti all'interno del corpo. Nel caso in cui invece i dispositivi siano migrati (come nel mio caso ad esempio, quello di sinistra era andato a incunearsi nel miometrio) la tipologia di intervento è ovviamente relativa alla situazione specifica. La cosa basilare è che non rimangano frammenti dei dispositivi all'interno perché i residui potrebbero non permettere la regressione dei sintomi. Il secondo consiglio quindi è quello di affidarsi a medici competenti, accertandosi che abbiano preso visione dei contenuti pubblicati dai colleghi americani sulle tecniche di rimozione. Non esiste ancora un protocollo specifico ma pare che il Dott. Tassone lo stia approntando. Sul web comunque, qualora i medici a cui vi rivolgete non conoscano la questione, si trovano riferimenti e contatti di medici stranieri che già sono più avvezzi a questo tipo di intervento. Il terzo consiglio riguarda invece il "dopo", nel senso che se avete intenzione di agire legalmente per ottenere un risarcimento dei danni psicofisici, è necessario che vi accertiate che sulla lettera di dimissione dall'ospedale sia scritto chiaramente che l'intervento è stato effettuato per rimuovere il dispositivo Essure e che sia stato fatto l'esame istologico sia delle tube asportate che dei due dispositivi. Può sembrare banale ma molte donne hanno purtroppo in mano solo documentazione aspecifica, in cui è sì certificato l'intervento ma non viene fatto cenno al dispositivo. Ma qual è la situazione "legale" attuale? All'estero sono in atto diversi movimenti di ricorso, in Italia nessuno. Nel senso che non c'è un'organizzazione che se ne sia presa carico finora perché i casi sono isolati, da poco si è venuti a conoscenza di questi fatti e non si ha nemmeno chiaro quanti siano i dispositivi impiantati fino ad oggi: dati incerti parlano di duemila impianti effettuati. All'estero i movimenti di denuncia si avvalgono di class action contro Bayer, cosa che in Italia (per la normativa vigente) non è possibile. Bisogna quindi procedere ad personam. Concludo con una riflessione, che rimanda al titolo: Di chi è la colpa? Non so rispondere. Perché Bayer, dal canto suo, è una multinazionale, risponde alle regole di mercato: ha costruito Essure in base alle normative CE di costruzione, come richiesto, ed ha ricevuto approvazione per la messa in commercio (per la quale, ricordo, non è richiesto di testare gli effetti del dispositivo sul lungo tempo, nonostante il dispositivo nasca per essere impiantato all'interno del corpo e restarci tutta la vita). Se Bayer ha colpevolezza, sarà solo il tempo a stabilirlo. Ma il Sistema Sanitario Nazionale? Io credo che uno dei ruoli principali sia quello di tutelare i cittadini quindi mi viene spontaneo pensare che prima di utilizzarlo avrebbe dovuto comunque accertarsi delle possibili conseguenze sul lungo tempo e, ancora di più, nel momento in cui all'estero (dove gli impianti vengono effettuati dal 2002) sono sorte controversie, avrebbe dovuto quanto meno sospendere gli impianti ed eventualmente valutare. E invece nulla: ancora oggi l'impianto è disponibile e applicabile. Ancora oggi viene proposto dai medici del SSN. Proprio ieri ho contattato telefonicamente un sito di un'associazione pro-salute-donna, in cui appare un post che consiglia l'impianto, chiedendo loro se non fosse il caso di rimuoverlo, visto ciò che sta succedendo in tutto il mondo riguardo al dispositivo. La risposta che ho ricevuto da un medico responsabile del sito, collega di altro medico che li impianta, è questa: "A me di cosa dice Erin Brockovich e di tutti i gossip da giornale non me ne frega un cazzo (riporto letteralmente). Finché il mio collega li impianta e non ritiene di dover smettere, io non levo un bel niente." Traete voi le conclusioni. Visto che questo medico ha nominato il gossip, facciamolo un po': Essure costa al SSN (per il quale viene applicato uno sconto del 15%) circa 940,00€ + iva22%. Per darvi un'idea dei soldi spesi per questi impianti, solo nell'ospedale dove lo hanno posizionato a me, ne sono stati impiantati 60. Ultimo consiglio: se qualcuno vi consiglia l'impianto, riflettete a lungo. Non c'è uno straccio di foglio di carta che dica che Essure è dannoso, ma ci sono migliaia di donne che maledicono il giorno in cui hanno accettato la proposta di impiantarlo. Di seguito, per chi fosse interessato ad approfondire, alcuni articoli in italiano dal web e il sito che Erin Brockovich ha creato appositamente. http://essureprocedure.net http://medtruth.com/2016/05/02/black-box-warning/ http://www.repubblica.it/salute/benessere-donna/contraccezione/2015/11/09/news/essure_sulla_graticola-126970067/ http://www.corriere.it/salute/16_dicembre_09/polemiche-contraccettivo-essure-puo-causare-dolori-depressione-4fe51634-be39-11e6-b49e-d6d34448037e.shtml# http://www.ilgiornale.it/news/cronache/dolori-e-depressione-contraccettivo-essure-sotto-accusa-1340907.html http://www.tuttoperlei.it/2016/12/11/essure-il-contraccettivo-sotto-accusa-in-francia-per-gli-effetti-collaterali/ https://www.consumatrici.it/12/12/2016/salute-e-benessere/salute/00090279/allarme-per-il-contraccettivo-essure-bayer-causa-dolori-depressione-e-morte http://www.pazienti.it/blog/essure-30092015 http://tg5stelle.it/news/essure-il-contraccettivo-permanente-che-puo-nuocere-gravemente-alla-salute?uid=21176 EVENTI E MOMENTIBlog dedicato a riflessioni su fatti specifici, film, libri e opere artistiche varie.
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